PAOLO TORTONESE – SU FRANCESCO ORLANDO
[ Il testo è tratto dall’intervento di Paolo Tortonese in occasione dell’ incontro su Francesco Orlando svoltosi il 18 febbraio 2015 all’Istituto di Cultura Italiano di Parigi ]
Le Sei lezioni per Francesco Orlando, raccolte da Paolo Amalfitano e Antonio Gargano, mostrano come si possa intelligentemente discutere di tutti gli aspetti e le implicazioni della teoria di Francesco Orlando, da un lato analizzandone la coerenza e l’originalità, d’altro lato misurandone l’efficacia, cioè chiedendoci a che cosa ci può servire. Non tenterò di riprendere tutti i fili dei discorsi contenuti in questo libro, sarebbe impossibile in pochi minuti. Mi porrò invece una semplice domanda: qual è l’idea di letteratura che caratterizza il pensiero di Orlando? E cercherò di rispondere in poche parole.
Recentemente Sophie Rabau ha proposto di distinguere due campi opposti nelle concezioni della letteratura, e li ha chiamati fittisti e fattisti. Cito due frasi del suo articolo intitolato Les Fictistes et les Factistes:
«Les fictistes valorisent l’irréductibilité de la littérature à ce que nous appelons les faits et le monde empirique: ils mettent en avant le caractère ludique, gratuit, artificiel et autonome des textes littéraires dont la fonction est de nous éloigner des faits et d’offrir par l’imagination et le libre jeu des formes des alternatives à la réalité.»
«À l’inverse, les factistes attachent du prix à l’insertion de la littérature dans le tissu de la réalité: la fiction à leurs yeux ne vaut que pour la vérité qu’elle permet d’exprimer; à l’autonomie et à la gratuité, ils préfèrent l’engagement et le témoignage.»
Credo che questi due neologismi ci possano aiutare a capire Francesco Orlando, proprio perché lui non era né l’uno né l’altro, né fittista né fattista. Se posso inventare anch’io una parola, direi che era piuttosto un sensista: credeva fermamente che la letteratura ha un senso, che i testi producono senso, e che il senso è l’oggetto della critica letteraria. Perché la critica non deve fare una cosa diversa da quel che fa il lettore comune, anzi deve interrogarsi sull’esperienza del lettore per farne l’oggetto di una disamina razionale.
Francesco Orlando era polemico contro molti avversari. Ha condotto una doppia battaglia: contro il formalismo, contro l’autonomia dell’arte, ma anche contro il contenutismo militante e il moralismo. Se ha sempre criticato Croce e le teorie dell’arte come intuizione, le teorie dell’autoreferenzialità, l’idea che la letteratura parli solo di letteratura, si è anche sempre battuto contro la riduzione della letteratura ai fatti biografici, alla psicologia dell’autore, oppure a un discorso ideologico, e contro la predominanza dei giudizi di valore ideologici. Diceva spesso: la letteratura è anche ideologia, ma non è solo ideologia. Per questo le sue preferenze letterarie non erano affatto dettate da pregiudizio ideologico (forse lo si potrebbe pensare nel caso di Voltaire, ma non certo nel caso di Racine o di Proust).
Orlando rifiutava l’idea che della letteratura non si potesse parlare razionalmente, ma rifiutava anche l’idea che la letteratura fosse interamente spiegabile attraverso l’ideologia e i valori (che è la maniera più elementare e ingenua di razionalizzarla).
Il suo problema è quindi stato, sempre, di elaborare un metodo scientifico, rigoroso, razionale e empirico, quindi verificabile (aperto alla confutazione), un metodo di analisi che permettesse di capire in che modo la letteratura ci parla della realtà, sì, ma non è né riducibile a dati di realtà esterna (rispecchiamento), né chiusa in un narcisismo formale, isolata, impermeabile.
Per far questo, Orlando ha elaborato una teoria che fa apparire la letteratura come creatrice di un senso sempre contraddittorio. Teoria freudiana secondo cui l’attrazione e la repulsione sono sempre compresenti, così come sono sempre in gioco, simultaneamente, la repressione e il ritorno del represso.