MARIO GEROLAMO MOSSA – BOB DYLAN E “LIKE A ROLLING STONE”: UN’ANALISI POETICO-MUSICALE
[Il presente contributo è tratto dalla tesi magistrale Le figure della voce. Lo studio letterario della canzone in Italia e negli Stati Uniti. Con un’esemplificazione su Like a Rolling Stone di Bob Dylan. Il contenuto delle sezioni estratte corrisponde a una versione maggiormente approfondita della relazione proposta in occasione dell’ottavo “Seminario per Francesco Orlando” (Università di Pisa, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, 30 maggio 2018). Mario Gerolamo Mossa si è laureato in Filologie e Letterature Europee presso l’Università di Pisa, dove è attualmente iscritto al primo anno di dottorato in “Studi Italianistici”. Si occupa di poesia contemporanea italiana e anglofona, rapporti tra letteratura e musica, oralità, popular music e filologia della performance.]
Introduzione
Pubblicata il 20 luglio 1965 come 7-inch single insieme a “Gates of Eden” e poi, il 30 agosto dello stesso anno, come brano d’apertura di Highway 61 Revisited, Like a Rolling Stone è stata spesso definita, senza mezzi termini, “the greatest song of all time”. Questo giudizio di valore, non a caso, è stato diffuso in particolare dalla celebre rivista Rolling Stone, fondata nel 1967 da Jann Wenner in seguito alla lettura di un articolo coevo di Ralph Gleason intitolato come la canzone di Dylan. Nonostante una simile opinione sia già in sé criticamente vuota, oltre che inaffidabile per l’evidente “conflitto di interessi”, essa rappresenta in ogni caso un segno tangibile dell’enorme impatto di Like a Rolling Stone sulla storia della popular culture secondo novecentesca. La canzone, per certi versi, può essere considerate una sorta di “piccolo contenitore” in cui sono distinguibili, in nuce, tutti i più importanti stimoli culturali degli anni Sessanta nordamericani, a cominciare dalla letteratura beat fino alle involuzioni individualiste interne al movimento per i diritti civili. Non è quindi un caso che su questo brano di oltre sei minuti siano state scritte centinaia di pagine provenienti da campi del sapere molto diversi, dal giornalismo alla psicoanalisi, dalla sociologia agli studi di genere, dalla politologia alla critica letteraria. Per non parlare, ovviamente, della fitta ed eterogenea schiera di dylanologi che nell’arco di oltre mezzo secolo hanno tentato di contestualizzare il ruolo di Like a Rolling Stone all’interno della produzione dell’autore, adottando punti di vista e metodologie critiche che spaziano dal tradizionale resoconto biografico rock a esperimenti di natura comparatistica e interdisciplinare, ascrivibili innanzitutto all’universo accademico dei popular music studies.
Da una prospettiva formale, tuttavia, l’unicità della canzone non è motivabile soltanto in funzione del suo valore storico, ma riguarda da vicino anche i materiali messi a disposizione dello studioso per l’impostazione dell’analisi poetico-musicale. La rilevanza quantitativa e qualitativa di questi ultimi consente di ricostruire nel dettaglio le dinamiche creative che portarono l’autore a sperimentare le potenzialità semantiche di questo brano fino a individuarne l’identità stilistica e performativa. Potremmo anzi affermare che, nel caso di Like a Rolling Stone, siamo quanto mai vicini al concetto filologico di “originale in movimento”: se tale nozione normalmente identifica le correzioni d’autore apportate nel tempo al medesimo autografo, qui va intesa sia in senso tradizionale sia in senso “letterale”. La genesi della canzone, infatti, presuppone la continua correlazione tra testimonianze scritte e musicali che, pur appartenendo a fasi diverse dello stesso processo creativo, l’autore sceglie di considerare rilevanti per produrre una rappresentazione completa dell’opera. Dal momento che Dylan riesce solo in parte a raggiungere questo obiettivo, l’“originale” di Like a Rolling Stone, di fatto, “non esiste”, ma può solo essere percepito come tale attraverso il confronto tra queste fonti in costante “movimento”.[1]
Analisi filologica e processo compositivo
Il processo compositivo di Like a Rolling Stone è testimoniato sia da cinque autografi riconosciuti dall’autore come autentici (T, R, C, D, E) sia da venti outtakes registrati presso lo Studio A della Columbia Records (799 Seventh Avenue, New York) nel corso di due recording sessions tenutesi il 15 e il 16 giugno 1965. Mentre le fonti testuali non sono mai state pubblicate in edizioni critiche filologicamente attendibili, le incisioni possono essere ascoltate nel dodicesimo volume di The Bootleg Series, intitolato The Cutting Edge 1965-1966 (Columbia/Legacy, 2015, d’ora in poi TCE).[2] Se i primi tre testimoni (T, R, C) risalgono a momenti diversi del 1965, gli altri due (D, E) sono stati redatti verosimilmente nel corso del primo decennio degli anni Duemila e la loro rilevanza è limitata soprattutto a questioni metriche in parte indipendenti dalla composizione.[3] Dei tre autografi scritti nel 1965, soltanto il terzo (C) è databile con sicurezza al primo ottobre.[4] T e R non contengono datazioni riconoscibili, ma presentano due versioni del testo senza dubbio precedenti al 15 giugno, autorizzando così l’adozione di tale data come terminus ante quem della loro stesura. Quanto al terminus post quem, l’influenza esercitata su entrambi i testimoni dalla breve prosa dattiloscritta Alternatives to College motiva la necessità di considerarli successivi alla composizione di quest’ultima, avvenuta il 3 o il 4 maggio durante la permanenza di Dylan all’hotel londinese Savoy.[5]
Poiché le evidenze testuali non contengono indizi circa l’ordinamento cronologico di T e R, dobbiamo fare riferimento sia ad alcuni dati deducibili dalla loro natura materiale sia al confronto delle loro lezioni distintive. Mentre T corrisponde a un dattiloscritto di una pagina attualmente conservato al Bob Dylan Archive di Tulsa,[6] R è stato redatto a matita su quattro fogli (240 x 150 mm) che riportano un’intestazione precisa: “The Roger Smith, Washington D.C. 20006, Pennsylvania Ave at 18th ST. N.W., One block from The White House”.[7] Nonostante questa prima distinzione inviti a ritenere R precedente a T, la consultazione diretta degli autografi smentisce tale deduzione: nel dattiloscritto, infatti, la prima strofa e i primi quattro versi della seconda (in forma completa) sono seguiti da sequenze verbali spesso difficilmente riconducibili alle altre strofe, laddove il manoscritto presenta invece la versione definitiva delle prime tre strofe e una bozza incompleta della quarta. Inoltre, mentre in T va rilevata la totale assenza di lezioni connesse al chorus, quest’ultimo rappresenta in R la principale preoccupazione dell’autore, nonché la sezione del testo maggiormente incompiuta sia per quanto riguarda il numero di versi sia per ciò che concerne il loro contenuto.
Il 20 febbraio del 1966, esattamente a quattro mesi di distanza dalla pubblicazione di Like a Rolling Stone, il giornalista della CBC Martin Bronstein riuscì a intervistare Dylan subito dopo il suo concerto a Montreal dello stesso giorno e, in risposta alla domanda “What particular […] song […] would you say you remember as being a breakthrough for you? Was it Blowin’ in the Wind?”, l’artista rispose:
There’s been a few. […] Blowin’ in the Wind was – to a degree, but I was just a kid, you know, I mean, I didn’t know anything about anything at that point. I just wrote that, you know, and that wasn’t it really. Mr. Tambourine Man, er… I was very close to that song. I kept it off my third album just because I felt too close to it to put it on you know. […] The other, if you’re talking about what breakthrough is for me, I would have to say, speaking totally, would be Like A Rolling Stone because I wrote that after I’d quit. I’d literally quit singing and playing, and I found myself writing this song, this story, this long piece of vomit about twenty pages long, and out of it I took Like A Rolling Stone and made it as a single. And I’d never written anything like that before and it suddenly came to me that that was what I should do, you know. […] I think Like A Rolling Stone is definitely the thing which I do, man. That’s write songs. […] After writing that, I wasn’t interested in writing a novel, or, you know, a play or anything. Like, I knew – I just said “Too much” (Bronstein 1966 in Jarosinski 2006: 300, cors.d.cur.).
Se il concetto di breakthrough song sarà rilevante per comprendere la funzione svolta da Like a Rolling Stone all’interno della poetica dylaniana, è rilevante che tale idea venga qui collegata esplicitamente al processo creativo. Quest’ultimo viene descritto più come il frutto di un’intuizione che come il risultato di un progetto consapevole, dal momento che le parole del brano non erano nate per essere cantate, ma facevano parte di una lunga prosa ritmica (“long piece of vomit”, d’ora in poi P) riconducibile alle sperimentazioni beat condotte sin dal 1963 e culminate nella stesura del prosimetro Tarantula (pubblicato da Macmillan nel 1971, ma redatto intorno al 1965-1966). L’autore dichiara, non a caso, che fu proprio la scrittura di Like a Rolling Stone a motivare l’abbandono dei suoi progetti non musicali, creando così una linea di continuità con le analisi di molti studiosi (tra cui: Marcus 2005; Polizzotti 2006; Heylin 2009 e 1991-2011; Wilentz 2010; Bell e2014) che individueranno alla base della canzone l’esigenza di soddisfare ambizioni letterarie attraverso le potenzialità espressive di uno schema poetico-musicale. Tuttavia, l’obiettivo di Dylan non è affatto proporre categorie critiche utili alla storicizzazione della sua carriera, ma piuttosto rievocare delle dinamiche compositive percepite allora come inedite e quindi degne di nota. Pochi mesi dopo l’incontro con Bronstein, infatti, Dylan ritornò sulla questione nel corso di un’altra intervista, rilasciata stavolta a Jules Siegel per il Saturday Evening Post:
It was ten pages long […] It wasn’t called anything, just a rhythm thing on paper […] I had never thought of it as a song, until one day I was at the piano, and on the paper it was singing, ‘How does it feel?’ in a slow motion pace. […] I wrote it. I didn’t fail. It was right” (Siegel 1966 in McGregor 1972: 158; cors.d.cur.).
Se il numero delle pagine è destinato a cambiare ancora in un resoconto dell’epoca pubblicato da Robert Shelton nel 1986 (“‘Like a Rolling Stone’ […] was very vomitific in its structure. … It seemed like twenty pages, but it was really six. I wrote it in six pages. You know how you get sometimes. And I did it on a piano”, Shelton 1986: 279; cors.d.cur.), le dinamiche compositive accennate a Siegel sono confermate da una ricostruzione scritta dall’autore oltre vent’anni dopo per l’inserto speciale di Rolling Stone intitolato The 100 Best Singles of The Last Twenty-Five Years (8 settembre 1988):
The song was written on an old upright piano in the key of G-sharp, then later at Columbia Recording Studios transferred to the key of C on the guitar. The chorus part came to me first and I’d sorta hum that over and over: then later figured out that the verses would start low and move on up (Dylan 1988 in Jarosinski 2006: 1066, cors.d.cur.).
Entrambe le dichiarazioni sembrano mettere in discussione l’ordinamento cronologico deducibile dal confronto tra i due autografi del 1965, dal momento che la totale assenza del chorus in T rappresenta una delle prove più evidenti della precedenza del dattiloscritto rispetto al manoscritto. Tuttavia, è probabile che l’autore non si riferisca qui alla stesura completa del testo del chorus, ma soltanto al preciso momento in cui la struttura musicale del ritornello ha acquisito rilevanza in funzione delle parole “How does it feel?”.[8] Il fatto che “How does it feel?” sia stato il primo verso ad essere stato composto non implica quindi, allo stesso tempo, che Dylan avesse ultimato la redazione di tutti gli altri versi della stessa sezione prima di dedicarsi alle strofe. È anzi verosimile l’esatto opposto e cioè che, dopo l’ideazione di “How does it feel?”, l’autore avesse avuto bisogno innanzitutto di elaborare nelle strofe un testo che avrebbe imposto un sistema di aspettative confacente alla forza dichiarativa/interrogativa delle prime parole del chorus. Focalizzarsi fin da subito sui versi restanti del ritornello, inoltre, non sarebbe stato solo illogico (dato che la storia della canzone ancora non esisteva) ma forse persino impossibile, visto che, ancora nella fase avanzata di R, Dylan si mostra indeciso tanto sul contenuto dei versi del chorus quanto sul loro esatto numero. Tutto ciò fa pensare che strofa e ritornello non furono soltanto concepiti in momenti differenti, ma richiesero anche un tipo di composizione molto diversa.
A questo punto occorre rilevare una sottile contraddizione nelle affermazioni del 1966: se infatti P consisteva davvero in una lunga prosa dattiloscritta “mai pensata in quanto canzone”, è difficile immaginare che essa potesse trovarsi sotto gli occhi dell’autore proprio mentre questi era seduto al piano. È invece più plausibile che, suonando, Dylan avesse associato per caso determinate idee musicali al contenuto di P, indipendentemente dal fatto che la prosa in questione contenesse o meno la domanda “How does it feel?” nella sua forma definitiva. A tal proposito, il documentario Dont Look Back di D.A. Pennebaker (uscito nel 1967 ma incentrato sul Bob Dylan England Tour 1965, 30 aprile-10 maggio) offre degli utili spunti di riflessione. Dal minuto 44:26 al minuto 44:43, infatti, vediamo e sentiamo Dylan nell’atto di improvvisare al piano una progressione ascendente molto simile a quella che di lì a poco sarebbe stata usata in Like a Rolling Stone per i primi quattro versi di ogni strofa:
Esempio 1.1. Il frammento di “Dont Look Back” |
Pur essendo suonato in tonalità di Fa# (e cioè un tono sotto rispetto a quanto dichiarato dall’autore e alle incisioni del 15 giugno), il frammento rivela che, ai tempi del tour inglese, l’armonia della strofa era molto più sviluppata di quella del ritornello. Tecnicamente, la rapida scala discendente dalla dominante Do# alla tonica Fa# non era ancora intesa come chorus, poiché in questo caso la regressione, imposta dopo la progressione inversa (dalla tonica alla dominante), agiva da semplice accorgimento risolutivo dell’intero giro. Sebbene tale dialettica tra “salite” e “discese” assumerà un’importanza centrale nell’armonia definitiva delle strofe, è rilevante notare che, cantando l’ultimo verso, Dylan sceglierà di lasciare sospesa la dominante per far coincidere la risoluzione della tonica con l’intonazione di “How does it feel?”:
Esempio 1.2. Primo verso del chorus di “Like a Rolling Stone” |
Questa intuizione, quindi, non consentì soltanto di trasformare l’originale chiusura del giro nell’inizio del chorus, ma comportò soprattutto l’adozione della progressione ascendente come base per la struttura armonica delle strofe. Il raggiungimento di tale consapevolezza può allora motivare, da un punto di vista musicale, l’esigenza dell’autore di dedicarsi innanzitutto alle parole delle strofe: per comporre queste ultime, infatti, egli disponeva ora sia di un preciso modello testuale rappresentato da P sia di un sistema di passaggi armonici percepito ormai come sezione autonoma rispetto al ritornello. L’utilizzo combinato di simili materiali permise la costruzione di una complessa architettura narrativo-musicale scandita da quattro momenti principali: due salite complete dalla tonica alla dominante (a); due discese “interrotte” dalla sottodominante alla dominante (b); due discese dalla sottodominante alla tonica (c); una salita finale dalla tonica alla dominante, “abbreviata” però sia dal riutilizzo della tonica di c sia dall’assenza della mediante (d). La struttura armonica del chorus non conobbe sviluppi analoghi, ma si stabilizzò nella semplice ripetizione, realizzata tramite una sincope, della sequenza triadica tonica-sottodominante-dominante: dato che quindi la “storia musicale” narrata da queste progressioni era sempre la stessa, si capisce perché l’autore dovesse necessariamente riferirsi alla “storia verbale” esposta nelle strofe per stabilire un numero fisso di iterazioni e di versi corrispondenti.
