FRANCESCO ROSSI – LE ‘IMMAGINI-PENSIERO’ DI FRANZ KAFKA
[Riportiamo di seguito uno studio di Francesco Rossi, docente di Letteratura Tedesca presso l’Università di Pisa, già pubblicato su Odradek. Studies in Philosophy of Literature, Aesthetics and New Media Theories, vol. 2, n. 2 (2016) ]
scritto per strada come faremo sempre d’ora in avanti,
perché gli urti dei passanti ravvivano la scrittura[1]
La prospettiva del flâneur[2] caratterizza gli esordi letterari di Kafka, il quale, come noto, nel 1908 debutta come miniaturista con la pubblicazione di otto brevi prose raccolte sotto il titolo di Betrachtung nel primo numero della rivista «Hyperion» diretta da Franz Blei e Carl Sternheim. Quattro di questi testi, raffiguranti in prevalenza scene di vita urbana, vengono poi ripubblicati nel 1910 nel quotidiano praghese di lingua tedesca «Bohemia»[3], con l’aggiunta di una quinta prosa, per poi confluire infine nella prima pubblicazione in volume, significativamente intitolata di nuovo Betrachtung[4], che a sua volta raccoglie diciotto miniature in prosa di diversa estensione e fattura. Basterebbe forse soltanto l’accenno a questa serie di circostanze a dimostrare che siamo di fronte a un concetto centrale per la poetica dell’immagine del giovane Kafka: il termine “Betrachtung” possiede in tedesco un doppio significato, alludendo da un lato alla sfera estetica della visione e dell’osservazione, dall’altro alla riflessione. Il titolo scelto da Kafka per la sua prima pubblicazione, tradotto in italiano con Contemplazione (Andreina Lavagetto) o Meditazione (Rodolfo Paoli)[5], reca dunque in sé l’ambivalenza di fondo propria del genere dell’ immagine-pensiero nel suo doppio significato di percezione visiva e considerazione mentale. Non può dunque meravigliare che alcune autorevoli ipotesi interpretative recenti considerino la comparsa di questa raccolta un evento fondamentale nella storia novecentesca del Denkbild[6]. La questione merita di essere approfondita.
- “Lampi di luce”, “piccoli raggiri” ed esperienza dei nuovi media
Intesa in questo senso specifico, l’osservazione che si riflette attraverso il pensiero, il quale a sua volta finisce per rispecchiarsi nell’immagine, ricorre sin nei titoli di singoli brani come “Guardando fuori distratti” (Zerstreutes Hinausschauen) oppure “Riflessioni per cavallerizzi” (Zum Nachdenken für Herrenreiter). In queste miniature in prosa i fenomeni della vita metropolitana traspaiono attraverso una filigrana di immagini osservate da un punto di vista soggettivo. Lo stesso Kafka non usa mai il termine ‘Denkbild’ per designare i suoi testi, chiamandoli piuttosto genericamente “prosa breve” (“kleine Prosa”), “cose” (“Sachen”)[7] o “vecchie cose” (“alte Sachen”)[8], “brevi brani” (“Stückchen”),[9] o anche “i miei piccoli raggiri” (“meine kleinen Winkelzüge”)[10]. Le recensioni contemporanee sottolineano spesso la loro vicinanza alla prosa di Robert Walser (Kurt Tucholsky e Robert Musil), ricorrendo a termini generici come “piccole considerazioni” (“kleine Betrachtungen”, Hans Kohn), “notazioni diaristiche” (“tagebuchartige Anmerkungen”, Otto Pick), o anche più specifici come “arabeschi” (“Arabesken”, Albert Ehrenstein); c’è chi parla addirittura di “Junggesellenkunst” (l’espressione è di Paul Friedrich)[11], riconducendo il tutto alla prospettiva dello scapolo (Junggeselle), connotata da mutabilità e incertezza che caratterizza alcune scenette tra cui L’imbroglione mascherato (Entlarvung eines Bauernfängers), La passeggiata improvvisa (Der plötzliche Spaziergang) o, per l’appunto, L’infelicità dello scapolo (Das Unglück des Junggesellen). Tra i primissimi lettori di Betrachtung, chi si avvicina maggiormente al concetto del Denkbild è Otto Stoessl, il quale in una lettera indirizzata allo scrittore si congratula con lui per il particolare nitore “delle piccole testimonianze” (“der kleinen Denkmäler”)[12].
Il titolo al singolare, Betrachtung, non rimanda a un genere letterario specifico.[13] Piuttosto, con esso si sottolinea l’unità d’impianto dell’opera, la quale, come è già stato più volte sottolineato, si struttura intorno alle opposizioni fondamentali attenzione vs. distrazione, interno vs. esterno, città vs. campagna e infanzia vs. età adulta. La configurazione dello spazio urbano e domestico risulta in molti passaggi straniante, la consueta funzionalità attribuibile agli spazi o agli oggetti rappresentati risulta, a sua volta, alterata. Non si verifica ancora quel palesamento del soprannaturale attraverso il logoro-realistico e il frusto-grottesco caratteristici di testi quali La metamorfosi (Die Verwandlung), Il cruccio del padre di famiglia (Die Sorge des Hausvaters) o Il Processo (Der Prozess), tuttavia nei brani intitolati Vestiti (Kleider) e Infelicità (Unglücklichsein) sono presenti figurazioni che già ne anticipano chiaramente la struttura tematica[14]. Più in generale, nei testi in esame si riscontra già una tendenza alla reversibilità degli opposti da considerarsi tipica della prosa kafkiana[15].
