Archivio mensile: agosto 2015

MARCO RIZZO – CENSURA COME CRITICA LETTERARIA. LA REQUISITORIA DI PINARD CONTRO «MADAME BOVARY».

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[ Presentiamo di seguito un articolo che riprende – in forma rielaborata – parte di una tesi di laurea su Letteratura e censura che indaga il rapporto sempre controverso e conflittuale tra statuto di verità e di finzione dei testi letterari, livelli di ricezione e potere politico. E’ la prima volta che presentiamo sul nostro sito un articolo interamente tratto da una tesi di laurea, e inauguriamo con oggi un esperimento in cui crediamo fortemente: far spazio nel nostro sito anche alle giovani e giovanissime voci che, come noi, abbiano voglia di indagare e capire il rapporto tra la Letteratura e il Mondo. ]

I.

SUZUKI_Swift_SHORTArticles_2013_FEB_scimmie_02Se parliamo di letteratura e censura, di questo rapporto contrastivo che vediamo chiaramente emergere in occasione di processi intentati contro delle opere letterarie, possiamo prendere la questione e studiarla da diversi punti di vista: storiografico, socio-culturale, persino giuridico. Nel corso della mia indagine mi sono chiesto se potesse risultare fecondo un percorso diverso, di tipo interpretativo, che puntasse cioè non tanto a “fare la cronaca” dei processi, a indagare le metodologie e le istituzioni censorie, o i mezzi a cui gli scrittori ricorrono per sfuggire alle sue maglie, ma che cercasse piuttosto di analizzare il discorso censorio, vagliando la possibilità di utilizzarlo come uno strumento utile a farci comprendere meglio i testi che va a colpire. Vale a dire se, in una certa misura, possiamo leggerlo come una critica letteraria.

Generalmente, parlando della censura, il mondo delle lettere (scrittori, lettori, studiosi) ne critica l’azione repressiva, l’ottusità con cui si rapporta al testo, il suo misconoscimento dello statuto di finzione del discorso letterario. Azione naturalmente doverosa e meritoria, e che tuttavia rischia di farci perdere qualcosa. Chi scrive ritiene che i testi letterari, in una maniera peculiare che li distingue da altri linguaggi e discipline che possono incorrere nella scure censoria (il saggio filosofico, il trattato politico, il libello propagandistico), parlino del mondo – il che ovviamente non significa che lo riflettano semplicemente, anzi – in virtù dei meccanismi empatici e cognitivi che vengono attivati nell’esperienza della lettura. Gli episodi di censura, la serietà e la preoccupazione con cui i censori si rapportano alla letteratura, dimostrano il potere insito nelle rappresentazioni estetiche, la loro capacità di colpire profondamente gli immaginari degli individui e di problematizzare la loro visione del mondo. In contrasto con quanto sostenuto e rivendicato anche da molti scrittori, e cioè che la sfera estetica è autonoma dalla politica, dalla morale e dalla religione, o addirittura che la finzione è del tutto autoreferenziale (“è solo letteratura, sono solo fantasie, non prendetela troppo sul serio”), la censura si dimostra ben consapevole del potere corrosivo che le rappresentazioni letterarie possono esercitare su istituzioni, norme morali, valori condivisi, idee convenzionalmente accettate. Facendo riferimento alla celebre definizione di Coleridge, potremmo dire che se la letteratura è il luogo in cui accade la “sospensione volontaria dell’incredulità”, la censura tende ad attribuire consistenza alla finzione, a temerne la realta.

Se il contesto risulta irritato dal testo, è perché il testo dice qualcosa che lo riguarda. Questo primo aspetto teorico, se da un lato ci serve per valorizzare la censura come indizio rivelatore della capacità della letteratura di incidere sul mondo, dall’altro non ci dice ancora nulla circa l’utilità della censura nell’ambito dell’interpretazione testuale vera e propria. Se infatti ci proponiamo di leggere il discorso censorio come una critica letteraria, di vedere se e in che cosa essa può risultare utile ai fini di una maggiore comprensione dei testi posti sotto accusa, ci troviamo davanti a una grossa difficoltà: come superare l’estrema parzialità ideologica della censura, che le precluderebbe la possibilità di uno sguardo oggettivo sui testi? Per superare questo problema, di non poco conto, ho trovato utili e pertinenti i concetti di matrice freudiana messi a punto da Francesco Orlando, in particolare quello di letteratura come formazione di compromesso, luogo in cui coesistono fianco a fianco, ambivalentemente, istanze trasgressive di determinate norme e valori morali, sociali e politici, e istanze che invece si pongono al servizio di queste norme e di questi valori. Grazie al modello della formazione di compromesso, siamo in grado non solo di superare la difficoltà iniziale, l’estrema parzialità dello sguardo censorio, ma anzi riusciamo a valorizzarla. La censura diventa così un osservatorio privilegiato da cui guardare al testo poiché il censore, alleato e parte integrante dell’ideologica dominante ed essendo immune o restio a fare concessioni al piacere dell’incantamento letterario, riesce talvolta a cogliere, meglio e prima della critica, le pieghe dell’opera che veicolano i contenuti incompatibili con l’ideologia dominante che egli ha il compito di difendere. La parzialità dello sguardo, pur restando tale, può divenire così un momento rivelatorio dell’intero. Con le parole di Orlando: “L’assunzione entro un testo di contenuti conflittuali in compromesso implacabile o incerto non può non provocare scontri di senso; le letture più tendenziose si legittimano l’una accanto all’altra al plurale, potendosi richiamare a tendenze opposte ma compresenti.”[1]

Proviamo a verificare la validità di questa metodologia usando come testo campione un’opera che al momento della sua pubblicazione dovette subire un processo per accuse quali oscenità e oltraggio alla morale e alla religione: Madame Bovary di Gustave Flaubert. Il discorso censorio in quel caso trovò la sua manifestazione nella requisitoria di Ernest Pinard, che – come del resto fece anche pochi mesi dopo, in occasione del processo contro Baudelaire – prese le parti dell’accusa. Al di là dell’indignazione moralistica a cui improntò la sua arringa, vedremo come il pubblico ministero si dimostrò straordinariamente lucido e persino brillante nel cogliere alcuni aspetti importanti del funzionamento della nuova macchina romanzesca messa a punto da Flaubert, e dei valori veicolati dalle sue scelte stilistiche.

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