[Le leggi americane sul copyright mi impediscono purtroppo di diffondere online le varianti dattiloscritte di T, che ho potuto consultare grazie alla gentilezza e disponibilità di Mark Davidson, Head Archivist al Bob Dylan Archive di Tulsa. Chiunque fosse interessato a consultare per intero la parte filologica del mio lavoro può comunque scrivermi al mio indirizzo mail mgerolamomossa@hotmail.it. L’analisi poetico-musicale proposta di seguito si riferisce alla Master Take o PIC (Prima Incisione Conosciuta), corrispondente alla Take 4 registrata a New York il 16 giugno 1965 presso lo Studio A della Columbia Records e considerata da tutti la versione “originale” di Like a Rolling Stone. Dal momento che la seguente interpretazione trae continuamente spunto dai dati raccolti in seguito all’analisi filologica, è necessario premettere ad essa uno stemma che riassuma la ricostruzione del processo compositivo e chiarisca al lettore il significato delle sigle utilizzate nel corso della trattazione (lo stemma è di per sé assente nella tesi ed è stato creato appositamente per essere pubblicato su Mimesis)]
La prima strofa (vv. 1-9)
Il colpo di rullante che apre la Master Take “non è tanto grande quanto quello della take precedente, ma in qualche modo riesce a crearsi più spazio, sospinge gli altri più in là per la frazione di secondo necessaria all’attacco” (Marcus 2005: 142). Questo “scoppio” improvviso svolge infatti la funzione di attention getter e introduce quattro passaggi di I-IV che vengono suonati dalla chitarra di Dylan e che l’accompagnamento degli altri strumenti (la batteria di Bobby Greg, il piano di Paul Griffin, il basso di Joseph Macho Jr., il tamburino di Bruce Langhorne, l’organo di Al Kooper, la chitarra solista di Michael Bloomfield) trasforma in una vera e propria “fanfara” dal suono maestoso. Tale atmosfera “da parata” trasporta l’ascoltatore, fin dai primissimi secondi, in mezzo a un’affollata strada cittadina, che diventa così sia il luogo in cui il narratore-cantante si prepara idealmente a raccontare la sua storia, sia lo spazio narrativo in cui la storia stessa sarà ambientata.
Il timbro vocale di Dylan non attribuisce alla fanfara un senso univoco, ma ne contestualizza le implicazioni semantiche in due direzioni opposte: la parata, con tutte le sue connotazioni ufficiali (dall’ambito militare a quello politico-istituzionale) è cioè anche una sfilata di carnevale volta a sovvertire momentaneamente i normali equilibri dell’ordine costituito. Elaborando la suggestiva definizione di un critico, potremmo dire che la voce del cantante è “grigia”, derivata da una “miscela” di bianco e di nero che le consente di esprimersi con toni autoritari e allo stesso tempo irriverenti. Lo spazio verbale del primo a è infatti occupato da due versi ritmicamente regolari e metricamente speculari:
PIC
|
Schema
|
|||
a | Do Rem || | |||
1 |
Ónce ŭpón | ă tíme yŏu dréssed sŏ fíne |
|
1 |
cretico + 3 giambi |
|
Mim Fa || | ||||
2 |
{Yŏu} thréw thĕ búms ă díme | ín yŏur príme |
|
+ troc. + 2 (3) giam. + cret. |
||
Sol || || | ||||
dídn’t yóu ? |
|
+ spondeo |
Anche se l’espunzione di you dal secondo verso comporta la formazione di un trocheo, l’originale andamento giambico dei tre piedi iniziali non è messo in discussione, dal momento che esso riproduce la successione di tre giambi che aveva concluso il verso precedente. Se questo “chiasmo ritmico” è confermato dalla presenza del cretico iniziale e di quello finale, l’intonazione dello spondeo “dídn’t yóu” giunge invece in modo inatteso: la sua funzione è infatti riempire un tratto dello spazio verbale intermedio tra l’arrivo della dominante e il suo mantenimento prolungato per un’intera battuta senza parole. Tale espediente aumenta la tensione a cui viene sottoposto il quarto grado e accresce ulteriormente l’aspettativa della tonica. Per comprendere il valore semantico della question tag occorre riferirsi a quanto viene cantato nei primi due versi.
“Once upon a time”, il più tradizionale degli incipit, inizia la storia della canzone “tranquillizzando” l’ascoltatore e facendogli credere che la voce racconterà una fiaba. La sostanziale lentezza con cui Dylan intona, in modo quasi spassionato, il primo cretico, contrasta però con la rapida scansione delle due serie giambiche seguenti, le quali introducono l’argomento della narrazione interrompendo fin da subito la sospensione volontaria dell’incredulità. In questo senso, la negazione della fiaba è inaugurata dallo you del primo verso, che impone una dimensione dialogica e crea, allo stesso tempo, una connessione diretta tra il tempo passato di dressed e il presente della canzone. L’ascoltatore intuisce quindi che un non meglio precisato “io” si sta rivolgendo a un altrettanto oscuro “tu”, che potrebbe essere già identificato con una donna sia in funzione dalla parola dress (a cui rimanda il verbo corrispondente) sia in funzione del cretico finale “in your prime”. Esso rappresenta un’allusione involontaria al tradizionale topos della fugacità della bellezza femminile, rielaborato qui mediante l’associazione tra provvisorietà della ricchezza e gioventù: “in your prime” è infatti messo in evidenza sia dall’accentazione irregolare su in (se il segmento non fosse cantato, suonerebbe “in yóur príme”), sia dal suo rapporto con l’incipit, reso ambivalente dal contrasto tra equivalenza metrica e posizione specularmente opposta. Da un punto di vista stilistico, la raffinatezza dei vestiti e la rievocazione nostalgica del “fiore degli anni” contrastano con il linguaggio crudo e smaliziato della seconda successione giambica, in cui il riferimento ai centesimi e l’informale bums riportano bruscamente l’ascoltatore nel mondo della strada: l’identità tra bellezza e ricchezza assume quindi una connotazione ridicola, dal momento che essa, ora declinata al passato, presupponeva un’arroganza che lo sconosciuto “tu” non può più permettersi di manifestare. In tal senso, si può dire che la scelta di cassare in R la variante “at scene of the crime” (3c) sottoscritta a “in your prime” si sia rivelata del tutto vantaggiosa, dal momento che ha consentito ai due versi iniziali di preservare questa raffinata commistione tra la dimensione idilliaca della fiaba e la dura realtà della vita cittadina. Una soluzione come “threw the bums a dime at scene of crime”, oltretutto, avrebbe comportato un’identificazione eccessiva con i pregiudizi di uno you benestante incapace di comprendere la differenza tra barboni e criminali.
L’intreccio tra illusione e disillusione è espresso anche mediante la prima occorrenza del già citato “pile-up effect” di Michael Gray. A un primo ascolto, la quadrupla rima time : fine : dime : prime mette in correlazione i due versi (fine: prime) creando una connessione tra l’abbigliamento costoso e la giovinezza; la rima time : dime, tuttavia, mette in discussione tale associazione, ponendo in contrasto l’atmosfera fiabesca con quella metropolitana. La stessa contraddizione si manifesta anche mediante le insistenti allitterazioni in nasale bilabiale e alveolare (“ONce upoN a tiMe you dressed so fiNe | Threw the buMs a diMe iN your priMe”), che impongono un “livellamento sonoro” contrastato dall’alternanza tra serie di occlusive alveolari e bilabiali e serie di fricative labiodentali e dentali (“Once uPon a Time you DresseD so Fine | THrew THe Bums a Dime in your Prime”). Alla luce di tali considerazioni, l’aumento di tensione prodotto da “didn’t you” può essere considerato un espediente poetico-musicale grazie al quale il narratore può cinicamente “girare il coltello nella piaga” sia rispetto al rovescio di fortuna del “tu” a cui si rivolge sia rispetto alla curiosità degli ascoltatori.
I versi cantati a partire dall’inizio del secondo a non sono caratterizzati dagli stessi equilibri armonico-verbali della prima progressione ascendente:
PIC
|
Schema
|
|||
a | Do Rem || | |||
3 |
Péoplĕ’d cáll, | săy, “Bé – wăre dóll, |
|
2 |
cretico + 2 giambi |
|
Mim Fa || | ||||
4
|
yŏu’re bóund tŏ fáll” | Yŏu thóught thĕy wĕre áll |
|
+ 2 giam. + giam. + anap. |
||
Sol || | ||||
kíddĭn’ yóu |
|
+ cretico |
Come il primo verso, anche i primi due emistichi del terzo sono strutturati secondo lo schema “cretico + giambi”, anche se l’ultimo terzo dello stesso segmento e la prima metà del successivo contengono un’inversione soltanto parziale del modello precedente: dopo la cesura successiva ai due giambi iniziali (“yŏu’re bóund tŏ fáll”), infatti, non è presente un cretico, ma una nuova sequenza giambica peraltro rafforzata dall’aggiunta di un anapesto (“Yŏu thóught | thĕy wĕre áll”). Il cretico originario è posticipato di un piede e finisce per sostituire lo spondeo del verso 2, con il quale tuttavia rima, riproducendo inoltre la doppia occlusiva dentale sonora (“didn’t you : kiddin’ you”) e creando un’evidente contraddizione tra la versificazione scritta e quella cantata: prestando fede alla seconda, l’intero tratto di spazio verbale occupato in corrispondenza dei singoli a potrebbe essere considerato un unico verso, secondo lo stesso sistema adottato dall’autore di D e E per riprodurre su carta le abitudini performative.
Il testo intonato in coincidenza della seconda salita armonica sposta l’attenzione dell’ascoltatore dallo you alle persone che, prevedendo la sua rovina, cercavano costantemente di metterlo in guardia. La citazione tra virgolette di questo ironico memento mori presuppone l’intenzione del narratore di far coincidere momentaneamente la propria voce con quella impersonale della gente: così facendo, l’“io” può sia dichiarare la propria appartenenza a tale gruppo di individui anonimi, sia come loro sentirsi allo stesso tempo offeso e frainteso dal “tu”. L’uso dell’informale doll, infatti, non si limita a confermare all’ascoltatore la sua ipotesi iniziale sulla sessualità dello you, ma suggerisce anche un’identificazione tra la people e i bums del verso 2, come se il memento stesso fosse appunto la reazione collettiva dei barboni agli atteggiamenti sprezzanti della donna. Il “tamponamento a catena” di questi versi, non a caso, implica un cambio di sonorità coerente con le intenzioni mimetico-realistiche del discorso diretto (evidenti per esempio nell’accentazione non standard di “béware”): l’omogeneità prima garantita dalle parole rimanti in nasale è ora generata da monosillabi terminanti in laterali alveolari (“PeopLe’d caLL, say, Beware doLL, you’re bound to faLL | You thought they were aLL”), a cui si oppongono successioni di occlusive bilabiali e fricative (“PeoPle’d call, say, Beware doll, you’re Bound to Fall | You THought THey were all”).
Le discese interrotte dei due b e quelle complete dei due c generano distici caratterizzati da patterns molto più semplici e quasi perfettamente regolari:
PIC
|
Schema
|
|||
b | Fa || Sol || | |||
5 |
Yóu ŭsed tó | láugh ăbóut |
|
3
|
cretico + cretico |
|
b | Fa || Sol || | |||
6 |
Éverўbódў thát wăs | hángĭng óut |
|
4 |
3 trochei + cretico |
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
7
|
Nów yŏu dón’t | tálk sŏ lóud |
|
5 |
cretico + cretico |
|
c | Fa Mim || Rem Do | |||
8 |
Nów yŏu dón’t | séem sŏ próud |
|
6 |
cretico + cretico |
Come si legge, la trasformazione di “didn’t you” in “kiddin’ you” ha acquisito ora una funzione strutturante, dal momento che Dylan sceglie, senza eccezioni, di concludere ogni verso mediante l’aggiunta di un nuovo cretico. La rilevanza paradigmatica assunta da questo piede è segnalata non a caso sia dalla cesura che introduce le singole occorrenze, sia dal sistema di rime e assonanze (about : out : loud : proud), che facilita ulteriormente la percezione dell’equivalenza metrica. Da una prospettiva poetico-musicale, il rapporto tra armonia e parole è molto più intuitivo rispetto alle sezioni precedenti.
Nel primo b infatti, il ritorno al quarto grado coincide con l’utilizzo del costrutto used to, impiegato per descrivere nuovamente l’arroganza e la vanità della protagonista: questa discesa connota la rievocazione del passato in un senso malinconico-moralistico suggerito anche dall’iterazione omofonica delle parole “you used” [juːjuːzd]. L’inaspettata risalita alla dominante, tuttavia, trasforma la nostalgia in aggressività, imponendo un’intonazione decisa del sintagma “laugh about”. La lunga pausa presente tra i due emistichi rende maggiormente inaspettato tale passaggio, segnalando un vero e proprio cambio di prospettiva. Cantando il primo cretico, l’“io” sembra provare empatia per il “tu” ma, quando intona il secondo piede, diventa evidente la falsità di questa compassione: sfruttando le possibilità espressive dello schema di b e mimando indirettamente la voce della donna, il narratore si sta in realtà prendendo gioco di lei, adottando nei suoi confronti il medesimo atteggiamento derisorio con cui lei stessa era solita umiliare i barboni. Tale meccanismo “vendicativo” è anche alla base del verso successivo, in cui il cretico iniziale è seguito da un anfibraco, generando una sequenza di tre trochei che riduce lo spazio verbale e necessita quindi di una scansione più rapida. Durante la prima fase correttoria di R, è interessante che Dylan scriva nell’interlinea sotto “hangin’ out” la variante “down and out” (4c), perché questa alternativa conferma in parte l’identificazione tra la people e i bums dei versi precedenti. Come nel caso di “at scene of the crime”, tuttavia, anche tale proposta avrebbe implicato una mimesi fin troppo realistica del punto di vista della donna: il “contrappasso” a cui il narratore condanna la protagonista, infatti, prevede che essa diventi vittima non dei suoi stessi pregiudizi ma piuttosto del suo personale destino, vale a dire la sperimentazione di un paradossale rovescio di fortuna tale da imporre la totale negazione di un intero sistema di valori. In altre parole, se grazie al “laugh about” del primo b il narratore può “ridere” della protagonista così come lei rideva dei bums, il secondo b ha quasi la responsabilità di lasciare intuire le profonde differenze intercorrenti tra questi due tipi di derisione. Cantando “down and out”, Dylan avrebbe invece dichiarato l’equivalenza di tali “risate”, giudicando la donna con parole simili a quelle che avrebbe usato lei nella stessa posizione del narratore. La soluzione “hangin’ out”, in tal senso, ha un significato letterale molto meno marcato e dunque diventa ambigua in questo contesto: facendo riferimento a tutti coloro che “stavano nel giro” (come traduce Alessandro Carrera), l’ascoltatore può dunque includere nel gruppo di persone umiliate della donna non solo i barboni ma, teoricamente, anche individui appartenenti alla sua stessa classe sociale.
La “promessa tradita” nei due b è invece mantenuta, almeno da un punto di vista armonico, nei due versi intonati secondo lo schema di c: qui la progressione discendente non si interrompe al quarto grado ma prosegue fino alla tonica, mettendo a disposizione un tratto di spazio verbale molto lungo che tuttavia verrà occupato solo fino alla sopratonica. Se l’io narrante continuasse a parlare del passato, non potrebbe riprodurre lo stesso effetto ottenuto nelle sezioni precedenti: sebbene infatti l’argomento centrale del distico resti immutato, esso è ora collegato direttamente al presente della protagonista, nonché alla sua attuale incapacità di manifestare la propria superbia con la stessa sfrontatezza di un tempo.
In tale prospettiva, la scelta della variante manoscritta “Voice is down | Head’s in the cloud” (5c) avrebbe spostato l’attenzione dall’insolenza della donna allo spaesamento derivato dalla sua nuova condizione di povertà, negando oltretutto il perfetto parallelismo metrico-sintattico garantito da “Now you don’t seem so proud”. Per tali ragioni, Dylan è stato costretto a cassare un’alternativa stilisticamente molto originale, dal momento che il primo emistichio “Voice is down” avrebbe creato un’insolita connessione tra l’abbassamento di tono della voce del cantante (dovuto alla discesa armonica dal quinto al quarto grado) e l’abbassamento di tono (nel senso di “volume”) della voce della protagonista (ora non più disposta a talking so loud).