Mancano del tutto le indicazioni di carattere topografico. In ciò si riflette un’idea di città come luogo di relazioni indirette e anonime. L’andamento del testo non è continuo, ma fratto, vi si riscontrano strategie di straniamento e di creazione di discontinuità a vari livelli, in un continuo andirivieni tra rappresentazione concreta e argomentazione a tratti rasente il fantastico, l’enigma e persino il nonsense[16]. In una lettera a Felice Bauer, Kafka descrive le sue brevi prose alla stregua di “lampi di luce che penetrano in un’infinita confusione” (“Lichtblicke in eine unendliche Verwirrung hinein”), aggiungendo che “bisogna avvicinarsi molto per riuscire a scorgere qualcosa”[17]. Quest’appello dell’autore a un ‘avvicinamento’ di natura visiva, quasi si trattasse di un ‘ingrandimento’, si traduce nella veste tipografica del volume: 99 pagine stampate a caratteri enormi, con ampi margini, un formato che l’autore manterrà per il volume Un medico condotto (Ein Landarzt) del 1920; per Betrachtung, la cui tiratura è di 800 esemplari, l’autore adotta dunque una forma di pubblicazione che la critica ha giustamente associato al poema in prosa[18] e al libro di letture per bambini (Kinderfibel)[19]; se non che l’ingenuità dello sguardo infantile, cui spesso e volentieri si associa una componente memore-affettiva, è proprio quell’elemento che le miniature di Kafka tendono a rovesciare nel suo opposto, il desolato-sconnesso[20], contaminandolo con le impressioni derivanti dal mondo metropolitano.
Coerenza nella discontinuità della forma frammentaria è data da ripetizioni di motivi conduttori, riprese tematiche e lessicali. Il motivo dei cavalli e degli indiani, icasticamente condensato nella breve prosa Desiderio di diventare indiani (Wunsch, Indianer zu werden), rientra tra queste immagini ricorrenti, riconducibili sia alla tematica dell’infanzia, sia ai nuovi media, in questo caso al cinema, del cui influsso la raccolta risente in modo particolare. Kafka è stato notoriamente un assiduo frequentatore di sale cinematografiche. Già Adorno rilevava l’influsso profondo del cinema sulla sua narrativa, definendo in una lettera a Benjamin i romanzi kafkiani “gli ultimi (e in via di estinzione) testi di collegamento con il film muto”[21]. Non è un caso che alcune immagini sembrino tratte da scene slapstick, assai popolari tra il pubblico del grande schermo di allora. Ne Il rifiuto (Die Abweisung), si trovano ad esempio le immagini di “un americano massiccio con corporatura da pellerossa”, di un’automobile che “ondeggia[…] in lunghe bordate per la via” e persino di uomini che camminano “in preciso semicerchio” alle spalle dell’interlocutrice femminile[22].
Il fascino prerazionale dei nuovi dispositivi di visione e di manipolazione dell’immagine risulta dunque sorprendentemente imparentato alla scrittura kafkiana, a sua volta caratterizzata dalla presenza di una figuralità tanto pervasiva da contrapporsi di per sé, in certo qual modo, all’andamento progressivo della narrazione. Rüdiger Zymner ha giustamente posto in evidenza come la descrizione e la riflessione predominino, nella raccolta, sulla componente narrativa, osservando che, anche qualora i testi sviluppino un’azione, a prevalere sono pur sempre “forme del narrare debole” (“Formen des schwachen Erzählens”)[23], contrassegnato da fissità e iteratività sul piano temporale. Anche nel caso in cui nelle brevi prose si sviluppi un racconto, l’intero narrato risulta dislocato nell’irrealtà o comunque nel modo della possibilità. In Betrachtung l’azione sembra dunque capitolare di fronte all’immagine, alla sfumatura psicologica, al gesto fine a se stesso.
Cionondimeno, sarebbe un errore cercare esclusivamente nei nuovi media il paradigma formale della poetica dell’immagine sottesa a tale procedimento. Essi fungono da serbatoio di forme e di motivi, tuttavia questo tipo di lavoro sull’immagine, la ricercatezza nella costruzione, la pervasività della dimensione del sogno e della ‘visione’ riconducono piuttosto all’estetismo[24], pur non recando lo stile kafkiano – austero, sorvegliatissimo e teso a raggiungere un’essenzialità rasente l’ascetismo – alcuna impronta del gusto per l’artificio ornamentale di matrice estetista[25]. Di conseguenza, gli apporti dei nuovi media alla scrittura kafkiana non si lasciano ridurre a un semplice adattamento di tecniche di ripresa e di proiezione del reale. I film, per citare una celebre affermazione dello stesso Kafka, “sono imposte di ferro [eiserne Fensterläden]”[26], che occorre scardinare per tornare a una prospettiva sul reale incentrata sulla scrittura. Alla base delle immagini kafkiane, quindi, sta piuttosto ciò che Andreas Huyssen, insistendo sulla prerogativa della letteratura di assorbire e rielaborare, anziché banalmente imitare, i media, ha definito una “rimediazione a ritroso” (“remediation in reverse”)[27].
- Imponderabilità e stereoscopia nel Passeggero (Der Fahrgast)
L’esigenza di una rielaborazione letteraria di impressioni tratte da contesto urbano o domestico nasce, tra le altre cose, dalla presa di coscienza di un tratto fondamentale nella moderna esperienza dell’Altro, ossia della sua imponderabilità. Un esempio paradigmatico di questo fenomeno è dato dal celebre brano seguente:
Il passeggero [Der Fahrgast]
Sono in piedi sulla piattaforma del tram e mi sento del tutto insicuro riguardo alla mia posizione in questo mondo, in questa città, nella mia famiglia. Neanche approssimativamente sarei in grado di indicare quali esigenze potrei far valere con ragione in una qualsiasi direzione. Non posso in alcun modo giustificare il fatto di trovarmi su questa piattaforma, di tenermi a questa cinghia, di farmi portare da questa vettura, il fatto che la gente scansi il tram, o cammini quieta, o sosti dinanzi alle vetrine. – Nessuno lo pretende da me, è vero, ma non ha importanza.