L’ultimo verso della prima strofa, intonato seguendo la progressione ascendente “abbreviata” di d (I-II-IV-V), è concluso ancora una volta da un cretico, ma il suo primo emistichio presenta uno schema accentuale del tutto insolito:
PIC
|
Schema
|
|||
d | || Rem || Fa Sol || | |||
9 |
ăbóut hávĭng tŏ bé scróungĭng | [fŏr] yóur nĕxt méal |
|
7
|
2 antis. + (2 giam.) cretico
|
Come già anticipato alla fine dell’analisi del segmento corrispondente di T (“About not being fed in bed but instead”), la probabile eliminazione del terzo grado motiva il prolungamento del secondo, nonché il raddoppiamento ritmico della sequenza verbale cantabile in coincidenza di esso. Se infatti all’interno dei due a lo spazio verbale disponibile sotto il Re minore non superava i due accenti (“you dréssed so fíne”; “Béware dóll”), esso è ora esteso al punto da poterne contenere quattro (“abóut háving to bé scróunging”). Nel corso della PIC, a ben vedere, Dylan alza il volume della voce per marcare il secondo e il quarto ictus, intendendo di conseguenza i due piedi doppi dell’emistichio più come peoni terzi (“ăbŏut hávĭng tŏ bĕ scróungĭng”) che come antispasti (“ăbóut hávĭng tŏ bé scróungĭng”). Questa scelta istintiva deriva soprattutto dall’esigenza di scandire correttamente il passaggio improvviso dal ritmo giambico a quello trocaico, ma produce anche un altro singolare effetto: genera cioè l’impressione che il secondo e il quarto accento siano, metaforicamente, i “gradini” della stessa progressione armonica, se cui la voce dell’autore deve “salire” di fretta saltando le posizioni intermedie. In tal senso, la pausa dopo il trocheo “scróungĭng” spinge l’ascoltatore ad aspettarsi un terzo piede dell’identica misura (un’illusione che sarebbe esistita solo se l’artista avesse incluso for creando il giambo rimante “fŏr yóur”), ma l’inizio trocaico del cretico conclusivo crea invece un nuovo parallelismo con lo stesso “scróungĭng” che renderà ancora più inaspettato l’ictus autonomo sulla parola meal. Da un punto di vista semantico, è chiaro che la struttura poetico-musicale di d veicola il senso di un energico “riscatto” completamente assente nelle altre sezioni armoniche e in totale contraddizione con il drammatico realismo della scena descritta dalle parole: lo sforzo vocale richiesto all’interprete per arrivare sulla “cima” della dominante trasforma così il cinismo aggressivo del verso in un vigore espressivo del tutto nuovo, rendendo verosimile (per la protagonista come per il pubblico) l’eventualità di una svolta positiva all’interno della vicenda narrata. Per tale ragione, la tensione sulla dominante acquisisce un’aspettativa semanticamente opposta rispetto a quella imposta alla fine dei due a: l’ascoltatore, infatti, ora aspetta la tonica per sapere se questo ulteriore rivolgimento avrà luogo e per avere maggiori chiarimenti non più sul passato della protagonista, ma sul suo futuro immediato.
Alla luce di tali considerazioni, si può dire che la prima strofa rappresenti sia un’introduzione generale della storia narrata sia un riassunto della storia stessa, che viene già esemplificata nei suoi passaggi principali sia dal sistema di progressioni ascendenti e discendenti, sia dall’allusività e ambivalenza delle parole. L’autosufficienza narrativa di questi versi determina, di conseguenza, l’iterazione di questo modello in tutte le strofe successive: in tal senso, non sembra casuale che, fatta eccezione per l’ultima sezione poetico-musicale, la prima strofa sia anche quella che Dylan trascrive e intona più spesso all’interno degli autografi e degli outtakes, senza peraltro mai stravolgerne in modo significativo gli equilibri stilistici originari.
La seconda strofa (vv. 15-23)
I quattro (o due) versi intonati in corrispondenza dei due a della seconda strofa sono strutturati intorno a schemi metrici del tutto diversi da quelli analizzati finora:
PIC
|
Schema
|
|||
a | (Sol) || Do Rem | |||
15 |
{Ăh} Yóu’ve | góne tŏ thĕ fínĕst schóol |
|
1 |
giam. + troc. + + 2 giambi |
|
|| Mim Fa || | ||||
16 |
ăll ríght, Mĭss Lónelў | Bŭt yŏu knów yŏu ónlў úsed tŏ gét |
|
+ giam. + anf. + anap. + anf.
+ cretico |
||
Sol || | ||||
júiced ĭn ít |
|
+ cretico |
|||
a | || Do Rem | |||
17 |
[Ănd] nŏbódў hăs évĕr táught yŏu hów tŏ [líve]{lĭve óut}
|
2 |
(2 anap. + 3 giam.)
2 anf. + troc. + coriambo |
|
|| Mim Fa || | ||||
18
|
ŏn thĕ stréet | Ănd nów [yŏu fĭnd óut] yŏu’re gónnă háve tŏ gét |
|
+ anap. + giam. (+ anap.) + anf. + cretico. | ||
Sol || | ||||
úsed tŏ ít |
|
+ cretico |
Il primo verso di U conta 7 sillabe, ma nella PIC Dylan fa precedere al primo accento l’interiezione Ah, e cioè una sillaba breve che regolarizza l’insolita successione di due ictus consecutivi (“Yóu’ve góne”) rispettivamente in un giambo e in un trocheo separati da una lunga cesura (“Ăh yóu’ve | góne tŏ”). Il passaggio al terzo grado segnala l’inizio di un nuovo segmento cantato che però non comincia dal verso 16, ma dall’ultimo emistichio del verso precedente: tale scelta genera un raddoppiamento ritmico che comporta la duplicazione del numero sillabico (da 7/8 sillabe a 14) e l’aggiunta di due accenti forti, nonché l’esigenza di accelerare notevolmente la rapidità di scansione. La stabilizzazione ritmica di questa innovazione metrica va attribuita in realtà all’autore di X2, che sceglie di aggiungere un ictus all’emistichio posticipato, accostando a una soluzione di T (“all right”) la corrispettiva variante di R (“Miss Lonely”). Dylan recupera entrambe le zeppe perché si rende conto che, senza di esse, la lunghezza eccessiva del verso 16 non potrebbe conciliarsi con lo schema del segmento precedente. Il raddoppiamento ritmico, invece, consente di razionalizzare l’estensione imposta allo spazio verbale compreso tra il terzo e il quarto grado, facendo in modo che l’ascoltatore percepisca la modifica dello schema non come un errore ma come un cambiamento consapevole. Nella seconda strofa, il “pile-up effect” è generato da questo tipo di trasformazioni, che comporta sia l’accumulazione delle parole cantate sia la funzione strutturale di “juiced in it”: esso non ha più soltanto lo scopo di accrescere la tensione della dominante, ma agisce da vero e proprio “puntello formale” che impedisce al segmento raddoppiato di “collassare su se stesso”. Fuor di metafora, il cretico finale segnala la fine della velocissima serie di parole, consentendo al cantante di prendere fiato prima di passare alla sezione successiva. Lo stesso fenomeno, infatti, si ripresenta identico nel secondo a, anche se qui l’ordinamento tra verso raddoppiato e verso regolare risulta invertito: la sequenza di 14 sillabe e 6 accenti precede cioè quella di 8 sillabe e 4 accenti, dando all’ascoltatore l’impressione che avvenga ora una sorta di “rallentamento ritmico”. Il segmento duplicato determina anche in questo caso una differente distribuzione degli accenti, che stavolta non contraddice la versificazione scritta, ma la suddivisione dello spazio verbale rispetto alla progressione armonica: di solito l’occorrenza del terzo grado corrispondeva all’inizio di un nuovo verso, mentre adesso l’anapesto “ŏn thĕ stréet”, pur appartenendo al verso 17, viene collocato esattamente a metà tra due battute consecutive e finisce per segnalare sia la fine del segmento precedente sia l’inizio di quello successivo: tuttavia, la cesura aggiunta dopo l’ictus di street dimostra che la voce del cantante valorizza soprattutto la funzione conclusiva del sintagma, invitando quindi ad integrare questo accento (e dunque lo stesso Mi minore) all’interno del primo schema. Il “rallentamento ritmico” del verso 18 è garantito tanto da questo accorgimento quanto dalla scelta di non intonare l’anapesto “yŏu fĭnd óut”, che avrebbe aumentato il numero degli ictus da 4 a 5 e negato di conseguenza il parallelismo sillabico-accentuale con il verso 15.
Questo nuovo gioco di specchi costruito sull’alternanza di sequenze brevi e vere e proprie “colate verbali” acquisisce una funzione semantica contrastiva rispetto al desiderio dell’ascoltatore di conoscere il futuro della donna. Dylan, infatti, decide di non proseguire la narrazione, ma piuttosto di tornare a parlare del passato della protagonista, dando di fatto l’illusione di “ri-raccontare” la stessa storia della prima strofa in modo più dettagliato e allo stesso tempo più allusivo. Ci viene innanzitutto detto che la giovane, ora sarcasticamente chiamata “Miss Lonely”, ha frequentato scuole prestigiose confacenti al suo status sociale, anche se tutti sapevano che la sua occupazione principale non era lo studio ma il consumo eccessivo di alcool e droghe. In tal senso, il costrutto slang “to get juiced” (ancora oggi utilizzato nell’inglese americano soprattutto nella variante “to get juicy”) può indicare sia l’atto di sbronzarsi sia quello di fumare marijuana, connotando in senso euforico l’“energia” derivante dall’alterazione dello stato di coscienza (cfr. juice: ‘succo’, ‘corrente elettrica’, ‘benzina’; to juice: ‘spremere’, ‘estrarre il succo da’; to get the juices: ‘acquisire energia, creatività, forza’ ⁓ to run out of juice: ‘esaurire le energie’, ‘avere le batterie scariche’, ‘morire’). Anche le varianti < 1 (“You | rolling in the clover | with a nasty hangover”) e < 3 (“dry Vermouth and | you’ll the truth”), scritte in R con matita d e pertanto difficili da collocare in un punto preciso dello schema poetico-musicale, rimandano semanticamente ai vizi di Miss Lonely. A differenza di to get juiced, però, entrambe le proposte non mettono in evidenza il divertimento e la trasgressione impliciti nel “farsi”, ma fanno esplicito riferimento alle conseguenze di questi eccessi. La prima alternativa aggiunge allo stato di alterazione delle implicazioni sessuali, dal momento che il costrutto slang “to roll in the clover” (letteralmente “rotolarsi nel trifoglio / tra i trifogli”) significa “avere un amplesso in un prato” e quindi, più in generale, “all’aperto”. L’espressione rimanda senza dubbio al movimento hippie e alla cultura giovanile del “libero amore”, nonché all’ideologia maggiormente diffusa tra i primi ascoltatori di Like a Rolling Stone. Questo riferimento esplicito allo Zeitgeist degli anni Sessanta, tuttavia, va inteso in senso negativo, dal momento che la rima clover : hangover determina un abbassamento ironico che presuppone la presa di distanza dell’autore. Con ogni probabilità, la variante è cassata per via di tale tono critico-moralistico, che avrebbe distolto l’attenzione dalla storia della protagonista, motivando forse facili fraintendimenti del pubblico: Dylan, infatti, non è contrario all’emancipazione sessuale in quanto tale, ma non condivide la mentalità semplicistica e la sostanziale naïveté dei “ricchi” che, come Miss Lonely, si servono di quegli stessi ideali di libertà essenzialmente per giustificare i propri vizi.
La variante < 3 è ironica come < 1, ma il suo contenuto è molto più ambiguo. Essa potrebbe essere uno slogan pubblicitario (trascritto o elaborato dall’autore) che invita al consumo di Vermut secco sia attraverso la consonanza tra le parole dry e drink sia attraverso la rima Vermouth : truth. Probabilmente, è proprio quest’ultima identità sonora a colpire l’attenzione di Dylan, dal momento che la connessione proposta tra l’idea di bere un alcolico e quella di dire la verità mette in correlazione diretta le passate abitudini di Miss Lonely con la consapevolezza della sua attuale condizione di povertà. Tale seconda “verità”, in effetti, è precisamente ciò che il narratore ha finora raccontato alla donna, fingendo di adottare il suo punto di vista per innescare i meccanismi cinico-vendicativi del suo “contrappasso”. Tuttavia, come sembrano dimostrare le cassature di “at scene of the crime” e “down and out” nella strofa precedente, Dylan cerca costantemente di evitare che questa illusoria sovrapposizione tra l’“io” e il “tu” prenda il sopravvento diventando verosimile per gli ascoltatori. In tal senso, l’integrazione di < 3 nel testo ufficiale avrebbe creato un involontario “corto circuito” tra focalizzazioni: infatti, dato che l’inizio della seconda strofa implica una critica ai vizi della protagonista, sarebbe quantomeno incoerente che, poco dopo, il narratore incoraggi la donna ad alterare la propria coscienza, anche se il consumo di alcool verrebbe ora finalizzato all’esplicitazione di una nuova “verità”.
Il testo cantato nel corso del secondo a, come nella prima strofa, fa riferimento a un punto di vista collettivo: mentre ai versi 3-4 l’“io” scompariva nella folla di bums che avevano predetto a Miss Lonely la sua imminente rovina, i protagonisti dei versi 17-18 sono ora gli ex-amici della donna, appartenenti al suo originario gruppo sociale e qui simbolo di dissoluzione e falsità. Invece di invitare la giovane a prendere atto della propria situazione e rappresentare modelli positivi fondati sull’esperienza concreta della realtà (e della strada), questi individui si impongono come depositari di verità soltanto teoriche, pseudo-intellettuali e dunque ingannevoli. Mentre, a partire da R, l’influenza negativa dei friends non è descritta in quanto tale ma può essere dedotta solo dal confronto indiretto con la saggezza dei bums (“And nobody’s ever taught you how to live [out] on the street”), in T Dylan si sofferma in modo più dettagliato sulle facoltà illusorie dei vecchi compagni di Miss Lonely, come risulta evidente dai casi 4, 5, 6 e 8:
caso 4: “youve [*’ve] xxx [had] studied all these great theories on life & now you find out they || dont [*’t] xxx [mean] a thing”
caso 5: “youve been blessed by counts these xxxxxx [people] old friends who xxx [you] claimed to love || now theyre [’re] all ashamed of you || now theyre [’re] all ashamed”
caso 6: “you never understood || all your friends that used to brag || turned out to be just method actors all in drag || all the friends”
caso 8: “youve [*’ve] been shown || you || || got it made || you used to have all these precious things – your jewels”
Mentre il caso 4 crea un collegamento ideale tra la frequentazione di scuole prestigiose e le great theories on life presenti tanto nei libri quanto alla base dei “sacri insegnamenti” degli amici,[9] i casi 5 e 6 descrivono la loro falsità, dal momento che la rovina della donna porta gli altri membri della sua cerchia a “calare la maschera” e vergognarsi di lei. Lo stesso caso 6 e il caso 8, invece, rimandano semanticamente sia alla seconda strofa sia alla quarta, nella quale Dylan affronterà le stesse questioni immaginando una Miss Lonely non più nostalgica del suo passato. Questa tendenza a immedesimarsi in punti di vista opposti, tuttavia, è già anticipata dal “pile-up” sonoro dei due a appena analizzati:
You’ve goNe to the fiNest schooL aLL Right, Miss LoNeLy
But you kNow you oNLy used to get juiced iN it
ANd Nobody has eveR taught you how to Live out on the stReet
ANd Now you fiNd out you’Re goNNa have to get used to it
Il “dominio” delle alveolari (siano essere nasali, approssimanti o approssimanti laterali) è ulteriormente gerarchizzato in coerenza con l’improvviso passaggio da un passato idilliaco a un presente di miseria. Se infatti il suono n attribuisce ai quattro versi la stessa identità sonora “neutra”, i suoni l e r tendono a esemplificare le emozioni della protagonista prima e dopo la sua rovina: nel primo distico la successione delle n è amplificata in senso positivo-eufonico dalla “liquidità” delle l, mentre nel secondo distico la stessa nasale è connotata in senso negativo-cacofonico dalla “durezza” delle r. Divertimento e fatica, felicità e dolore sono però equamente distribuiti in entrambe le coppie di versi, creando implicazioni emotive più complesse legate ora al punto di vista del narratore: la r di right, in tal senso, esprime l’irritazione prodotta nell’“io” dalla vanità della protagonista, mentre la l di live out costituisce il monito del narratore a concepire la vita di strada come l’unica conseguenza positiva tra le “r della povertà”.
La successione dei due b e dei due c seguenti determina l’intonazione di quattro versi che, pur essendo caratterizzati da patterns diversi, riproducono sia una dialettica tra misure lunghe e brevi simile a quella dei segmenti precedenti, sia lo stesso utilizzo del cretico con funzione strutturante già sperimentato nei punti corrispondenti della prima strofa:
PIC
|
Schema
|
|||
b | Fa || Sol || | |||
19 |
Yŏu sáid yŏu’d névĕr | cómprŏmíse |
|
3
|
giam. + anf. + cret. |
|
b | Fa || Sol || | |||
20 |
Wĭth thĕ mýstĕrў trámp, | bŭt nŏw yóu | réălíze
|
4 |
3 anap. + cret. |
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
21
|
Hé’s nŏt séllĭng ánў | álĭbís |
|
5 |
3 troc. + cretico |
|
c | Fa Mim || Rem Do | |||
22 |
Ăs yŏu stáre ĭntó thĕ vácŭúm | óf hĭs éyes |
|
6 |
anap. + 3 giam. + cret. |
Come ha giustamente fatto notare Betsy Bowden (Bowden 1982-2001: 77), Dylan utilizza ora delle Latinate words (compromise, realize, alibis, mystery, vacuum) che contrastano sia con il linguaggio e con la grammatica slang sia con il “pile-up effect” dei raddoppiamenti ritmici del verso 16 e 17. Da un punto di vista performativo, infatti, soprattutto i termini sillabicamente più lunghi impongono alla voce una scansione più lenta, già implicita di per sé nel ridotto spazio verbale di b e c. Un simile rallentamento agisce innanzitutto da attention getter, dal momento che impone all’ascoltatore uno sforzo cognitivo inedito, finalizzato alla comprensione del significato astratto di queste parole “colte”. Subito dopo aver criticato le inutili “great theories on life”, in altre parole, l’autore fa riferimento a un lessico potenzialmente adatto a descrivere simili modelli teorico-speculativi: tale paradosso, allo stesso tempo, si rivela fin da subito soltanto apparente, poiché il contesto di queste lezioni non è affatto un discorso filosofico ma, per la prima e unica volta nell’intero testo ufficiale, la semplice narrazione di un episodio ambientato nel presente di Miss Lonely.
Il narratore, quindi, decide ancora di adottare il punto di vista della donna, ma stavolta senza avere finalità cinico-vendicative: il suo scopo è ora rievocare il trauma della disfatta economica attraverso la ricostruzione dei percorsi mentali che costringono la donna a rinnegare il suo vecchio sistema di valori. In modo speculare rispetto alla prima strofa, infatti, si verifica un nuovo incontro tra la Miss Lonely “povera” e un bum identificato qui tramite l’espressione “mystery tramp”. Tuttavia, se prima i vagabondi erano stati gli unici a parlare (pronunciando il memento senza avere una risposta da parte della donna), adesso è la protagonista che si rivolge al barbone nel disperato tentativo di rompere il suo silenzio e interagire con lui:
Here the words are longer, those ‘ize’ sounds slow-fading, the phrasing much less colloquial, the ‘meaning’ -measured in prose terms- vaguer. This change of language keeps its momentum, and paradoxically, as the language gets ‘vaguer’ so the meeting of eyes between the narrator and Miss Lonely intensifies: they reach the point where understanding is searching and personal (Gray 1971-2000: 143).
Una simile inversione narrativa è coerente con l’ambivalenza celata nel termine mystery, che si presta a rappresentare il punto di vista della protagonista sia prima della rovina sia dopo la disfatta. A un primo livello di significazione, l’appellativo mystery tramp rimanda al pregiudizio della società perbenista verso chi è costretto a vivere in strada: il “mistero” nasconde quindi delle implicazioni negative connesse al campo semantico dell’illegalità e della violenza. Come ha illustrato Alessandro Carrera, infatti, l’utilizzo di queste due lezioni in Like a Rolling Stone può essere contestualizzato storicamente:
Il “mystery tramp” […] coglie forse un modo di dire che era ancora nell’aria nel 1965. L’espressione “mystery tramp” era stata usata dalla stampa americana per indicare tre sconosciuti che la polizia di Dallas aveva arrestato il 22 novembre del 1963 mentre si trovavano nelle vicinanze del luogo in cui era stato assassinato il presidente Kennedy. I “vagabondi misteriosi” erano stati rilasciati subito dopo, senza che la polizia tenesse un verbale del loro arresto, alimentando speculazioni sulla loro reale identità (Carrera 2006-2016: 491-492).
Il fatto che i primi ascoltatori della canzone associassero l’espressione al suo uso “giornalistico” rende ancora più evidente la percezione del suo significato opposto, indipendente cioè dagli avvenimenti storici e connesso invece alla storia personale di Miss Lonely. Divenuta ormai una vagabonda, la donna percepisce il “mistero” del tramp sia in relazione alla necessità di conoscere l’identità di un suo “pari”, sia in funzione dello spaesamento traumatico dovuto alla sua totale ignoranza della vita di strada. Da appellativo diafasicamente marcato, quindi, “mystery tramp” diventa l’ipostasi stessa della nuova condizione di povertà che obbliga la protagonista a rinunciare al proprio nome e confutare il sistema di pregiudizi e disuguaglianze tipico della sua classe sociale.
Il tramp, tuttavia, non sembra avere nessuna intenzione di rivelare il suo “mistero”, ma resta anzi irremovibile nel suo mutismo e l’unica comunicazione che sceglie di stabilire con Miss Lonely avviene sul piano non verbale di un incrocio di sguardi decisivo: proprio in funzione di quest’ultimo, la protagonista inizia, in modo subitaneo e quasi inaspettato, a concepire il suo status di vagabonda da una prospettiva inedita. Tale maturazione non può essere compresa senza fare riferimento all’ultimo verso della sezione che, come nel d precedente, inizia la risalita creando una discrasia tra giambo e trocheo:
PIC
|
Schema
|
|||
d | || Rem || Fa Sol || | |||
23 |
Ănd sáy [ask him] | dó yŏu wánt tŏ | máke ă déal? |
|
7
|
giam. + 2 troc. + cret.
|
Come si legge, il segmento conclusivo della seconda strofa è sia stilisticamente parallelo sia semanticamente opposto a quello intonato secondo lo schema del primo b, ossia “You said you’d never compromise”. Entrambi i versi delimitano la macro-sezione poetico-musicale utilizzata dall’autore per narrare l’episodio: tuttavia, mentre nel primo caso il verbo to say è usato al passato per descrivere un proposito astratto e ingiustificato, nel secondo caso il presente say ha la funzione di introdurre un’interrogativa diretta idealmente racchiusa tra virgolette (come già per il memento, il narratore esprime ancora una volta la propria approvazione mediante la sovrapposizione della propria voce a quella della protagonista-vagabonda). Il parallelismo intuibile tra le due forme di to say, infatti, motiva la distanza tra i loro rispettivi referenti semantici, vale a dire compromise e deal. Questi due termini si prestano bene a ipostatizzare la maturazione di Miss Lonely in due momenti fondamentali, che “racchiudono” a loro volta due passaggi intermedi espressi ai versi 6-8.[10]
Il primo può essere definito “fase della consapevolezza razionale”, dato che implica il tentativo (fallimentare) della donna di utilizzare la propria mentalità classista e teorico-speculativa per comprendere il mondo della strada. La realization della giovane, infatti, si riferisce sintatticamente al verso seguente (“He’s not selling any alibis”), che può essere inteso in due modi diversi ma ugualmente coerenti con l’intento di razionalizzare. Nella prima interpretazione, Miss Lonely-vagabonda si rivolge al tramp nella speranza che questi le fornisca degli alibis, ossia delle giustificazioni che le consentano di non considerare la sua arroganza e la sua vanità come le uniche cause del rovescio di fortuna. Nella seconda lettura, alibis fa riferimento al pregiudizio che Miss Lonely-benestante nutriva nei confronti dei barboni, ossia l’idea che essi considerassero la loro indigenza come l’effetto inevitabile di scelte non dipendenti dalla loro volontà. Entrambe le ipotesi presuppongono lo stesso errore di prospettiva commesso dalla protagonista, e cioè pretendere che questi alibis siano “acquistabili a buon mercato” dal tramp: egli, infatti, non elargisce né teorie né menzogne, perché il suo sistema di valori è pragmaticamente orientato a negare l’utilità di qualsiasi tipo di giustificazione, sia esso rivolto a consolare la donna o inteso a scagionare sé stesso e quelli come lui. Il vagabondo non vende concetti per interpretare la realtà e illudersi di comprenderla, ma strumenti per interagire con essa e accettarla in quanto tale: la sua gnoseologia, quindi, è circoscritta entro i limiti di un continuo do ut des in cui le regole dello scambio e la natura degli oggetti da scambiare sono sottoposti a un costante processo di trasformazione.
Il fallimento della razionalizzazione dà origine a una “fase della consapevolezza irrazionale” in cui il mutismo del barbone costringe Miss Lonely a compromizing with him, immedesimandosi in lui e rinunciando alla sua precedente visione del mondo. Questo passaggio fondamentale è racchiuso interamente nel verso 8 (“As you stare into the vacuum of his eyes”), in cui la congiunzione as assume una doppia connotazione temporale e causale che rende gli effetti dell’incrocio di sguardi sia “retroattivi” sia verificabili nell’immediato futuro: la donna, in altre parole, capisce che il tramp non vende giustificazioni proprio nel momento esatto in cui i suoi occhi intuiscono la presenza, negli occhi dell’altro, di un “vuoto” impenetrabile come il suo silenzio. Da un punto di vista stilistico, è indicativo che quest’ultimo venga definito dalla protagonista con il termine vacuum, e cioè con l’ultima Latinate word della strofa: essa può essere considerata idealmente sia l’ultimo tentativo di definire il mondo della strada attraverso il vecchio sistema di valori razionali sia lo smascheramento finale di quello stesso sistema e degli inganni in esso celati. Questa coincidenza di prospettive opposte è riscontrabile anche alla base del verbo to sell che, in modo molto allusivo e raffinato, mette in evidenza un’azione che, almeno letteralmente, accomuna la donna e il vagabondo: Miss Lonely, in altre parole, intende to sell nell’ambito della logica capitalistica delle persone facoltose convinte che tutto possa avere un prezzo (la droga come gli alibi); per il misterioso tramp, invece, il bisogno di vendere è connesso direttamente all’esigenza di sopravvivere, in nome della quale egli non può permettersi né di deludere le aspettative dei compratori né di accettare pagamenti fittizi.[11] Per tale ragione, to sell può essere considerato l’ideale trait d’union tra il “colto” compromise e il colloquiale deal: consapevole che, in assenza di denaro, le great theories on life non potranno mai costituire un pagamento sufficiente, la donna chiede impazientemente al vagabondo una soluzione alternativa per ridefinire i termini della “compravendita”. Tuttavia, Dylan interrompe la narrazione proprio in questo punto, frustrando la curiosità dell’ascoltatore sia riguardo al tipo di merce venduta sia intorno al tipo di pagamento proposto dalla donna o a lei imposto dal tramp. Quanto al primo dubbio, è difficile non associare, fin dal primo ascolto, la parola deal al termine dealer, ipotizzando quindi un nuovo riferimento “positivo” al mondo della droga: quest’ultimo, oltre a riflettere l’ambiguità delle idee personali dell’autore,[12] implicherebbe l’intenzione di chiudere la strofa proponendo in una nuova ottica un tema già sviluppato alla fine del primo a. La natura del compenso promesso al vagabondo-spacciatore, invece, sembra connessa in qualche modo alla sfera sessuale (secondo un’associazione già presente in < 1), anche se la suggestione è troppo “sommersa” sotto la superficie testuale per poter essere considerata rilevante ai fini dell’interpretazione.
La terza strofa (vv. 30-38)
I primi due versi della terza strofa si distinguono per la funzione strutturale svolta dal numero sillabico a svantaggio dell’isocronia accentuale. Nonostante questa insolita tendenza presupponga una forzatura della prosodia inglese, la voce di Dylan riesce comunque a regolarizzare l’intonazione di ogni sequenza verbale, accelerando o rallentando la scansione a seconda delle esigenze performative imposte dal contesto ritmico:
PIC
|
Schema
|
|||
a | (Sol) || Do Rem || Mim | |||
30 |
{Ăh} Yóu | névĕr túrned ăróund | tŏ sée thĕ frówns |
|
1 |
giamb. + troc. + cret. + 3 giam. |
|
Fa || | ||||
31 |
ŏn thĕ júgglĕrs ănd thĕ clówns | Whĕn thĕy ăll {cŏme dówn ănd}díd |
|
+ peone 3° + anap. + peone 4° | ||
Sol || Sol | ||||
trícks fŏr yóu |
|
+ cretico |
|||
a | || Do Rem | |||
32 |
Yŏu névĕr úndĕrstóod | thăt ĭt áin’t nŏ góod | |
2 |
3 giamb. + anap. + giamb. |
|
|| Mim Fa || | ||||
33
|
Yŏu shóuldn’t | lét ŏthĕr péoplĕ gét yŏur | |
+ giamb.
+ datt. + 2 trochei |
||
Sol || Sol || | ||||
kícks fŏr yóu |
|
+ cretico |
La tendenza all’isosillabismo diventa evidente solo prestando attenzione alle incongruenze tra versificazione scritta e versificazione cantata. I 5 accenti del verso 17 di U, infatti, possono essere distribuiti in due emistichi secondo lo schema 3 + 2 (“You néver turned aróund to see the frówns | on the jugglérs and the clówns”), invitando il lettore a considerare i 3 ictus del verso 18 (“When they áll come dówn and did trícks for you”) come una ripetizione incompleta del segmento precedente. Tale suggestione, tuttavia, è del tutto negata nel corso della PIC, dal momento che lo spazio verbale concesso al primo passaggio di a si interrompe in corrispondenza di frowns e costringe l’autore a utilizzare il secondo emistichio del verso 17 come inizio del tratto successivo. Questa operazione, a sua volta, comporta, nel verso seguente, l’espunzione sia del giambo “cŏme dówn” sia della breve del giambo “ănd díd”, modificando radicalmente lo schema accentuale dell’intero segmento. Esso è ora introdotto da un peone terzo e da un anapesto (“ŏn thĕ júgglĕrs ănd thĕ clówns”), che impongono un andamento giambico molto forte ulteriormente estremizzato nel peone quarto del secondo emistichio (“Whĕn thĕy ăll díd”). Da un punto di vista accentuale, i due versi cantati si stabilizzano entro due schemi di 6 e 3 accenti che obbligano la voce a duplicare la velocità di scansione nel passaggio tra un segmento e l’altro. Questo raddoppiamento ritmico, tuttavia, è molto diverso da quello che separa i primi due versi della strofa precedente: se in quel caso, infatti, l’aumento del numero degli accenti da 4 a 6 aveva determinato l’incremento del numero sillabico da 7 a 14 sillabe, qui la regolarizzazione metrica imposta dalla voce produce invece due segmenti di 11 sillabe. La funzione strutturante normalmente affidata alla sola isocronia accentuale è ora svolta dall’isosillabismo. Se prima, in altre parole, Dylan modificava il pattern accentuale senza curarsi delle conseguenze generate da tali interventi sul numero sillabico, adesso egli agisce innanzitutto sul pattern sillabico e gli effetti prodotti sugli originari equilibri accentuali dei segmenti “letti” hanno minore rilevanza. Sia in U che nella PIC, infatti, i versi 32 e 33 presentano rispettivamente 11 e 10 sillabe, ma tra di essi non vi è alcun raddoppiamento ritmico, dimostrando che tale propensione all’isosillabismo è un tratto distintivo della terza strofa e non un fenomeno limitato al primo a (anche il numero sillabico dei tratti verbali successivi, non a caso, tenderà alla decina di unità: v. 34, 15 s.; v. 35, 11 s.; v. 36, 9 s.; v. 37, 8 s.; v. 39, 12 s.).
Da un punto di vista stilistico-verbale, queste innovazioni metriche sono coerenti con la scelta dell’autore di proporre un ulteriore resoconto del passato di Miss Lonely tenendo conto della sua recente realization. L’ascoltatore ha quindi l’impressione che Dylan narri la stessa storia della prima strofa usando la seconda come modello semantico e formale: invece di raccontarci gli eventi successivi all’incontro decisivo con il tramp, l’“io” rievoca le contraddizioni di un sistema di valori che è stato già confutato, come se avesse l’intenzione di mettere alla prova la donna e verificare la sua effettiva maturazione.
L’intera strofa, infatti, non fa che riproporre in ordine diverso sezioni narrative già sviluppate in precedenza, che qui vengono radicalmente rielaborate e acquistano una rilevanza inedita. Il primo distico, in tal senso, costituisce la ripetizione variata della scena iniziale della canzone: ancora una volta la protagonista dressed so fine passa indifferentemente accanto a un gruppo di bums, ora descritti come dei veri e propri artisti di strada (jugglers, clowns) che cercano in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Questo quadretto di vita metropolitana è esemplificato sottilmente da un “pile-up effect” che riconferma su nuove basi il precedente “dominio sonoro” delle alveolari:
You NeveR tuRNed aRouNd to see the fRowNs oN the juggLeRs aNd the cLowNs
WheN they aLL come dowN and did tRicks for you
You NeveR uNdeRstood that it aiN’t No good
You shouldN’t Let otheR people get youR kicks foR you
In modo simile alla seconda strofa, le combinazioni cacofoniche di n e r si prestano bene a esprimere il fastidio generato nella donna dalla presenza dei jugglers. Tuttavia, i suoni vocalici evidenziati in grassetto dimostrano che il narratore intende riprodurre anche il punto di vista dei bums: in questo senso, i dittonghi [aʊ] (rimanti in around, frowns, clowns, down), [juː] (you), [jɔː] (your), [eɪ] (they) e le vocali prolungate [iː] (see, people) e [uː] (understood, good e la [ʊ] di shouldn’t) si prestano bene a mimare suggestivamente le “smorfie” dei vagabondi-pagliacci, così come il loro numero elevato (implicito in “when they all come down”) e dunque la loro invadenza agli occhi di Miss Lonely.