Il tram si avvicina a una fermata, una ragazza si accosta ai gradini, pronta a scendere. Mi appare con nitidezza straordinaria, come se l’avessi toccata. È vestita di nero, le pieghe della gonna sono quasi immobili, la camicetta è aderente e ha un colletto di pizzo bianco a maglie sottili, la mano sinistra la tiene aperta contro la parete, l’ombrello nella destra è appoggiato sul secondo gradino. Il suo viso è bruno, il naso, lievemente schiacciato ai lati, ha la punta rotonda e larga. Ha una capigliatura folta e scura e singoli capelli ancora corti sparsi sulla tempia destra. Ha piccoli orecchi aderenti, ma io, essendole molto vicino, vedo tutto il retro del padiglione destro e l’ombra alla radice.
Mi chiesi in quel momento: “Come mai non è stupefatta di se stessa, come mai tiene la bocca chiusa e non ne fa parola?”
Il testo è suddiviso in tre paragrafi. A essere tematizzata nel primo è chiaramente l’alienazione del soggetto. La posizione dell’io narrante risulta inequivocabile per il lettore, eppure il passeggero non sa “giustificare” il fatto di trovarsi lì e non altrove – non lo sa “in alcun modo” (“auch nicht beiläufig”)[28], precisa Kafka. Si presenta così un primo paradosso, gravido di ambiguità: da un lato sono presenti precise indicazioni relative alla posizione fisica del soggetto (il fatto di trovarsi sulla piattaforma del tram viene ripetuto per ben due volte) e ai gesti contestuali che denotano la presenza ingombrante del mezzo di trasporto (l’essere aggrappato alla cinghia, il semplice fatto di “far[si] portare da questa vettura” o che “la gente scansi il tram”), dall’altro l’osservatore si dichiara, con un anticlimax, “del tutto insicuro riguardo alla [su]a posizione in questo mondo, in questa città, nella [su]a famiglia” (“vollständig unsicher in Rücksicht meiner Stellung in dieser Welt, in dieser Stadt, in meiner Familie”)[29]. Per mezzo di un raffinato congegno retorico, la prospettiva del brano ‘scivola’[30] quasi impercettibilmente dal piano psicologico a quello spaziale. Il paradosso non viene per nulla sciolto dall’io narrante, ma risulta neutralizzato attraverso il ricorso, successivo, a un punto di vista impersonale, in cui la prospettiva soggettiva risulta di fatto vanificarsi – “Nessuno lo pretende da me [di giustificare la mia posizione, N.d.A.]” – per poi venire doppiamente smorzato dall’espressione “ma non ha importanza” (“aber das ist gleichgültig”)[31]. Un procedimento analogo si trova in quella che è forse l’immagine di pensiero più celebre di Kafka, Gli alberi (Die Bäume): “Perché siamo come tronchi nella neve. In apparenza poggiano in superficie, e con una piccola scossa si dovrebbe poter spingerli via”; la seconda parte del testo (ultime due frasi) conferisce alla similitudine una torsione che non solo smentisce quanto precede, ma ne potenzia l’assunto metaforico mediante la reiterazione della nota sull’irrealtà: “No, non si può, sono saldamente congiunti al terreno. Ma guarda, anche questo è solo apparenza” (“Aber sieh, sogar das ist nun scheinbar”)[32].
Nel secondo paragrafo del Fahrgast, la prospettiva si sposta dall’interiorità al contesto – “Il tram si avvicina a una fermata” – focalizzandosi su di una singola figura: “una ragazza si accosta ai gradini, pronta a scendere”[33]. Ciò che segue non è semplicemente una descrizione realistica, bensì una rappresentazione serrata di dettagli esteriori chiaramente riconducibili a un corpo femminile, peraltro senza che questo corpo assuma mai una sua specifica identità. Si parte da dettagli esteriori come le “pieghe della gonna” e il “colletto di pizzo”, per concludere con i dettagli anatomici dei “piccoli orecchi aderenti” e addirittura con “l’ombra alla radice” del padiglione dell’orecchio destro[34]. L’immagine della ragazza viene dunque posta in evidenza per ipotiposi, ma in modo niente affatto neutrale, tanto che si potrebbe quasi pensare a un caso di scopofilia. Un indizio di erotismo – se tale può essere considerato – è dato dall’andamento direzionale (dal basso verso l’alto) e progressivamente selettivo dello sguardo del passeggero – che passa dal dettaglio generico della gonna a quello minimale dell’ombra sul padiglione auricolare; se non che questo sguardo denota una precisione inumana, paragonabile a quella di un’istantanea ad alta definizione. Non a caso, l’immagine qui descritta viene considerata da alcuni studiosi una visione stereoscopica, in riferimento al dispositivo ottico del Panorama imperiale (Kaiserpanorama) [35]. Anche in questo caso saremmo dunque di fronte a un fenomeno di rimediazione.
Ma ciò che più conta, in questa sede, è che i ‘segni’ di quest’immagine femminile rimangono indecifrati sulla pagina, non vengono cioè ricondotti a nessun tipo di struttura o codice di significazione particolare. L’immagine sussiste come insieme di evidenze parzialmente o potenzialmente significanti nella scrittura. Paradossalmente, lo straniamento che ne deriva non è il risultato di un’assenza, ma di una sovrabbondanza di evidenza. Evidenza che sottrae all’oggetto il suo significato consueto per conferirgliene uno puramente visuale. L’unica reazione che quest’apparizione di donna suscita nel passeggero è puro stupore, uno stupore che sotto molti aspetti ricorda la celebre poesia À une passante di Charles Baudelaire, ma che da quest’ultimo si differenzia per l’insicurezza riguardante il punto di vista del soggetto ed il conseguente effetto destabilizzante. Ed è questo sentimento che il passeggero, sul quale il terzo paragrafo torna a focalizzarsi attraverso una sorta di campo-controcampo cinematografico, tenta di riversare sull’oggetto della visione, per mezzo di una singola domanda: “come mai non è stupefatta di se stessa, come mai tiene la bocca chiusa e non ne fa parola?”[36]
La situazione è paradigmatica e permette di afferrare una delle dinamiche profonde del Denkbild. Come scrive Ernst Bloch in Tracce (Spuren), nel testo intitolato Il rovescio delle cose (Der Rücken der Dinge): “La rosa sa di essere una rosa? Questo interrogativo non è soltanto un tardo motto di spirito dell’intelletto, anzi, è già familiare ai bambini, proprio perché essi aderiscono alla realtà e prendono alla lettera ogni parola”, e più in là: “Da sempre è un sentimento angoscioso vedere le cose solo nell’istante in cui siamo noi a vederle”[37]. Tra il pensiero e l’eloquenza silenziosa delle cose si apre uno iato incolmabile, ed è questa l’esperienza, in Bloch, di Sindbad il Marinaio, che pensa di trovarsi su un’isola e invece si trova sul dorso di un mostro marino. Il tema dell’infanzia attraversa Betrachtung da cima a fondo: esso lega la prosa iniziale, Kinder auf der Landstrasse, al brano finale, Unglücklichsein, conferendo alla raccolta un carattere ciclico. In quest’ultimo testo, l’apparizione dell’alter ego dell’io narrante nelle sembianze di un bambino fantasma fa da eco al primo, chiaramente ambientato in un contesto extraurbano dai contorni indistinti e lievemente idilliaci, ancora lontano dalle frenesie del mondo ‘adulto’, ma che già guarda alla città come a un destino ineluttabile. Berliner Kindheit um neunzenhundert non è poi così lontana da tutto ciò.