La variante < 4, già citata a proposito delle lezioni “he had love for sale”, presenta il secondo verso della terza strofa in coincidenza dell’esordio della seconda e contiene quindi una versione alternativa del verso 31 (“You never listened to the man who could jump, jive and wail”): in quest’ultima, le tre differenti lezioni che descrivono la psicologia del vagabondo (saltare, scherzare e piangere) aggiungono una connotazione unicamente positiva ai tricks del verso ufficiale ed è forse per questa ragione che vengono cancellate. I “trucchi” o i “numeri” dei bums, infatti, non sono solo degli innocenti giochi di prestigio, ma costituiscono piuttosto delle vere e proprie performances legate a un mestiere ben preciso: la parola tricks si presta quindi ad essere intesa anche nel senso di “inganni” e la sua funzione stilistica, come nel caso di to sell, è quella di racchiudere in un solo termine tanto il punto di vista di Miss Lonely quanto quello dei barboni-intrattenitori. Questi ultimi, infatti, non cercano affatto un’interazione disinteressata con la donna, ma sono soprattutto intenzionati a ricevere del denaro in cambio delle loro prestazioni, come dimostrano implicitamente sia i dimes del verso 2 sia la variante “to shake the money tree” (11c, pensata non a caso in sostituzione di “tricks for you”).
La legge della sopravvivenza è l’unica ad avere rilevanza per i vagabondi, che non possono nascondere le loro emozioni e per questo scelgono, senza vergogna e in modo manifesto, di “venderle” al miglior offerente. In tale prospettiva, il secondo distico è finalizzato a evidenziare la differenza tra questo tipo di manipolazione e la falsità degli ex-amici di Miss Lonely, che ereditano qui l’appellativo di other people in ideale contrasto con la people riferita ai barboni. Gli inganni dei friends, introdotti nel dattiloscritto e già descritti nel punto corrispondente della seconda strofa, sono citati indirettamente attraverso i loro effetti negativi sulla protagonista, che è vista ora come un individuo privo di autonomia intellettuale e incapace di assumersi le responsabilità delle proprie azioni. Tale idea è espressa compiutamente dal costrutto slang “get someone’s kicks”, che può essere inteso in due modi opposti: quello letterale di “prendersi i calci di qualcuno / farsi carico dei problemi altrui” (“lasciar che gli altri prendano per te gli schiaffi” nella traduzione di Tito Schipa Jr.) e quello metaforico di “vivere un’esperienza positiva al posto di qualcuno” (“che quello che ti piace nella vita gli altri non lo possono vivere per te”, nella traduzione di Alessandro Carrera). Entrambe le accezioni si rivelano funzionali al contesto: Miss Lonely non “sa” vivere perché non ha mai scelto di affrontare le conseguenze delle sue scelte e, di conseguenza, non può conoscere neanche la reale natura dei suoi desideri e delle sue ambizioni. Il collegamento tra questo atteggiamento e la cattiva influenza dei friends è esemplificato dalla variante “to see what others see” (13c), che riunisce nella stessa immagine astratta entrambi i significati di “get your kicks for you”.[13]
La propensione all’isosillabismo genera, nei versi intonati secondo lo schema di b e c, la messa in discussione della funzione strutturante del cretico finale:
PIC
|
Schema
|
|||
b | Fa || Sol || | |||
34 |
Yŏu úsed tŏ ríde ŏn thĕ chróme hŏrse wĭth yóur | díplŏmát |
|
3
|
2 giamb. + 2 anap. + cret.
|
|
b | Fa || Sol || | |||
35 |
Whŏ cárrĭed ón hĭs shóuldĕr á | Síămĕse cát |
|
4 |
4 giambi + coriambo
|
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
36
|
Áin’t ĭt hárd | whĕn yóu dĭscóvĕr that |
|
5 |
cretico + 3 giambi
|
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
37 |
Hĕ réallў wásn’t | whére ĭt’s át |
|
6 |
2 giambi + cretico
|
Il cretico finale del verso 34 assume una funzione strutturante finora sperimentata solo nei sintagmi rimanti tipici dello schema di a: come “to get used to it” o “did tricks for you”, infatti, “díplŏmát” è un “puntello formale” necessario per evitare che la sequenza precedente (il primo raddoppiamento ritmico tentato in un b) sfugga al controllo della voce e “collassi su se stesso”. Il segmento successivo presenta lo stesso fenomeno, ma viene concluso da un coriambo, rimodulando lo stesso compromesso ritmico di “hów tŏ lĭve óut” (verso 17). Nel secondo distico, gli accenti forti passano da sei a quattro in funzione di una costante diminuzione del numero sillabico (da 13 a 12 nei due b e da 9 a 8 nei due c) che risulta evidente anche solo “guardando” i versi scritti: da un punto di vista semantico, questa scelta è coerente sia con le due progressioni discendenti imposte dalla struttura armonica sia con il contenuto delle parole cantate.
Il precedente incontro con il mystery tramp, infatti, è ora messo in correlazione con la passata intesa, probabilmente anche di natura erotico-sessuale, tra la protagonista e un altrettanto misterioso “diplomat | who carried on his shoulder a Siamese cat”. Questo affascinante e facoltoso individuo dai gusti raffinati e dalle abitudini sofisticate rappresenta l’archetipo stesso degli inganni prodotti dal paradigma teorico-speculativo e, pertanto, la donna ripone in lui delle aspettative direttamente proporzionali alla sua futura delusione. Non a caso, la parola diplomat è attraversata dallo stesso tipo di ambivalenza presente in mystery tramp. Il “diplomatico” è per definizione un uomo colto che, in funzione delle sue capacità retoriche e del suo senso politico, viene elevato a rappresentante di un intero apparato statale. Il suo lavoro è garantire un dialogo internazionale che consenta di risolvere eventuali dispute senza ricorrere a interventi militari. Per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, il diplomatico deve anche conoscere a fondo le logiche interne al potere di uno stato straniero, facendo in modo che esse non si impongano sugli equilibri politici del suo stato di origine. Nel contesto della canzone, infatti, questa figura si presta ad essere interpretata in modo ambiguo. Nello “stato” delle teorie e delle apparenze, il diplomatico è accettato in quanto detentore di una carica prestigiosa che implica il riconoscimento pubblico del sistema di ipocrisie e manipolazioni condiviso da tutti i friends. Nell’“anti-stato” dei “cittadini della strada”, invece, l’autorevolezza di questo titolo non può che essere ridicolizzata, dal momento che rappresenta il coronamento stesso della rinuncia all’esperienza: usando il potere delle parole per negare l’azione, il diplomat finisce per sottomettere la realtà alle teorie che dovrebbero spiegarla, creando così un mondo illusorio abitato da individui incapaci di interagire per acquisire conoscenza e condividerla.
In tale prospettiva, la graduale riduzione del numero sillabico assume la funzione di rievocare il lento e inarrestabile disinganno di Miss Lonely: questa “scoperta” è esplicitata come tale dal verbo to discover, che si contrappone al sintagma “You never understood” e risemantizza in una prospettiva inedita il realize della strofa precedente. Il raddoppiamento ritmico del verso 34 si presta così ad essere letto come un’allegoria metrica sia della corsa in automobile sia della “loquacità” del diplomat, abile a rendere credibili le proprie menzogne attraverso discorsi dotati di un irresistibile potere retorico-incantatorio. Questa abilità è esemplificata dallo schema di rime diplomat : cat : that : at, complicato anche dall’accentazione irregolare dell’articolo a alla fine del secondo emistichio del verso 35: creando un nesso sonoro tra termini grammaticali “vuoti” e sostantivi “pieni” ma inconciliabili, il narratore intende sia mimare l’eloquenza fine a se stessa del diplomatico sia segnalare l’inizio della realization della protagonista. Nonostante venga percepita innanzitutto come rima, la congiunzione that è infatti preceduta dalla forma discover, che la “riempie” di significato e assegna all’intero emistichio “when you discover that” la funzione di “rompere la magia” dei due versi precedenti. Sia la formulazione dell’“incantesimo” sia il suo scioglimento, quindi, avvengono grazie a combinazioni “magiche” di parole che presuppongono la competizione tra il diplomatico e il narratore stesso, nonché il loro comune proposito di servirsi dell’ambiguo potere della retorica verbale per modificare la realtà e manipolarne la percezione. Tale sfida è appunto vinta dall’“io” che, dopo aver rivelato la pretestuosità di diplomat : cat, ne ridicolizza l’identità sonora attraverso l’espressione slang “where it’s at” (“cos’è che oggi va per la maggiore / cosa è cool”), che consente al narratore di reiterare la rima rivolgendola ora contro il suo primo ideatore. Con tale espediente, quindi, il vincitore dimostra al rivale di saper utilizzare meglio di lui le sue stesse “armi”: se infatti il diplomatico aveva usato il suono at per creare un’associazione irrilevante tra parole pseudo-colte, il narratore è capace di riutilizzare il medesimo suono senza orpelli stilistici, attribuendogli cioè un significato autonomo e persino un contesto lessicale diafasicamente opposto a quello originario.
In tale prospettiva, anche il nesso “chrome horse” (probabile sineddoche per “Ford Mustang”) implica una simile contrapposizione tra punti di vista opposti, dal momento che aggiunge una connotazione ironico-drammatica all’ostentazione dei beni di lusso posseduti dall’uomo. A un livello semantico meno evidente, infatti, il “cavallino cromato” può essere interpretato come un simbolo delle costrizioni e manipolazioni imposte alla natura umana dal sistema teorico-speculativo: se infatti il marchio dell’automobile presuppone l’intento evidente di imitare e superare la velocità del cavallo, è anche vero che l’immagine stessa del “cavallino cromato”, per contrasto, evoca la prigionia dell’animale all’interno di una “gabbia cromata” che gli preclude la possibilità di correre liberamente.
I tricks celati nella “fiaba” raccontata dal diplomat sono quindi totalmente opposti ai trucchi del mestiere esibiti dai jugglers e vengono smascherati dalla donna soltanto in coincidenza del verso 37, che conclude la “discesa sillabica” mediante un pattern accentuale ora del tutto simile a quello usato nei punti corrispondenti delle altre strofe (Hĕ réallў wásn’t | whére ĭt’s át). Tale regolarizzazione metrica coincide con l’apice della disillusione di Miss Lonely e produce nell’ascoltatore un senso di sollievo che contribuisce a mettere questo verso in particolare evidenza rispetto ai precedenti. D’altra parte, l’intero segmento occupa non casualmente lo stesso tratto di spazio verbale in cui il narratore aveva descritto l’incrocio di sguardi tra Miss Lonely e il mystery tramp. Il verso 22 e il verso 37, infatti, presuppongono la stessa realization vista da due prospettive opposte e introducono il parallelismo finale tra i due d della seconda e terza strofa:
PIC
|
Schema
|
|||
d | Rem || Fa || Sol || | |||
38 |
Áftĕr hé | tóok frŏm yóu | éverўthíng | hé cŏuld stéal | |
7
|
4 cretici |
La successione “matematica” dei 4 cretici presuppone l’estensione all’intero verso della discrasia giambico-trocaica presente nei primi emistichi degli altri segmenti di d (“Ăbóut hávĭng tŏ bé scróungĭng”, “Ănd sáy | dó yŏu wánt tŏ”), imponendo alla voce un’intonazione quasi “marziale”, molto scandita e allo stesso tempo ritmicamente monotona. Questo stratagemma ha la funzione di mettere in correlazione il risentimento della protagonista disillusa con la cupidigia manifestata dal diplomat in modo egoistico e aggressivo.
Il verso 38 agisce quindi da pendant del verso 22, concludendo la serie di simmetrie e contrapposizioni che ha caratterizzato tutta la terza strofa: se infatti il diplomatico è un ladro-mentitore che promette senza mantenere e il vagabondo è un venditore “onesto” che offre soltanto la merce che può essere pagata, entrambi non sembrano capaci di interagire con la donna senza volerla controllare. Mentre però le bugie del diplomat comportano la fede in falsi miti e inutili teorie sulla vita, i trucchi dei pagliacci implicano la condivisione di una verità molto più sfuggente e allusiva, espressa in quanto tale solo alla fine della strofa successiva e introdotta qui mediante la distinzione implicita tra mystery tramp e jugglers.
Queste due figure sono facce della stessa medaglia, dal momento che definiscono i presupposti esistenziali e morali della “vita da barbone” guardandola da due prospettive diverse. I jugglers che “saltano, scherzano e piangono” a comando per avere qualche dime, agiscono in questo modo perché hanno intuito che la differenza tra il loro mondo e quello a cui appartengono i passanti “ricchi” come Miss Lonely consiste semplicemente in un modo diverso di ingannare il prossimo. Il loro mestiere, pertanto, è finalizzato a mettere in contrasto le due tipologie di tricks che separano e allo stesso tempo accomunano questi due universi sociali paralleli. Il tramp, invece, non è un artista che offre “alibi” al miglior offerente, ma un venditore impassibile e muto che non ha bisogno di colmare il vacuum dei suoi occhi per simulare emozioni e attirare l’attenzione: sono anzi i suoi stessi clienti a venire da lui, dal momento che il loro personale destino li ha già “convinti/costretti” a fare parte del suo mondo. Per tali ragioni, il vagabondo misterioso può essere considerato, anche solo in senso metaforico, uno “spacciatore” di “merci” che si rivelano tanto essenziali alla sopravvivenza dei compratori (in cerca di droga o di verità) quanto irreperibili nel mondo “superficiale” degli inganni del diplomat.
Il narratore della terza strofa, in questo senso, agisce sia come un vagabondo-spacciatore sia come un vagabondo-pagliaccio. Nel suo rapporto con la protagonista, egli è un mystery tramp che intende portare avanti l’“iniziazione” della donna alla vita di strada, cominciata come tale ai versi 19-22: in vista di tale obiettivo, l’“io” costringe il “tu” a rivivere il suo passato non per farglielo rimpiangere, ma piuttosto per farglielo rinnegare. Il narratore, in altre parole, provoca Miss Lonely perché la considera ormai un membro del suo mondo e vorrebbe ora trasformarla in una sua alleata contro il sistema teorico-speculativo. I meccanismi cinico-vendicativi utilizzati nella prima strofa, infatti, non sono più finalizzati a vendicarsi “della” donna, ma hanno invece lo scopo di vendicare “la” donna: il narratore, pertanto, diventa un juggler solo quando deve competere con il diplomat e inscenare uno scontro retorico tra i due diversi tipi di trick.
La quarta strofa (vv. 45-53)
Da un punto di vista metrico, la strofa conclusiva è senza dubbio la più elaborata, dal momento che in essa la tecnica del raddoppiamento ritmico viene utilizzata per ben cinque volte con finalità stilistiche sempre diverse. Non a caso, l’analisi di R e l’ascolto degli outtakes del 16 giugno invitano a considerare questa stanza come un gruppo di versi che Dylan ha composto innanzitutto “con la voce”, affidando cioè alla dimensione performativa una funzione strutturante molto più evidente che nel resto dei lyrics:
PIC
|
Schema
|
|||
a | (Sol) || Do Rem || | |||
45 |
{Ăh} | Príncĕss ón thĕ stéeplĕ ănd áll thĕ |
|
1 |
3 troc. + anf. |
|
Mim Fa || | ||||
46 |
préttў péoplĕ | Théy’re {ăll} drínkĭn’, thínkĭn’ thát thĕy |
|
+ 5 trochei
|
||
Sol || Sol | ||||
gót ĭt máde |
|
+ cretico |
|||
a | || Do Rem || | |||
47 |
Ĕxchángĭng áll [kĭnds óf] précĭous gífts {ănd thíngs}|
|
2 |
2 giamb. + cretico |
|
Mim Fa || | ||||
48
|
Bŭt yŏu’d béttĕr | táke [lift] yŏur díamŏnd ríng, | |
+ peone 3°
+ troc. + cretico |
||
Sol || Sol || | ||||
yŏu’d béttĕr páwn ĭt bábe |
|
+ anf. + cretico |
Il tipo di raddoppiamento ritmico presente tra i primi due versi è identico a quello usato in coincidenza del primo a della seconda strofa (“Ăh yóu’ve | góne tŏ thĕ fínĕst schóol || ăll ríght, Mĭss Lónelў | Bŭt yŏu knów yŏu ónlў úsed tŏ gét”). In quel caso il numero delle sillabe aumentava da 7/8 a 14, mentre la quantità degli accenti si stabilizzava intorno alle 4 e 6 unità: lo scopo era infatti creare un senso di specularità ritmica con i versi dell’a successivo (rispettivamente di 14 e 8 sillabe e di 6 e 4 accenti). Nella quarta strofa il primo verso di U conta 9 sillabe ed è quindi troppo lungo per essere cantato durante il primo cambio di accordo: come già avvenuto in precedenza, Dylan posticipa l’intonazione degli ultimi due trochei (préttў péoplĕ) all’inizio del segmento successivo, creando due versi di 9 e 11 sillabe e, ancora una volta, 4 e 6 accenti. Lo schema della seconda strofa è quindi riproposto creando un raddoppiamento ritmico volto a regolarizzare il pattern accentuale in funzione dell’armonia e indipendentemente dal numero sillabico. L’effetto speculare implicito nei versi 15-16, tuttavia, è riflesso soltanto in U e negato invece nella PIC: il pattern dei segmenti scritti (“Ĕxchángĭng áll kĭnds óf précĭous gífts ănd thíngs || Bŭt yŏu’d béttĕr | líft yŏur díamŏnd ríng”) nella Master Take diventa “Ĕxchángĭng áll précĭous gífts | Bŭt yŏu’d béttĕr | táke yŏur díamŏnd ríng”. Mentre nel testo ufficiale i versi (di 11 e 9 sillabe e 4 e 6 accenti) riproducono in modo perfetto gli equilibri del modello, nella versione cantata Dylan espunge “kinds of” e “and things” privando il primo segmento di due ictus e creando di fatto due versi di 4 accenti. Tale regolarizzazione può essere considerata una scelta istintiva, ma non per questo casuale: “livellando” il ritmo dei due segmenti, infatti, la voce crea un contesto metrico confacente al raddoppiamento ritmico del verso immediatamente successivo. In questo caso, l’autore non fa riferimento a nessuna soluzione precedente, ma intende sperimentare una sorta di “raddoppiamento ritmico a distanza” tra i due segmenti di cretici rimanti che segnalano la fine dello spazio verbale concesso a un a. Il nuovo raddoppiamento produce un verso di 6 sillabe e 3 accenti (“yŏu’d béttĕr páwn ĭt bábe”) che, rispetto al pattern del cretico di riferimento, aggiunge un accento intermedio duplicando il numero sillabico originario (“gót it máde”). Si tratta cioè di una soluzione abbastanza delicata, almeno da un punto di vista performativo: allungando il cretico, infatti, il cantante finisce per indebolire la funzione dei sintagmi rimanti in quanto “puntelli formali” capaci di “contenere” i lunghi segmenti di a. Il punto è che normalmente la lunghezza di questi ultimi dipendeva dalla presenza di raddoppiamenti ritmici, mentre in questo caso si registra la tendenza opposta: la voce nega cioè il raddoppiamento ritmico “tradizionale” per ridurre le dimensioni del segmento che il “puntello formale” dovrà sostenere. Da un punto di vista semantico, la PIC non fa che confermare l’intenzione dell’autore di complicare la struttura metrica per non essere costretto ad espungere lezioni ritenute rilevanti. Il verso “you’d better pawn it babe”, in altre parole, era troppo importante perché il cantante lo cancellasse a causa della sua irregolarità. Come sappiamo, questo tipo di mentalità compositiva era tipica dell’autore del dattiloscritto: in tal senso, non stupisce che Dylan “ragioni” allo stesso modo anche in riferimento alla quarta strofa, che viene completata tardivamente in X2 sul modello della versione ancora molto provvisoria contenuta in R.
Le radicali innovazioni metriche apportate dall’autore sono coerenti con una nuova impostazione narrativa che limita, per la prima volta, la rievocazione del passato di Miss Lonely a un solo verso (“You used to be so amused”). L’“io” non intende più verificare la maturazione della donna (che a questo punto è già diventata una sua “alleata”), ma piuttosto riscriverne la storia a partire dal suo presente e dalle sue consapevolezze: la descrizione del mondo dei friends, infatti, implica ora una presa di distanza della protagonista, che non è più disposta a lasciarsi plagiare e sembra intenzionata anzi a racimolare i suoi ultimi averi per prepararsi alla nuova vita. L’immagine della “princess on the steeple”, in questo senso, svolge una funzione di passaggio, dal momento che si presta ad essere letta in modo ambivalente come “chrome horse”. La “principessa in cima al campanile” è innanzitutto una personificazione della vanità e del suo potere sociale: come tale, essa può solo essere esposta, adulata e ostentata da sudditi-compagni (come già nel caso 8 di T “youve been shown || you || || || got it made […]”) che non possono interagire con lei, anche perché lei stessa non si presterebbe mai ad “abbassarsi” al loro livello. Allo stesso tempo, questa figura statuaria e immobile è un emblema di solitudine e precarietà: la cima di un campanile è infatti un “trono” instabile e pericoloso, dal quale la principessa è letteralmente “bound to fall” (secondo un’associazione non evidente tra la prima e la quarta strofa, ma confermata qui anche dal comune attacco trocaico). La coesistenza di tali accezioni rende l’immagine sia ironica sia drammatica e rappresenta quindi tanto il punto di vista del narratore quanto quello della donna, che non rimpiange più la sua condizione passata: nel segmento successivo, non a caso, i primi due accenti forti su pretty e people e l’uso iterato di they per iniziare e concludere il secondo emistichio, confermano che la protagonista non si colloca più tra coloro che “bevono e pensano di avercela fatta/di essersi realizzati”. L’inizio del secondo a prosegue sintatticamente la proposizione precedente e ripropone un gerundive per descrivere l’abitudine dei friends a “scambiarsi doni e cose preziose”, secondo un uso idealmente contrapposto alla logica del do ut des esemplificata alla fine della seconda strofa. Mentre infatti il baratto della pretty people ha una funzione sociale legata all’esigenza di “apparire” ostentando la propria ricchezza, il deal del mystery tramp ha lo scopo di garantire la sopravvivenza di entrambe le persone coinvolte nello scambio. Consapevole di questa differenza, la voce del narratore irrompe improvvisamente nella rappresentazione del mondo degli ex-amici e, rivolgendosi a Miss Lonely, le consiglia con decisione di dare in pegno il suo “anello di diamanti”: l’oggetto in questione ha cioè perso per sempre il suo inutile significato simbolico, ma può valere una quantità di denaro che tornerà utile nella nuova vita. Da ciò si capisce quindi la rilevanza attribuita da Dylan alle lezioni “You’d better pawn it babe”, pensate per sorprendere l’ascoltatore anche attraverso il raddoppiamento ritmico “a distanza”, che consente alla voce di cantare il segmento mimando l’intonazione discendente di un monito parlato (come se ci fosse, cioè, un punto esclamativo).
Il “pile-up” sonoro della quarta strofa è anch’esso incentrato sulla divisione fra due mondi:
PRiNcess oN THe steePLe aNd aLL the PRetty PeoPLe
THey’Re {aLL} dRiNkiN’, thiNkiN’ THat THey got it Made
ExchaNgiNg aLL kiNds of PRecious giFts and THiNgs
But you’d BetteR take [Lift] youR diaMoNd RiNg, you’d BetteR PawN it Babe
La “base” di nasali, idealmente riferita al punto di vista di Miss Lonely è ancora una volta connotata in senso negativo dalle r, che qui acquistano rilevanza soprattutto in associazione alle occlusive bilabiali sorde e sonore. Nei primi tre versi, i nessi p + r esprimono l’insofferenza della protagonista per il mondo dei friends (princess, pretty, precious), mentre le laterali e le fricative si riferiscono al punto di vista degli ex-amici, nonché al piacere confortante derivato dalle loro illusioni (steeple, people, all, they, the, that, things). In tal senso, la disposizione dei suoni in “PRincess on the steePLe” e “PRetty peoPLe” consente all’ascoltatore di recepire le immagini descritte dalle parole prima dalla prospettiva della donna e poi in rapporto all’opinione opposta dei suoi vecchi compagni. Nell’ultimo verso, le nasali esprimono la voce del narratore e questa gerarchia sonora si inverte: le varie combinazioni di bilabiali e polivibranti rimandano ora alla “scandalosa” scelta di impegnare l’anello di diamanti (but, better, your ring, pawn). Come nella strofa precedente, anche le vocali accentate diventano rilevanti, dal momento che l’iterazione degli ictus sulla vocale [i] conferisce un senso imperativo all’intero confronto tra mondi, anticipando così il monito conclusivo dell’“io”.
Da un punto di vista narrativo, quindi, il secondo sintagma rimante di a segnala, come avviene anche nelle altre strofe, la fine di un’intera sezione narrativa; tuttavia, a differenza degli altri punti corrispondenti, il pattern di questo segmento (6 sillabe, 3 accenti) introduce il progressivo incremento del numero sillabico e accentuale che caratterizza i segmenti cantati secondo lo schema di b, c e d:
PIC
|
Schema
|
|||
b | Fa || Sol || | |||
49 |
Yóu ŭsed tŏ bé | só ămúsed |
|
3
|
coriam. + cret. |
|
b | Fa || Sol || | |||
50 |
ăt Năpólĕŏn ĭn rágs | ănd thĕ lánguăge thát hĕ úsed |
|
4 |
peon. 3° + 2 anap. + 2 giam.
|
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
51
|
Gó tŏ hĭm nów, | hĕ cálls yŏu, | yŏu cán’t rĕfúse |
|
5 |
coriambo + anf. + 2 giambi |
|
c | Fa Mim || Rem Do || | |||
52 |
Whén yŏu (áin’t) gŏt nóthĭng, | yóu gŏt | nóthĭng tŏ lóse |
|
6 |
4 trochei + coriambo
|
|
d | Rem || Fa Sol || | |||
53 |
Yóu’re ĭnvísĭblĕ nów, | yŏu gót nŏ sécrĕts | tó cŏncéal |
|
7
|
troc. + coriam. + anf. + troc. + cretico
|
In modo speculare rispetto alla graduale “disillusione” della stanza precedente, la seconda metà della quarta strofa si distingue per l’intenzione di rappresentare (anche visivamente) la crescente intensità emotiva di una nuova presa di posizione dell’“io”. Questo climax si manifesta innanzitutto mediante l’aggiunta di altri tre raddoppiamenti ritmici collocati rispettivamente tra i primi due versi, tra il secondo e il terzo e tra il terzo e il quarto (invitando così a considerare le sequenze poetico-musicali di b come un distico e quelle di c e d come una terzina). Una modifica così radicale ha senza dubbio delle conseguenze sul piano della ricezione, dal momento che ridefinisce le aspettative dell’ascoltatore, sia facendogli “desiderare” (fin da “You’d better pawn it babe”) l’inserimento di un nuovo ictus, sia realizzando questo stesso desiderio. Mentre il primo raddoppiamento ritmico, non a caso, è di natura accentuale come i due precedenti, le altre due occorrenze dello stesso fenomeno presuppongono una rivalutazione del numero sillabico: a differenza dei primi versi della terza strofa, però, il valore riposto nella quantità delle sillabe non comporta la totale irrilevanza della regolarità accentuale, ma piuttosto l’intenzione di escogitare un compromesso tra i due criteri di strutturazione metrica. Laddove, infatti, le 11 sillabe dei versi 30-31 determinavano una scansione “decrescente” da 6 a 3 accenti, i versi 51, 52 e 53 presentano un pattern “ascendente” sia dal punto di vista sillabico (11, 12, 14 sillabe) sia dal punto di vista accentuale (5, 6, 7 posizioni). Questa sorta di “ibridazione” determina anche la messa in discussione del cretico come piede finale. Se, infatti, il raddoppiamento “tradizionale” del verso 50 genera un secondo emistichio in cui il cretico è comunque “incluso” dentro lo schema “anapesto + 2 giambi”, il raddoppiamento “ibrido” dei versi 51 e 52 produce due chiusure giambiche che hanno un altro scopo: quello, cioè, di creare nuove discrasie ritmiche con i piedi trocaici autonomi o presenti all’interno dell’anfibraco e dei due coriambi (“[…] ănd thĕ lánguăge thát hĕ úsed || Gó tŏ hĭm nów, | hĕ cálls yŏu, | yŏu cán’t rĕfúse || Whén yŏu (áin’t) gŏt nóthĭng, | yóu gŏt | nóthĭng tŏ lóse”). Come sappiamo, questa tecnica è stata già usata da Dylan nel testo cantato in d di tutte le altre stanze, mentre qui, coerentemente con l’impostazione speculare della quarta strofa, la discrasia del segmento conclusivo non è interna, ma esiste solo in rapporto alla fine dello schema precedente (“[…] tŏ lóse || Yóu’re ĭnvísĭblĕ nów | yŏu gót nŏ sécrĕts | tó cŏncéal”). Il verso 53, in ogni caso, non può rinunciare al cretico finale perché ciò significherebbe diminuire la tensione della dominante: “tó cŏncéal”, per tale ragione, crea un parallelismo con il cretico del verso 49 (“só ămúsed”), mettendo in correlazione il verso più lungo e innovativo della sezione con quello più breve e conforme alle soluzioni sperimentate in precedenza.
La lentezza con cui la voce scandisce “Yóu ŭsed tŏ bé | só ămúsed”, non a caso, si rivela del tutto funzionale da un punto di vista semantico. Il segmento intonato nel primo b costituisce infatti l’ultima rievocazione del passato di Miss Lonely, riproducendo, insieme ai due now dei versi 51 e 53, la stessa contrapposizione stilistico-sintattica delle prime due strofe (vv. 5, 7-9: “You used to laugh about […] Now you don’t talk so loud | Now you don’t seem so proud”; vv. 16, 18: “But you know you only used to get juiced in it […] And now you find out you’re gonna have to get used to it”). A differenza degli altri resoconti, tuttavia, il verso 49 è soprattutto un pretesto retorico che serve a Dylan per continuare la “salita” sillabico-accentuale iniziata da “You’d better pawn it babe”. Non costituendo un raddoppiamento ritmico ma seguendone uno, la “noia” generata nell’ascoltatore da questo segmento (e dovuta anche alla sua lunga cesura) è coerente con l’insofferenza di Miss Lonely per la scelta del narratore di utilizzare un simple past all’interno di un discorso finora espresso soltanto al simple present. Da una prospettiva armonica, la progressione “interrotta” di b acquista una nuova rilevanza, dal momento che il ritorno alla dominante si presta ad essere letto qui come un tentativo di “reagire” all’intonazione “indolente” di “You used to” in corrispondenza della precedente discesa al quarto grado. In questo senso, “so amused” assume un valore contrastivo e il tedio della voce che intona l’emistichio è messo in contrasto con il suo significato letterale, ossia il divertimento della Miss Lonely “ricca”. Anche il raddoppiamento ritmico del verso successivo è certamente prodotto dalla stessa reazione, poiché accelera la scansione cercando di movimentare il discorso poetico-musicale: in tal senso, il narratore “costringe” la dimensione del passato a confluire “dentro” quella del presente proprio nel punto in cui viene presentata la figura chiave della quarta strofa, e cioè il “Napoleon in rags” del verso 50. Questo nuovo personaggio compare nel contesto sintattico di used to, ma la sua personalità si impone in quanto tale soltanto nel presente: infatti, le medesime doti retorico-oratorie che vengono poste in correlazione dialettica con il suo nome (“at Napoleon in rags and the language that he used”) non si limitano a motivare il rinnegato amusement della protagonista, ma si manifestano compiutamente nei tre versi successivi attraverso la voce del narratore. Qui l’esigenza di mimare la dizione parlata comporta la tripartizione di ogni segmento in unità che si estendono progressivamente in funzione dei raddoppiamenti sillabico-accentuali e danno all’ascoltatore l’impressione di voler accelerare le progressioni discendenti di c per giungere subito alla risalita finale di d.
Da un punto di vista semantico, l’immagine del “Napoleon in rags” presuppone, come “mystery tramp”, “selling”, “diplomat”, “chrome horse” e la stessa “princess on the steeple”, l’immedesimazione simultanea del narratore in due punti di vista opposti. Tale appellativo implica infatti sia l’imitazione della logica teorico-speculativa usata dai friends per deridere i bums, sia il tentativo di far coesistere all’interno di un solo individuo i tratti distintivi del juggler e del mystery tramp. Come i vagabondi-pagliacci, il Napoleon in rags è un “Napoleone in funzione dei suoi stracci”, ossia un barbone che si traveste da imperatore e finge di essere ridicolo per ingannare i passanti e cercare di guadagnarsi da vivere. Come il vagabondo-spacciatore, però, egli è anche un “Napoleone nonostante i suoi stracci”, cioè una figura autoritaria e misteriosa che garantisce la sopravvivenza della protagonista stessa. Come i jugglers, anche Napoleone chiama la donna, ma non lo fa per attirare la sua l’attenzione: come il tramp, il vagabondo mascherato sa benissimo che Miss Lonely non possiede più nulla e, per tale ragione, non può più fare a meno di lui. Il suo obiettivo, infatti, è verbalizzare l’ambigua risposta celata negli occhi “vuoti” del mystery tramp nella massima “When you (ain’t) got nothing, | you got | nothing to lose”. Questa frase, degna tanto di un cantastorie capace di manipolare le tradizioni orali quanto di uno sprezzante filosofo cinico, esprime una verità empirica trasmessa in funzione dell’esperienza e in sé diametralmente opposta a qualsiasi costruzione e “costrizione” teorica. L’unica norma presupposta nella fede in tale concetto consiste casomai in un azzeramento totale delle identità precostituite, funzionale a garantire a tutti la facoltà di vivere in modo autentico e di poter essere chiunque in qualunque momento e in qualunque luogo. La sentenza, non a caso, è inclusa all’interno del secondo c, e cioè in corrispondenza della sezione armonica che in tutte le strofe di Like a Rolling Stone è stata impiegata come “spazio verbale della verità”. La tensione ritmico-sillabica verso la risalita finale di d si concretizza quindi nell’intenzione del narratore di “parafrasare” la massima appena intonata in una forma ancora più diretta: “You’re invisibile now, | you got no secrets | to conceal”. Da un punto di vista ricezionale, entrambi i segmenti vengono percepiti in modo tale che ognuno dei tre emistichi del verso 52 venga “spiegato” dagli emistichi paralleli del verso successivo:
Whén yŏu (áin’t) gŏt nóthĭng
↓
Yóu’re ĭnvísĭblĕ nów, |
| yóu gŏt |
↓
| yŏu gót nŏ sécrĕts | |
nóthĭng tŏ lóse |
↓
tó cŏncéal | |
Il primo emistichio del primo segmento, in U, è privato della negazione non standard ain’t (aggiunta istintivamente nella PIC per raddoppiare “Gó tŏ hĭm nów”). Nel dattiloscritto sono presenti invece entrambe le forme, dimostrando l’esistenza di un dubbio che non viene risolto da Dylan né nel testo ufficiale né nella Master Take. L’alternativa senza ain’t ha tuttavia un vantaggio significativo, dal momento che consente al primo emistichio del verso 53 un raddoppiamento ritmico parallelo a quello tra “got” e “you got no secrets”. Se quindi “non avere niente” significa “essere invisibili”, la condizione contraria, per contrasto, comporta sempre la responsabilità di mantenere dei segreti relativi al bene posseduto. Rinunciare all’impresa stessa di “accumulare” (tanto oggetti materiali quanto convinzioni teoriche), invece, consente di liberarsi dalla dialettica vincitore-perdente, nonché dall’ossessione di dover sempre dimostrare al mondo “di avercela fatta” (“got it made”).