- L’ ‘immagine-pensiero’ nel solco della scrittura kafkiana
Tra il 1904 e il 1912 Kafka giunge dunque a uno stile che si dimostra ampiamente autonomo sia rispetto al minimalismo descrittivo di Peter Altenberg e Robert Walser[38]. che lo precedono, sia riguardo agli sviluppi successivi in ambito espressionista. La base della tecnica figurativa sin qui descritta è un processo creativo dinamico e incentrato sulla scrittura come prassi esistenziale che non si esaurisce necessariamente nella notazione psicologica – una ‘trappola’, questa, tesa spesso e volentieri dall’autore, il quale pone ripetutamente in primo piano la dimensione soggettiva della propria arte in quanto “rappresentazione della [sua] sognante vita interiore” (“Darstellung [s]eines traumhaften inneren Lebens”)[39]. Benché Kafka non lasci trasparire, se non eccezionalmente, le proprie fonti, concentrando la propria scrittura sulla soggettività, ciò non significa che i suoi scritti si lascino interpretare partendo esclusivamente dal soggetto – tendenza assai diffusa nella critica kafkiana – nemmeno quando è lo stesso Kafka a portare i suoi lettori in quella direzione. Se in alcune lettere a Felice, ad esempio, egli considera la sua prima pubblicazione “una parte di me” (“ein Stück von mir”)[40], o addirittura “un’immagine di me del tutto veritiera” (“ein ganz wahrheitsgemäßes Bild von mir”)[41], tale affermazione presuppone pur sempre quel paradosso fondamentale a monte dell’intera opera definito da Mathias Mayer “autenticità di un ingannare senza inganno” (“Authentizität eines Betrugens ohne Betrug”)[42] che non è da confondersi con una semplice stilizzazione di sé.
Meglio quindi seguire il solco della scrittura kafkiana da vicino. Essa non segue pianificazioni precise, non fissa le proprie coordinate a priori su un modello formale o su un genere letterario predeterminato, bensì obbedisce a una dinamica interna, a essa peculiare, tendente all’ibridazione delle forme, all’incompiuto e all’opera aperta. Diverse miniature di Betrachtung risultano estrapolate dal manoscritto di Descrizione di una lotta, una pratica alla quale l’autore ricorre più e più volte nel corso della sua parabola creativa[43]. Nei quaderni di lavoro questa peculiare fluidità di scrittura risulta particolarmente evidente. I singoli testi si sviluppano all’interno di blocchi testuali più ampi, ai momenti di riflessione o autoriflessione seguono momenti di pura invenzione, senza soluzione di continuità. Spesso le notazioni diaristiche di Kafka permettono di risalire alle fonti di quelle immagini che la scrittura, in un secondo momento, può amplificare e condensare.
Gli appunti presi da Kafka durante i suoi viaggi sono veri e propri esercizi di osservazione, ai quali non di rado si aggiungono brevi note di riflessione che, per quanto laconiche, risultano già destabilizzanti in relazione alle immagini descritte. I resoconti di viaggio non vengono presentati come testi coerenti, bensì in una serie di schizzi – con frequente ricorso alla frase nominale –o per usare un’espressione dello stesso Kafka, di “osservazioni istantanee” (“Augenblicksbeobachtungen”)[44]. Assai nota è inoltre la capacità dello scrittore di fissare in pochi tratti di penna le fisionomie delle persone, spesso di sesso femminile, che gli si levano “davanti agli occhi come illimitate” (“gleich grenzenlos einem vor den Augen aufbrausen”)[45]. Sovrano nel registrare le ambivalenze dei singoli individui partendo da particolari fisici o comportamentali, o anche da semplici gesti, Kafka si dimostra conscio di questa sua dote peculiare: “non so affatto imitare il lato grossolano, smaccatamente caratteristico in tutta la sua ampiezza […]. Ho invece una decisa attitudine a imitare particolari del lato grossolano, mi sento spinto […] a imitare il modo che certuni hanno di maneggiare il bastone, l’atteggiamento delle loro mani, i movimenti delle dita”[46], dote che, tra l’altro, si traduce in una particolare abilità nel disegno. Le ben note virate kafkiane verso il surreale e lo straniante dei Quaderni in quarto e in ottavo traggono dunque la loro origine da una scrittura particolarmente attenta nel registrare le più impercettibili deviazioni dalle norme di comportamento sociale, partendo dall’auto-osservazione, come dimostra il breve testo raccolto in Betrachtung con il titolo Decisioni (Entschlüsse), che si conclude con il semplice gesto del “passarsi il mignolo sulle sopracciglia”[47], inizialmente registrato in una pagina di diario. Alla serie di questi veri e propri “microgrammi di vita sociale” (“Mikrogramme sozialen Lebens”)[48] appartiene la pagina di diario del 7 febbraio 1912 che descrive il lavoro delle operaie dello stabilimento per la lavorazione dell’amianto “Hermann & Co.”, di proprietà della famiglia Kafka e del cognato Karl Hermann. Il brano in questione mi sembra particolarmente significativo in relazione agli sviluppi successivi del Denkbild in ambito francofortese:
Ieri, in fabbrica. Le ragazze coi loro abiti sciolti e insopportabilmente sudici, con i capelli scarmigliati come al momento di svegliarsi, con l’espressione del viso trattenuta dall’incessante rumore delle cinghie di trasmissione e dalla singola macchina, automatica bensì, ma incalcolabile nei suoi arresti, non sono creature umane; nessuno le saluta, nessuno chiede scusa quando le urta, se sono invitate a fare un piccolo lavoro lo eseguono ma ritornan subito alla macchina; con un movimento del capo si indica loro dove devono intervenire; sono in sottoveste, in balìa del più piccolo potere e non hanno nemmeno abbastanza cervello tranquillo per riconoscere questo potere con sguardi e inchini e conquistarne la simpatia. Quando poi sono le sei e se lo comunicano a vicenda, si sciolgono il fazzoletto dal collo e dai capelli, si spolverano con una spazzola che fa il giro della sala ed è invocata dalle più impazienti, si mettono la gonna infilandola dalla testa, e quando alla bell’e meglio hanno le mani pulite finiscono, nonostante tutto, con l’essere donne, sanno sorridere ad onta del pallore e dei denti guasti, scrollano le membra irrigidite, non si può più urtarle, guardarle e fingere di non vederle, ci si addossa alle cassette unte per lasciar loro via libera, ci si leva il cappello quando dicono buonasera e non si sa come prenderla quando una tiene pronto il nostro pastrano per aiutarci a infilarlo.[49]
La raffigurazione del luogo di lavoro avviene attraverso un insieme di azioni. Le figure delle operaie risultano condensate in pochi tratti significativi. Inizialmente, esse vengono considerate alla stregua di esseri inumani, salvo poi rivelare qualche ‘traccia’ di umanità nella seconda parte del testo. A ben leggere, il realismo descrittivo che impronta la scena non fa che portarne a manifestazione il contenuto latente, altrimenti invisibile, e cioè quella struttura del potere capitalistico che le lavoratrici sono dette incapaci di riconoscere ma che rappresenta il presupposto implicito di ogni loro singola azione. Il luogo di lavoro squallido diventa così l’immagine immediatamente perspicua di tale potere, senza per questo voler né poter presumere una qualche intenzionalità o tendenza ideologica da parte dell’autore (si tratta pur sempre delle sue operaie). Ora, perché mai il procedimento figurale che qui si dispiega farebbe pensare a un’immagine-pensiero? Cosa distingue il brano da un semplice resoconto, da una semplice pagina di diario? La risposta andrà cercata nel testo. Le ultime righe contengono un’inversione in positivo delle dinamiche alienanti sin lì descritte che ingenera un cambio del punto di vista del soggetto narrante, il quale, da osservatore distaccato e impersonale, si fa coinvolgere nella scena entrando letteralmente nell’ultima parte del testo in qualità di personaggio – lo vediamo, infatti, «addossarsi alle cassette unte» e «levarsi il cappello» in segno di saluto. Ma questo ravvedimento nulla toglie alla suggestione che sprigiona la scena nel suo complesso, anzi, semmai ne rimarca il potenziale straniante.
A essere posto in primo piano, all’inizio, è il contenuto immaginale di un fenomeno tratto dalla realtà quotidiana, riconducibile alla categoria del logoro-realistico (cfr. supra); all’assimilazione quasi metamorfica del corpo femminile alla macchina segue però un inaspettato risveglio alla vita, che provoca un rovesciamento complessivo dell’immagine che si riflette nel passaggio da una prospettiva apertamente patriarcale, identificata nel sistema di produzione capitalistico vigente durante l’orario di lavoro, a una invece matriarcale, che invece prevale nelle ore di riposo. Partendo da una prospettiva utilitaristica, improntata alla razionalizzazione rigida dei ruoli sociali derivante dalla divisione del lavoro, lo scrivente torna quindi a provare quello stupore ancestrale, derivante dalla differenza di genere, da tale divisione apparentemente abolito. Dalla surdeterminazione metaforica di tale passaggio deriva l’innesco che mette in moto il pensiero, bloccando l’attenzione del lettore sull’immagine stessa, senza per questo esaurirsi in un significato univoco.
Questo tipo di operazione anticipa, di fatto, il ‘pensare concreto’ (konkretes Denken) di Siegfried Kracauer e l’immagine dialettica di Walter Benjamin, che “appare là, dove il pensiero si arresta in una costellazione satura di tensioni” (“wo das Denken in einer von Spannungen gesättigten Konstellation zum Stillstand kommt”), creando una “cesura nel movimento del pensiero” (“Zäsur in der Denkbewegung”)[50]. Anche la prosa breve di Benjamin e Kracauer coglie i fenomeni della vita moderna nella loro nuda concretezza e irripetibilità, applicando alla realtà sociale lo sguardo del detective, del flâneur o del bambino. Perciò, benché più distese e articolate nell’argomentazione, più diagnostiche che metaforiche, nella loro texture più vicine al saggio, all’articolo da feuilleton che al poema in prosa, le immagini-pensiero di questi due autori non sono prive di tratti in comune con quelle di Kafka. Il quale, sia chiaro, nei suoi brani non conduce alcuna analisi critica della realtà politica e sociale. Ciononostante, il potenziale dialetticamente sovversivo della sua scrittura sin qui messo in evidenza non rimane nascosto agli scrittori della generazione successiva.