Grazie al confronto tra T, R e X2 sappiamo che Dylan non raggiunse subito una piena consapevolezza dell’impostazione narrativa e filosofica della strofa conclusiva. A dire il vero, l’aspetto ancora provvisorio della quarta stanza di R lascia intendere che l’elaborazione di questi versi iniziò in una fase già molto avanzata del processo creativo e si concluse davvero soltanto durante la sessione del 16 giugno. Nella sua forma originaria, inoltre, l’autore intendeva in modo diverso soprattutto i segmenti di a:
10
15 |
Drinking, thinking, going down | with a silver lining You got it made in the shade All kinds of precious gifts and pretty things You better take your diamond rings You better pawn ’em babe
You used to be so amused | at Napoleon in rags and the language that he used Go to him – now he calls you and you can’t refuse When you got nothing you got nothing to lose You’re invisible – You got no secrets to conceal –
|
La distinzione tra “testo principale” e “varianti alternative”, valida per le altre strofe di R, smette di essere rilevante per la quarta strofa: Dylan infatti non sta trascrivendo o revisionando delle lezioni già ideate in autografi precedenti, ma è intenzionato a comporre in senso stretto e lascia quindi impressa sulla pagina l’“evoluzione” dei suoi stessi pensieri. Questa mancanza di gerarchia tra soluzioni diverse semplicemente giustapposte l’una di seguito all’altra comporta, da un punto di vista filologico, la “pretesa” di rendere leggibile un testo ancora incompiuto cercando un compromesso tra le “prime” proposte venute in mente all’autore e quelle che diventeranno parte della versione definitiva. D’altra parte, l’estrapolazione da Alternatives to College della lezione fox (6b) e la rielaborazione dei casi 7, 8 e 11 di T, dimostra che la strategia compositiva di questa strofa è fondata sull’“assemblaggio” di lezioni già esistenti, che Dylan non era riuscito a inserire nelle stanze precedenti o aveva deciso di “conservare” in vista della conclusione del brano.
In questa versione alternativa, ciò che colpisce è innanzitutto la totale esclusione del punto di vista dei friends mediante la cancellazione del verso “pretty people precious people” (5b), originariamente sottoscritto a “princess on the steeple”. Questa scelta è confermata soprattutto dalla sostituzione di “smoking” con “going down” in corrispondenza della successione di gerundives iniziata con “drinking” e “thinking”. Se già in X2 la stessa “going down” verrà cassata per consentire la concordanza sintattica tra “thinking” e “that they/you got it made” (5b), la scelta di “going down” in R sembra implicare l’intenzione di riferire questo verbo alla sola “princess on the steeple” (laddove il generico “smoking” poteva invece avere per soggetti tanto la donna quanto i friends). Le lezioni in questione, infatti, presentano una gamma di significati molto estesa, che però acquisisce un valore semantico particolare soltanto in riferimento ai due segmenti successivi, ossia “With a silver lining” e “You got it made in the shade”. Il primo presenta come variante alternativa “diamonds shining” (4b), mentre il secondo presuppone l’aggiunta di una connotazione idiomatica al meno marcato “got it made” (“avercela fatta / realizzarsi”), comunque presente nel manoscritto (5b). Riepilogando, una ricostruzione verosimile potrebbe essere la seguente: 1) Dylan rielabora il caso 8 di T (“youve been shown || you || || got it made || you used to have all these precious things your jewels”) e scrive “Princess on the steeple | Pretty people precious people | Drinking, thinking, smoking | with a silver lining”; 2) indeciso se includere o meno i friends come soggetti, l’autore elabora due soluzioni parallele e, prima di continuare l’idea iniziale con “that they/you got it made”, cassa “smoking” per aggiungere “going down” come nuova premessa di “with a silver lining” e conclude la sezione con “you got it made in the shade” (priva di that e sintatticamente riferibile a tutti e tre i gerundives); 3) usando R come modello di X2, Dylan rivaluta nuovamente le lezioni connesse alla pretty people ed espunge del tutto il terzo gerundive per collegare “thinking” a that.
Tra le soluzioni recuperate, tuttavia, manca “with a silver lining”, e cioè un gruppo di lezioni che, assumendo connotazioni diverse, era stato utilizzato in entrambe le proposte: con ogni probabilità, l’autore elabora questa immagine creando un’associazione tra la “nuvola di fumo” implicita in “smoking” e il proverbio “every cloud has a silver lining”, che letteralmente significa “ogni nuvola ha un rivestimento argentato” (corrispondente all’italiano “non tutti i mali vengono per nuocere”). Il lettore è invitato quindi a immaginare una sorta di “nuvola di fumo con dei risvolti argentati”, in cui “silver lining” perde però l’originale accezione positiva e diventa una metafora dell’ossessione dei friends per l’apparenza: la pretty people è disposta, in altre parole, a rovinarsi il fegato e inquinarsi i polmoni pur di “sembrare cool”, nascondendo il proprio vuoto interiore per dare l’idea, come già il diplomat, di essere smaliziata e sofisticata. Gli amici diventano così figure evanescenti, avvolte da una nebbia che emana una luce spettrale e non sembra celare individui “vivi”. Nonostante tali suggestioni, Dylan si rende conto che il primo significato di “with a silver lining” sarebbe più consono all’inaspettato “riscatto” della protagonista caduta in rovina e per questo il “rivestimento argentato” è inserito in un nuovo contesto semantico che ne rivaluta il senso positivo: riferendosi alla sola donna e cancellando la pretty people, l’autore ripropone la stessa immagine all’interno di un “cuore di tenebra” evocato sia da “going down” sia dalle ombre di “you got it made in the shade”. L’aggiunta di shade all’originale “got it made” di T genera la rima interna made : shade e giustifica l’assonanza con il successivo (e in parte pretestuoso) babe del verso 12. “Going down”, invece, si riferisce all’oscurità in modo molto più allusivo e indiretto, dal momento che questo gerundive copre una vasta gamma di significati tutti più o meno riconducibili alla storia di Miss Lonely. In riferimento a dei prodotti alimentari (e dunque in correlazione a “drinking”), il senso letterale di “scendere” acquista l’accezione informale di “calarsi giù / mangiare avidamente”. Questa idea di “consumo violento” assume una valenza aggressiva sia in relazione alla sfera sessuale (“abbassarsi per praticare sesso orale”) sia all’interno di discorsi economico-finanziari in cui to go down può indicare tanto l’atto di “lasciare il college / abbandonare gli studi” quanto quello di “rubare” o “affondare / far fallire / mandare in bancarotta”. La diffusione del verbo in tali contesti è dimostra da espressioni idiomatiche come “to go down the drain” (“essere coinvolti in attività infruttuose / essere sprecati / smettere di esistere”) e “to go down the pan” (“andare a rotoli”) e dalla forma to go down with, l’unica a poter essere intesa sia in modo negativo (“fallire insieme a” / “contrarre una malattia”) sia in modo positivo (“to go down well with”, “essere gradito a” / “essere apprezzato da”). Una simile coesistenza di significati è tale da riassumere tutti i passaggi narrativi della canzone, anche se Dylan sembra interessato soprattutto al senso metaforico di “abbassarsi” in quanto “eclissarsi / tramontare”: non a caso, la variante di difficile collocazione “Axes and rods | in the dusk of the gods” (< 8), rivela l’intenzione dell’autore di associare i vizi e le vanità della precious people e della princess on the steeple al topos delle “divinità sconfitte”, costrette a rinunciare al potere e a diventare invisible. In tale prospettiva, il “rivestimento argentato” è percepito ora come l’ultima luce prima di un tramonto, associabile dall’ascoltatore tanto ai vantaggi legati alla mancanza di identità quanto, materialmente, al riflesso dell’anello di diamanti che la donna sarà tra poco invitata a impegnare.
La conseguenza più evidente dell’esclusione dei friends (e dunque il motivo stesso della loro futura reintegrazione) è la sostanziale ambiguità con cui il narratore definisce il ruolo di Miss Lonely all’interno della quarta strofa. L’analisi delle stanze precedenti ha infatti messo in evidenza un percorso di graduale “iniziazione” alla vita di strada che la versione originaria di R intende, in modo abbastanza inaspettato, mettere in discussione. La “princess on the steeple” presente nel manoscritto, in altre parole, non si dimostra così ben disposta a rinunciare ai suoi ultimi averi: come nella prima strofa, il narratore sembra infatti mettere in atto dei meccanismi cinico-vendicativi finalizzati a rappresentare l’enorme quantità di gioielli posseduti (e non ancora perduti) dalla donna. In tal senso, oltre ad assegnare una funzione centrale alla “luce” dell’anello, la voce estrapola gli aggettivi precious e pretty dal loro contesto originario (“precious people pretty people”) e li riutilizza in riferimento ai gifts e alle things, che qui non appartengono ancora agli amici (“exchanging” sarà aggiunto a partire da X2) ma unicamente a Miss Lonely. è lo stesso autore di R, d’altra parte, a farci capire che la protagonista è ancora molto ricca: infatti la variante 8b, proposta in alternativa alla fondamentale massima del verso 15, recita proprio il suo contrario, e cioè “Baby, you got a lot to lose”. Dylan, in ogni caso, si ricrederà presto e “trasferirà” la proprietà di questi beni materiali ai friends, secondo un intento evidente soprattutto nel passaggio dai “diamond rings” del verso 11 di R al solo “diamond ring” del verso 48 di U (nonché la conseguente necessità di sostituire l’abbreviazione del pronome di terza persona plurale “’em” con il pronome di terza persona singolare “it”). Tale scelta non comporta nessuna modifica da un punto di vista metrico e performativo e, pertanto, può essere motivata solo in funzione di una specifica esigenza di revisione stilistica connessa esclusivamente alla dimensione scritta.
Nella quarta strofa di X2 e U, il narratore smette di controllare la storia in modo autoritario e il suo atteggiamento provocatorio nei confronti della protagonista si manifesta presupponendo un equilibrio molto diverso dalla versione di R: per la prima volta, infatti, l’“io” non si immedesima nel punto di vista di Miss Lonely, ma si impone come personaggio autonomo (fatta eccezione per l’immagine della “princess on the steeple” e per l’equilibrio poetico-musicale di “You used to”). La nuova posizione in cui il narratore colloca se stesso gli consente di usare materialmente la propria voce per radicalizzare il suo rapporto dialogico con il “tu”: mediante moniti “parlati” e metricamente marcati (“You’d better pawn it babe”; “Go to him now, he calls you, you can’t refuse”), l’“io” può esprimere sia il suo coinvolgimento nella storia sia la totale condivisione delle ambigue verità del “Napoleon in rags”. Allo stesso tempo, il narratore non si identifica con il vagabondo mascherato ma scrive e canta una strofa in cui ne mette in pratica gli insegnamenti dal suo personale punto di vista, come se volesse emularne la personalità e dare l’impressione di agire “al posto suo”. Come il “Napoleone in stracci”, infatti, anche l’io dimostra di essere sempre stato sia un juggler sia un mystery tramp. Dopo aver ostentato le sue capacità retorico-incantatorie nella sfida con il diplomat, il narratore-juggler usa la sua lingua “magica” per proporre un nuovo equilibrio “finzionale” in cui la dimensione fiabesca non viene annullata da quella metropolitana, ma entrambe sono fuse in un nuovo compromesso narrativo. Così come l’impostazione della seconda strofa era stata riutilizzata in modo speculare nella terza, le aspettative fantastiche del once upon a time – imposte e frustrate nella prima stanza – sono soddisfatte nella quarta mediante una nuova sospensione volontaria dell’incredulità: l’ascoltatore ha quindi l’impressione di ascoltare la storia della donna come se l’io la stesse raccontando per la prima volta, con una sostanziale differenza. Mentre all’inizio della canzone il mondo dei friends rappresentava la “fiaba” e il mondo della strada corrispondeva al “finale negativo” della fiaba stessa, alla fine del brano tale gerarchia è invertita per fare in modo che la vita da bums diventi un vero e proprio “lieto fine”. In un certo senso, quindi, Miss Lonely smette di essere la “principessa in cima al campanile” e inizia a diventare una sorta di “Cenerentola al contrario”, che sembra avere imparato a vivere la sua disfatta economica come una potenziale fortuna. Tuttavia, non possiamo esserne certi fino in fondo, perché il narratore sceglie di concludere la canzone con un finale aperto in cui le vicende della donna vengono sussunte in una massima valida per tutte le storie simili alla sua: in altre parole, da juggler che “recita il ruolo di narratore”, il narratore stesso agisce ora da mystery tramp, mettendo in pratica il principio dell’“invisibilità” enunciato in quanto tale solo nel verso successivo. La protagonista raggiunge così lo stesso grado di anonimia e irriconoscibilità che caratterizza lo statuto dell’“io” in Like a Rolling Stone. Possiamo anzi dire che, di fatto, il narratore è sempre stato un “Napoleon in rags”, dal momento che, nel corso di tutta la canzone, non ha fatto altro che rivolgersi alla donna e la donna, come l’ascoltatore, non si è mai potuta rifiutare di stare a sentire the language that he used. Dislocandosi nel vagabondo mascherato, infatti, il narratore si rende invisibile ma non “inaudibile”: se l’impossibilità di vederlo implica la libertà dal paradigma delle teorie e delle speculazioni scritte – dei “segreti da nascondere nei libri” – la sua voce fluttua invece nell’aria ed è la voce di Miss Lonely come del diplomat, la voce dei bums come quella dei friends.