Com’è noto, Adorno attribuisce alla prosa kafkiana un valore testimoniale della negatività del moderno, in cui si riflette la “crisi del senso, ovvero la sua irredimibile mancanza, nel cosiddetto ‘mondo amministrato’”[51]. Ma, prima ancora di Adorno, è Benjamin a occuparsi di Kafka in diversi saggi e recensioni che ne influenzeranno durevolmente la ricezione novecentesca[52], indirizzandola verso quell’angolatura interpretativa teologico-messianica che ancor oggi trova ampio consenso tra i critici. Anche se né il concetto benjaminiano di redenzione, né tantomeno il suo materialismo storico, in ultima analisi, risultano perfettamente sovrapponibili alla poetica dell’immagine kafkiana – nei testi migliori di Kafka la metaforizzazione va ben oltre la chiosa trascendente singoli gesti o immagini – è innegabile che Benjamin ricerchi in Kafka qualcosa di più che un semplice sostegno alle proprie teorie. In un celebre passaggio di una lettera a Scholem, lo scrittore berlinese definisce ironicamente Kafka il proprio “angelo dei malati [Krankenengel]”[53], questo poco prima della pubblicazione di Strada a senso unico (1928), una raccolta di prose brevi – Denkbilder, secondo Adorno[54] – traboccante di riferimenti impliciti al mondo kafkiano[55]. Non può dunque essere un caso che, nei successivi saggi incentrati sull’opera dell’autore praghese degli anni Trenta, Benjamin consideri kafkiane alcune tra le cifre più emblematiche della propria scrittura autobiografica – in particolare, tra le principali, l’immagine dell’omino gobbo, Das bucklicht[e] Männlein[56].
Non meno evidente è il debito nei confronti di Kafka di Kracauer, secondo il quale ogni configurazione dello spazio urbano è il frutto di rapporti sociali definibili a partire da immagini letteralmente colte per strada, istantaneamente. Le strutture rappresentative che stanno alla base di tali rapporti agiscono sia sul piano della coscienza sia dell’inconscio. Kracauer, tra i primi, assieme a Benjamin, a denunciare la pervasività dei media nella cultura contemporanea, è autore di Denkbilder[57], ed è lui stesso ad affermare di essere soggetto a “un’incredulità, che è anche di Kafka [ein Unglaube, dem Kafkas gleich]”[58]. Quest’affermazione si completa, entro un orizzonte intermediale, nel seguente passo, tratto da un saggio sulla fotografia che ritroviamo stampato in Das Ornament der Masse:
Spetterebbe […] alla coscienza dimostrare la provvisorietà di tutte le configurazioni date [Vorläufigkeit aller gegebenen Konfigurationen], se non addirittura ridestare l’idea del giusto ordine delle entità naturali. Nelle opere di Franz Kafka la coscienza emancipata si libera [entledigt sich] da quest’obbligo; essa frantuma la realtà naturale e confonde i frammenti tra loro [es zerschlägt die natürliche Realität und verstellt die Bruchstücke gegeneinander][…] Tra le possibilità intrinseche al film c’è proprio quella di sconvolgere questi elementi. Il film realizza questa possibilità laddove, associando parti e dettagli, dà vita a configurazioni inconsuete. Se la confusa mescolanza di immagini delle riviste illustrate è solo caos, questo gioco con la natura ridotta in pezzi fa pensare al sogno, in cui si aggrovigliano i frammenti della vita diurna [Fragmente des Taglebens]. [59]
Alla luce di questo e di simili brani, pensare a un Novecento nel segno di Kafka non pare implausibile[60]. Anche la prosa breve contemporanea si riferisce spesso e volentieri al modello kafkiano. Lo scrittore tedesco Heiner Feldhoff, ad esempio, nella sua raccolta di “Kürzestgeschichten” significativamente intitolata Kafkas Hund (2001), adotta quell’interruzione temporanea di giudizio su singole immagini, tratte perlopiù dall’ambito del quotidiano, che sta a fondamento di ogni immagine-pensiero. Feldhoff, sulla scia di Kafka e dei suoi successivi imitatori, descrive situazioni ordinarie, quasi banali, senza pretendere di trarne alcuna spiegazione, ricercando allo stesso tempo quell’effetto sospensivo e allusivo che ne mette a nudo il contenuto latente. Calata nel postmoderno, l’immagine-pensiero non ambisce più a fungere da critica estetica del presente, limitandosi troppo spesso al puro esercizio di stile. La scrittura sembra perdere la sua vocazione emancipativa, anche e soprattutto nei confronti degli altri mezzi di comunicazione.
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Note.
[1] Kafka (2007), p. 52. Per le citazioni dall’opera di Kafka (1982 ff.) si utilizzano le seguenti abbreviazioni: Br. I e II = Briefe 1900-1912, Briefe 1913-März 1914, a c. di H.-G. Koch. T I = Tagebücher, a c. di H.-G. Koch, M. Müller e M. Pasley. DzL = Drucke zu Lebzeiten, a c. di W. Kittler, H.-G. Koch e G. Neumann.
[2] Prima ancora che un fenomeno sociale, la flânerie rappresenta un paradigma percettivo particolarmente diffuso nell’Età del Moderno (Moderne), basato sull’osservazione distratta e tuttavia perspicace di singoli dettagli del tessuto urbano, che il passeggiatore percorre adagio, come se si trovasse in uno stato di trance permanente. La proverbiale indolenza del flâneur si contrappone alla dinamica frenetica della vita di città, pur essendone sotto molti aspetti una conseguenza. Ne derivano una percezione dello spazio-tempo discontinua, spesso destabilizzante, e un’eccezionale capacità di concentrazione sul dettaglio che però non è adatta a fornire un’interpretazione globale dei fenomeni. Parente stretto del flâneur è il detective, il quale invece si impegna in una lettura indiziaria del reale, a partire dalle singole tracce, nell’intento di ricostruire avvenimenti e di risolvere casi. Ora, se la narrativa kafkiana posteriore ricorre non di rado a quest’ultimo metodo di osservazione – si veda Crescenzi (2011) -, nella prosa breve del primo Kafka, è questa la tesi di partenza del presente contributo, è la flânerie a costituire il paradigma formale di fondo. Sul rapporto tra flânerie e Denkbild si rimanda a Calzoni (2008). Un primo indizio in questa direzione è dato dall’annotazione dei versi di una celebre canzone popolare francese, Le Flâneur di Casimir Ménétrier, avvenuta in concomitanza con il primo breve soggiorno parigino dell’autore: “moi je flâne / qu’on m’approuve ou me condamne /je vois tout /je suis partout”. Brod, Kafka (1987), p. 50.
[3] Precisamente nel nr. 86 del 27.03.1910. Kafka continuerà anche in seguito a pubblicare prose brevi in riviste e quotidiani, le indicazioni bibliografiche, complete di riproduzioni digitali, si trovano all’URL: www.textkritik.de/kafkazs/kafkadrucke.htm (ultima consultazione: 31.08.2016).
[4] Superato un certo disinteresse iniziale per la fase giovanile della produzione kafkiana, la ricerca, negli ultimi anni, ha portato in primo piano il valore intrinseco di questa raccolta, cfr. Kurz (2006 [19941]); Scheuer, Hartlieb, Salmen, Höfner (2003); Kübler-Jung (2005); Neumeyer, Steffens (2013); Duttlinger (2014). Per una contestualizzazione precisa della sua genesi si rimanda a Binder (1975), pp. 73-75, 86-87, 116-122 e Neymeyr (2010), pp. 111-126.
[5] Kafka (2006 [19701]) e Kafka (2014 [19911]).
[6] Cfr. Zymner (2009) e (2010a); Neumann (2010), spec. p. 61; Huyssen (2015), pp. 52-83, il quale, pur rifacendosi alla medesima tradizione letteraria, non usa il termine “Denkbild” bensì “miniature”.
[7] A Ernst Rowohlt, in Kafka (2013), 14.08.1912, p. 364, T I, p. 429, tr. leggermente modificata.
[8] A Felice Bauer, 29/30.12.1912, Br I, p. 372, tr. di chi scrive.
[9] Kafka (2013), 7.08.1912, p. 363, T I, p. 427.
[10] A Felice Bauer, 8.11.12, Br I, p. 222, tr. di chi scrive.
[11] Born (1979), 15-36 spec. pp. 18, 22, 29 e 33.
[12] Ivi, p. 21. Stoessl intende qui chiaramente il termine nel senso astratto di un ‘segno della memoria’. Sullo specifico significato del termine si rimanda a Grimm, Grimm (1983), vol 6, pag. 662, dove mal è equiparato a zeichen, cosicché Denkmal, nella sua accezione più astratta, risulta significare letteralmente ‘segno del pensiero’.
[13] Le pur possibili ipotesi che riconducono la Betrachtung kafkiana al genere saggistico post-nietzscheano delle Considerazioni (dalle Unzeitgemäße Betrachtungen in avanti) o, ancora, al genere aforistico (ad es. Arthur Schnitzler, Buch der Sprüche und Bedenken del 1927, silloge che più tardi viene accolta nella sezione delle opere complete intitolata Aphorismen und Betrachtungen) non sembrano a chi scrive del tutto plausibili.
[14] Per una definizione delle categorie d’analisi qui impiegate si rinvia a Orlando (2015), in particolare pp. 349-350 (sul Cruccio del padre di famiglia e sulla Metamorfosi) e pp. 459-463 (sul Processo).
[15] Ivi, p. 476.
[16] Un esempio di nonsense è dato dal testo intitolato Der Ausflug ins Gebirge, in cui l’autore si impegna in un singolare gioco semantico intorno al pronome ‘niemand’.
[17] A Felice Bauer, 29/30.12.1912, citata da Kafka (2014), p. 264, Br. I, p. 372.
[18] Kübler-Jung (2005), pp. 45 ss.
[19] Cfr. Scheuer, Hartlieb, Salmen, Höfner (2003), pp. VII-XIII, a p. XI la tesi che Kafka potesse considerare ironicamente La sua opera prima un libro per bambini è suffragata da un aneddoto raccontato da Gertrude Urzidil. Le edizioni facsimile di queste opere sono state pubblicate da Roland Reuß come supplemento della Historisch-Kritischen Franz Kafka-Ausgabe (FKA, Stroemfeld).
[20] Sul significato analitico di queste categorie si rimanda nuovamente a Orlando (2015).
[21] Adorno a Benjamin, 17.12.1934, si cita da Capaldi (2012), p. XIII (Schweppenhäuser 1981, p. 106). L’apice dell’interessamento di Kafka per il cinema si colloca tra il 1910 e il 1913, ossia nel periodo in cui si collocano le prime prove narrative. Tra le più recenti considerazioni sull’importanza del rapporto tra Kafka, la sua scrittura e il cinema si rimanda a Zischler (1996) e Alt (2009).
[22] Kafka (2014), p. 29, DzL, pp. 29-30. L’ultima figura potrebbe essere anche la possibile reminiscenza di una scena da teatro di rivista.
[23] Zymner (2010b), pp. 41-45, spec. p. 42.
[24] Come ampiamente documentato da Kurz (1984).
[25] Sul rapporto di Kafka con l’estetismo si veda Anderson (1992).
[26] Gustav Janouch, Colloqui con Kafka, in Kafka (2013), 1126 tr. modificata (Janouch 1951, p. 93).
[27] Huyssen (2015), 83, laddove per “rimediazione” si intende qualsiasi procedimento di innesto di forme e motivi, a livello intermediale, consistente nel trasporre un medium in un altro, di solito più recente (un’esperienza ormai quotidiana nell’epoca del digitale). Il riferimento teorico (pp. 8 ss.) è alle categorie introdotte nell’ambito degli studi letterari e culturali da Bolter Grusin (2000): immediacy (‘immediatezza’) hypermediacy (‘ipermedialità’) e, appunto, remediation (‘rimediazione’). Dato che Kafka traspone i contenuti e le forme di media recenti (il cinema, la fotografia) in uno indubitabilmente più antico (la scrittura), Huyssen può parlare di una rimediazione ‘a ritroso’.
[28] Kafka (2014), p. 28, DzL, p. 27.
[29] Ibidem.
[30] Si rimanda in proposito alla figura del gletiendes Paradox introdotto nella Kafka-Forschung da Neumann (1968).
[31] Kafka (2014), p. 28, DzL, p. 27.
[32] Kafka (2014), p. 31, DzL, p. 33.
[33] Ivi, p. 28, DzL, p. 27.
[34] Ibidem (DzL pp. 27-28).
[35] Goebel (2013), p. 127; Huyssen (2015), p. 69. Il Kaiserpanorama fu un oggetto d’intrattenimento assai in voga nei primissimi anni del Novecento, in grado di dare l’illusione della tridimensionalità. Kafka ebbe modo di farne esperienza, affermando addirittura di preferirlo al cinematografo in quanto le sue immagini risulterebbero «più vive», conferendo «allo sguardo la calma della realtà», considerazioni che annotò durante un viaggio a Friedland e Reichenberg nel gennaio-febbraio 1911, («die Ruhe der Wirklichkeit»), in Kafka (2013), 36; T I, p. 937.
[36] Kafka (2014), p. 28, DzL, p. 28.
[37] Bloch (2006), pp. 181-184.
[38] Giuliano Baioni, al contrario, senza fornire ulteriori distinzioni, considera il volumetto di Betrachtung «ancora chiaramente legato al tipo della narrativa impressionista di un Robert Walser o di un Peter Altenberg», Baioni (1997 [19621]), p. 80; Böschenstein (1984), invece, ipotizza una differenza sostanziale tra Kafka e i miniaturisti precedenti. Che la prosa breve kafkiana rappresenti uno snodo fondamentale nell’arco che idealmente collega Altenberg a Benjamin è del resto una delle tesi principali alla base del volume a cura di Engel, Robertson (2010), incentrato sul rapporto tra Kafka e la prosa breve dell’Età del moderno.
[39] Diari, 6 agosto 1914, in Kafka (2013), p. 485, T I, p. 546.
[40] A Felice Bauer 29/30.12.1912, cit. da Kafka (2014), 264, Br. I, p. 372.
[41] A Felice Bauer, 3/4.1.1913, tr. di chi scrive, Br. II, p. 18.
[42] Mayer (2015), pp. 103 ss. Tale paradosso assume valenza poetologica attraverso la funzione specifica assunta dalla doppia negazione (litote) nella prosa kafkiana, attraverso la quale il rapporto della scrittura con il reale si configura come un passaggio non privo di tensioni dalla negatività alla possibilità.
[43] È il caso di Vestiti (Kleider, stesura A), Bambini sulla strada maestra e La gita in montagna (Kinder auf der Landstraße, Der Ausflug ins Gebirge, stesura B) e Gli alberi (Die Bäume, in entrambe le stesure). Quella di estrapolare prose brevi da complessi testuali più estesi e articolati è una pratica a cui Kafka ricorre più di una volta, basti pensare alle prose riconducibili al complesso di Descrizione di una lotta (ossia al Colloquio con l’orante e al Colloquio con l’ubriaco) pubblicate singolarmente nella rivista Hyperion di Franz Blei nel 1909, oppure alla celebre ‘parabola’ inserita nel Processo ma pubblicata con il titolo Davanti alla legge (Vor dem Gesetz) in Un medico condotto. Non di rado, nel percorso che dai quaderni di lavoro conduce alla stampa, i testi possono subire modifiche notevoli. Piuttosto che a un procedere lineare orientato verso un telos è dunque più opportuno rappresentarsi la scrittura kafkiana nei termini di un flusso discontinuo, in cui i passaggi stesi di getto si alternano a blocchi e pentimenti frequenti.
[44] Diari, 29 settembre 1911, in Kafka (2013), p. 177. T. I, p. 43.
[45] Ibidem, tr. modificata. Per quest’aspetto si rimanda allo studio fondamentale di von Matt (2000). Sulla questione (a ciò collegata) della resa della fugacità attraverso i dispositivi visuali presenti nella prosa di Kafka si rimanda a Horstkotte (2014).
[46] Diari, 30.12.1911, in Kafka (2013), p. 307. T. I, p. 329.
[47] Diari, 5.2.1912, in Kafka (2013), p. 332, T. 371-372, e cfr. Kafka 2014, p. 23, DzL, p. 19.
[48] Schiffermüller (2011), p. 86. La ricostruzione di Schiffermüller si concentra in particolare sulle questioni relative alla gestualità e alle sue declinazioni espressive nella prosa kafkiana, fornendo così un apporto sostanziale, seppur indiretto, all’analisi di alcuni Denkbilder.
[49] Diari, 7 febbraio 1912, in Kafka 332-333, T I, 373-374.
[50] Benjamin (2000), 534 (Appunti e materiali. Teoria della conoscenza e del progresso); Benjamin 1982, p. 595 (Erkenntnistheoretisches, Theorie des Fortschritts).
[51] Valentini (2010), p. 144.
[52] Per una raccolta di saggi e testimonianze epistolari si rinvia a Schweppenhäuser (1981).
[53] A Scholem, novembre 1927, si cita da Schweppenhäuser (1981), p. 63.
[54] Si veda l’introduzione al presente volume.
[55] Cfr. Wizisla (2012).
[56] Benjamin, Franz Kafka. Zur zehnten Wiederkehr seines Todestages, in Schweppenhäuser (1981), pp. 25 ss. Il riferimento è, ovviamente, a Berliner Kindheit.
[57] Cfr. su questo aspetto Schlaffer (1973).
[58] Siegfried Kracauer a Ernst Bloch, 29.06.1926, in Kracauer – Bloch (1985), p. 281. Tr. di chi scrive.
[59] La fotografia, articolo pubblicato da Kracauer nella Frankfurter Zeitung il 28 ottobre 1927, in Kracauer (1982), p. 127, tr. modificata.
[60] Si veda il contributo di Camilla Passigli su Günther Anders pubblicato nel presente volume.
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