I ritornelli
L’autonomia strutturale delle strofe di Like a Rolling Stone deriva certamente anche dal tipo di processo compositivo che le ha prodotte, in sé molto diverso, come si è detto nel capitolo precedente, da quello dei ritornelli. Durante l’ascolto della PIC, tale differenza è evidente fin dal primo chorus, composto sul tradizionale modello triadico tonica-sottodominante-dominante:
Ritornello
|
Schema
|
|||
e | (Sol) || Do Fa || | |||
10 |
Hów dŏes ĭt féel |
|
1 |
coriambo
|
|
e | (Sol) || Do Fa || | |||
11 |
Hów dŏes ĭt féel | |
2 |
coriambo
|
|
e | (Sol) || Do Fa || | |||
12 |
Tŏ bĕ ón yŏur ówn PIC: {Tŏ bé wĭthóut ă hóme}
|
3
|
anap. + giam. (3 giambi) |
|
e | (Sol) || Do Fa || | |||
x |
Wĭth nó dĭréctiŏn hóme
|
3 giambi |
||
e | (Sol) || Do Fa || |
troc. + 3 giam. |
||
13
|
Líke ă cŏmpléte ŭnknówn
|
4
|
||
e | (Sol) || Do Fa || |
troc + cretico |
||
14 |
Líke ă róllĭng stóne?
|
5
|
Ogni progressione ascendente è collegata alle altre da una sincope che garantisce la continua ripetizione della stessa “narrazione musicale”. Anche dal punto di vista verbale la storia “non prosegue”, frustrando quindi il desiderio di conoscenza dell’ascoltatore che attende il ritorno della tonica: Dylan risponde a una domanda con un’altra domanda, spostando il focus dell’attenzione dalla vicenda narrata al solo concetto di “sentimento”. Tale cambio di prospettiva si riflette anche nel pattern dei primi due versi, che prevede l’intonazione di un solo coriambo metricamente opposto ai due antispasti con cui si era conclusa la prima strofa. Da un punto di vista semantico, invece, il quesito icasticamente posto dalla voce è ambivalente, dal momento che esso può essere inteso sia (in senso figurato) come una domanda retorica sia (in senso letterale) come una domanda propriamente detta. Nel primo caso, è lecito ipotizzare che anche il narratore abbia vissuto un simile rovescio di fortuna e che ora, pur essendo ben consapevole di cosa si provi, desideri cinicamente sentire la risposta negativa della protagonista, confermando così le intenzioni vendicative manifestate nei versi precedenti. Nel secondo caso, l’esperienza del narratore smette invece di avere rilevanza e viene messa in primo piano la sua sincera curiosità verso lo stato della protagonista. Tali interpretazioni presuppongono quindi finalità opposte, anche se entrambe impongono alla donna lo stesso sforzo di autoconoscenza: privato del filtro del suo passato e dei resoconti indiretti dell’“io”, il “tu” è invitato quindi a diventare un soggetto attivo e autonomo, capace di rievocare il proprio destino per prendere atto della realtà presente e accettarla in quanto tale. L’apporto conoscitivo di un simile proposito, tuttavia, non sembra esprimibile su un piano verbale, poiché la risposta che il narratore richiede presuppone la liberazione da qualsiasi logica narrativa. Più che una risposta “incentrata sulle emozioni”, egli pretende una vera e propria reazione emotiva, come se fosse consapevole che le parole non possono definire compiutamente i sentimenti. Non a caso, da un punto di vista ricezionale, l’ascoltatore ha l’impressione che lo hook “improvvisato” dall’organo di Al Kooper risponda “per” la protagonista, mentre la chitarra di Bloomfield assume la funzione narrativa di acuire la tensione della narrazione poco prima dell’inizio del chorus: chitarra e organo, in questo senso, sono la “cornice emotiva” della domanda. Se dunque quest’ultima è destinata a rimanere priva di un responso letterale, ciò accade soprattutto perché “How does it feel”, manifestando tutta la sua forza dichiarativa e rimanendo sospesa tra intento provocatorio e intento maieutico, costituisce già in sé l’“introduzione” di una risposta che tanto la protagonista quanto l’ascoltatore (e, in fondo, lo stesso “io”) hanno il dovere morale di portare a termine:
The song’s victim is being forced to ask this of herself, as few ever do, for the first time. The genius of the thing, what with humanity’s persistent condition, lies in the fact that ‘it’ can be almost anything: success, degradation, applause, pain, pride, loss, betrayal, obscurity, the final surrender of the self (Bell e2014; cors.d.cur.).
Nessuna lezione di T rimanda al testo del chorus, mentre sappiamo che in R esso costituisce il principale obiettivo dell’autore. In particolare, è interessante notare la ricorrenza, in ogni pagina manoscritta, di alternative semanticamente diverse ma accomunate dalla stessa rima. È questo il caso, per esempio, dell’identità sonora tra real e feel che, dopo essere stata proposta nel primo foglio come “make it real” (6c) e “Is it ain’t quite real” (8c), dà origine nel terzo a “It feels real” e “Does it feel real” (entrambe parte di 16c). Se 6c è probabilmente riferito a “your next meal”, le altre tre varianti sono tutte pensate in sostituzione del secondo “How does it feel”. Dylan, infatti, cerca di occupare lo spazio verbale del secondo e con una “risposta”, salvo poi ricredersi (per le ragioni esposte sopra) e scartare tutte queste soluzioni. A pagina 3, 16c è composta anche da “Shut up and deal” e “Raw deal”, che rievocano il deal della seconda strofa, e da “Get down and Kneel”, che rielabora il caso 9 di T (“kneel || || you || || when you’re down like you – there is no room to kneel”). Con ogni probabilità, le prime due sequenze sono cassate perché presuppongono una ripetizione, mentre l’intonazione della terza avrebbe connotato solo in senso negativo gli “ambigui” feelings che il narratore pretende dalla protagonista. Un’ulteriore variante del secondo verso è “Behind the wheel” (15c), che non viene accettata anche se avrebbe consentito di evitare l’iterazione del quesito mantenendone l’ambivalenza.
Ciò detto, non stupisce che Dylan occupi lo spazio verbale degli altri e del ritornello dimostrandosi sensibile all’esigenza di stasi narrativa suggerita tanto dalla struttura armonica quanto dalla domanda iniziale: la voce sceglie infatti di intonare due distici che sono connessi al duplice “How does it feel?” sia da una prospettiva sintattica (il punto di domanda, in U come in C, è posto alla fine della sezione) sia da una prospettiva semantica. La prima coppia di versi, caratterizzata da un andamento giambico opposto all’attacco trocaico dei coriambi precedenti e dall’anafora di “To be”, è incentrata sul tema della solitudine e dello spaesamento conseguenti alla mancanza di una confortante direction home (simbolo ideale di tutti gli agi e le certezze del passato della protagonista). Il secondo distico è invece costituito da un’alternanza di attacchi trocaici e chiusure giambiche simile a quello dei coriambi, nonché da due similitudini introdotte dalla parola like. Quest’ultima, tuttavia, acquisisce delle implicazioni sottilmente diverse nelle singole occorrenze: nel primo verso (“Like a complete unknown”), il trocheo “líke ă” è seguito dal giambo “cŏmpléte”, creando una discrasia (di tipo opposto rispetto a quella intonata in d); nel secondo segmento (“Like a rolling stone”), lo stesso trocheo precede un altro piede identico (“róllĭng”), negando l’irregolarità ritmica. Tale stratagemma consente alla voce di mettere in particolare risalto l’accento forte su rolling, che l’ascoltatore, illuso dalla ripetizione di like, percepisce come “anticipato”.
Se, da un punto di vista semantico, i due distici non fanno che anticipare la “verità” esposta nella quarta strofa, da un punto di vista metrico e performativo sono concepiti in modo che riflettano l’ambivalenza della domanda iniziale. La centralità di quest’ultima è dimostrata anche da altri accorgimenti rilevabili negli ultimi versi delle strofe. Alla fine della seconda stanza, per esempio, la scelta di aggiungere in U la soluzione “ask him” (assente in tutti i testimoni precedenti e successivi al testo ufficiale) sembra finalizzata a mettere in risalto il fatto che il narratore risponderà con una domanda al quesito posto al tramp dalla protagonista. Allo stesso modo, l’ultimo ritornello è introdotto dal verso 53 (“You’re invisible now, you got no secrets to conceal”) per invitare l’ascoltatore a intendere il quarto chorus secondo un’accezione opposta rispetto agli altri tre ritornelli.
Alla luce di tali considerazioni, possiamo considerare l’intera struttura poetico-musicale del chorus come una sorta di “sintesi emotiva” che invita a interpretare tutta la canzone nei termini di un vero e proprio paradosso tra istanze collegate all’“accusa” del narratore ed elementi connessi invece alla “liberazione” di Miss Lonely:
While there are negative connotations to being ‘on your own . . . without a home . . . with no direction home,’ there is also a sense of freedom, honesty, and self-reliance. […] Dylan’s whole musical career up to 1965, especially his inheritance of the Woody Guthrie tradition, would suggest that to be “like a rolling stone’ is a far from undesirable destiny. Each verse builds up to the climactic moment of release on ‘How does it feel?’—it is the pattern of male sexual orgasm or, more learnedly, of Aristotelian catharsis (Scobie 1991-2004: 123).
The right characterization of the animus within the song, in my judgment, is not gloating but exulting.Dylan’s judgment in the song, by the end, feels different from the one he was moved to make before it, outside it, about it. What do we really feel about its question “How does it feel?” (A question within a question there.) How does it feel? Mixed: is that not how it feels? […] mixed feelings, nixed feelings […] And does this question permit of a single-minded answer? If the song were nothing other than a triumph of gloating, then the hoped-for answer would be reduced to the broken admission, “Terrible, that’s how it feels, if you must know.” But there can be felt in the refrain an exhilaration and a further exultation, […] some exultation that she herself may have come belatedly into possession of and be feeling even now. […] Does the answer have to be terrible, terrifying? Is there nothing about being without a home that could be, even if far short of terrific, at least freed from certain pressures or oppressions […] or […] sadnesses? (Ricks 2003: 181-183).
The key line is, “You’ve got no secrets to concea!” Everything has been stripped away. You’re on your own, you’re free now. You’ve gone through all these levels of experience-you fell, someone you believed in robbed you blind, took everything he could steal, and finally, it’s all been taken away. You’re so helpless, and now you’ve got nothing left. And you’re invisible – you’ve got no secrets – that’s so liberating. You’ve nothing to fear anymore. It’s useless to hide any of that shit. You’re a free man. That to me is the message (Wenner 2004 in Marcus 2005: 88-89).
The question posed at that decisive moment (“How does it feel?”) forces listeners to consider the prospects of freedom from where they now stand rather than from the vantage point of any hand-me-down political philosophy. There you stand— just you, your friends, your lover—with nothing left but also nothing to lose. In this situation, the desire to break free of all that would have you do what is expected of you is hopelessly entangled with the fear that doing so will leave you lost and alone. The exhilaration we feel when the chorus arrives flows from our having made the decision towards which the song, as a crafted manipulation of musical form, has been pushing us all along—I assent, all at once, to all of it, desire and fear, wild adventures and unwonted dangers (Bryan Lloyd 2014: 73).
“A rolling stone gathers no moss”
Il paradosso tra “accusa” e “liberazione” è alla base della stessa immagine della rolling stone, traducibile in italiano sia con “pietra che rotola via” sia con “pietra che rotola giù” (Carrera 2001-2011: 13). Quest’ultima deriva infatti dal proverbio latino saxum volutum non obducitur musco, già tradotto da Erasmo da Rotterdam negli Adagia (III, iv,75) ed entrato nella lingua inglese intorno al XIV secolo come “A rolling stone gathers no moss” (Morris 2009: 167). La pietra che rotola “non fa muschio” perché il suo continuo movimento ne impedisce la formazione: nella sua accezione più antica, infatti, l’adagio rappresenta un invito all’accumulazione della ricchezza. L’Oxford English Dictionary assicura che la sentenza è usata “to imply that a man who restlessly roams from place to place, or constantly changes his employment will never grow rich”. Specialmente a partire dal Novecento, tuttavia, la validità del proverbio è messa in discussione. Già nel 1914, per esempio, George Bernard Shaw scrive nella prefazione a Misalliance: “We keep repeting the silly proverb that a rolling stone gathers no moss, as if moss were a desiderable parasite” (Ricks 2003: 192). Poco più di un decennio dopo, Stephen Leacock dichiara: “nowadays it is exactly wrong. It is the rolling stone that gathers the moss” (Ivi), intendendo che nella vita moderna chi fa “fortuna” è proprio l’individuo che sceglie di spostarsi continuamente ed esplorare il mondo.
Per Dylan, esistono di fatto “due” rolling stones: la prima è quella cantata nel 1948 da Leon Payne e (l’anno successivo) da Hank Williams in Lost Highway:
5
10
15
|
I’m a rolling stone, all alone and lost,
For a life of sin, I have paid the cost. When I pass by, all the people say “Just another guy on the lost highway.”
Just a deck of cards and a jug of wine And a woman’s lies make a life like mine. Oh, the day we met, I went astray, I started rollin’ down that lost highway.
I was just a lad, nearly twenty-two, Neither good nor bad, just a kid like you, And now I’m lost, too late to pray, Lord, I’ve paid the cost on the lost highway.
Now, boys, don’t start your ramblin’ round, On this road of sin or you’re sorrow bound. Take my advice or you’ll curse the day You started rollin’ down that lost highway. |
Nella storia di Payne a parlare è, per così dire, “Miss Lonely”, una rolling stone che ha accettato il suo destino di solitudine e peregrinazioni, ma invita gli ascoltatori a non “allontanarsi troppo” dalla direction home. La seconda “pietra che rotola” è il protagonista del brano Rollin’ Stone (1950), composto e interpretato da Muddy Waters:
5
10
15
20
|
Well, I wish I was a catfish,
Swimmin’ in a oh, deep, blue sea I would have all you good lookin’ women, Fishin’, fishin’ after me Sure ‘nough, a-after me Sure ‘nough, a-after me Oh ‘nough, oh ‘nough, sure ‘nough
I went to my baby’s house, And I sit down oh, on her steps. She said, “Now, come on in now, Muddy You know, my husband just now left Sure ‘nough, he just now left Sure ‘nough, he just now left Sure ‘nough, oh well, oh well”
Well, my mother told my father, Just before hmmm, I was born, “I got a boy child’s comin’ He’s gonna be, he’s gonna be a rollin’ stone, Sure ‘nough, he’s a rollin’ stone Sure ‘nough, he’s a rollin’ stone” Oh well he’s a, oh well he’s a, oh well he’s a…
Well, I feel, yes I feel, Feel that I could lay down oh, time ain’t long I’m gonna catch the first thing smokin’, Back, back down the road I’m goin’ Back down the road I’m goin’ Back down the road I’m goin’ Sure ‘nough back, sure ‘nough back
|
Waters utilizza la stessa espressione in un senso opposto rispetto a Williams: mentre nella tradizione bianca del country le “pietre rotolanti” sono innanzitutto individui che hanno fatto scelte sbagliate, nella tradizione nera del blues essere una rollin’ stone equivale a una condizione “innata”. Nella seconda canzone, infatti, la madre del protagonista chiama così il figlio che porta ancora in grembo: quest’ultimo, una volta cresciuto, conduce una vita errabonda e misera, ma l’immoralità dei suoi comportamenti, allo stesso tempo, è descritta dal bluesman anche come il sintomo di una implicita “libertà”:
The image “rolling stone” figures in both white and black American oral tradition. In white culture the image is frozen into formulaic words of wisdom, although representations vary: either the rolling stone gathers no wealth and is a bad thing to be (mostly in Scottish tradition), or the rolling stone stays free from ties and responsibilities and is a good thing to be. This one proverb, then, wisely and knowingly advises two opposite solutions to the same problem. In black tradition, “rolling stone” is a popular floating image in the blues, implying both responsibility-free traveling and male sexuality (Bowden 1982-2001: 76).
Dylan è perfettamente consapevole di questa coesistenza di significati e utilizza l’immagine per mostrare a Miss Lonely “due possibili soluzioni dello stesso problema”:
La canzone di Dylan è pervasa da elementi di Waters e Williams, ma lui sfrutta da una diversa angolatura la metafora ereditata. Essa diventa un castigo e una prigione, ma anche un destino comune, una realtà latente (Marqusee 2003-2005: 152).
A titolo riepilogativo, si leggano allora le suggestive riflessioni di David Mikics, che ha messo in correlazione il paradosso dylaniano tra “accusa” e “liberazione” con l’espressione gnomica eraclitea “Una e la stessa è la via all’insù e all’ingiù”:
«Una e la stessa è la via all’insù e all’ingiù» […] è una frase che rifiuta ogni delucidazione. Che cosa intende Eraclito quando dice «la stessa»? […] Nella […] frase si fa luce un senso nascostamente mistico: discendere negli abissi (di se stessi, o delle circostanze) costituisce già un’ascesa. La frase dà forma a un inquietante, estatico suggerimento. In Like a Rolling Stone appare una nota mistica altrettanto inclassificabile: «Once upon a time you dressed so fine…» […] Adesso che sei caduta in basso, rivestita della tua nuova, scandalosa povertà, adesso sei libera. […] Like a Rolling Stone sembra ripetere una lezione familiare, come il proverbio su cui è basata, ma in realtà (essendo una gnome) appartiene a una sapienza più eccentrica. L’orgogliosa, svergognata reietta, che ormai è andata così lontano da non vedere più nessuna «direction home», nessuna possibilità di ritorno a casa, né tantomeno un ritorno alla sicurezza e all’autorità del luogo comune, si è anche liberata da ogni moralismo di tipo proverbiale (Mikics 2005 in Carrera 2008: 169).
Conclusioni: diaforia e performance
E chi mai, proprio come all’opera, è mai stato ad ascoltare tutto il testo? Bastava il culmine ascensionale delle rime dal doppio accento, didn’t you, kiddin’ you, […], per dare all’ascoltatore la certezza di aver capito di che si trattava. Ed era sufficiente l’esplosione ditirambica di “How does it feel?” perché la certezza si trasformasse in partecipazione coreutica. La voce catapultava se stessa dicendo esattamente how it felt, come si sentiva: gioiosa a dispetto di tutto, esultante sulle macerie, estatica e incurante delle catastrofi che descriveva. La patetica vicenda di Miss Lonely era solo un pretesto, e nessuno ha mai prestato più di tanta attenzione ai suoi particolari irrisolti (Carrera 2001-2011: 189).
Le parole di Carrera intendono rievocare le dinamiche ricezionali più diffuse tra i primi ascoltatori di Like a Rolling Stone. Dylan, che come sappiamo ha spesso manifestato democraticamente il suo ruolo di interprete del testo, è anche l’unico ad essere realmente consapevole delle potenzialità che il testo stesso acquisisce nel momento della performance:
So what is the text of ‘Like a Rolling Stone’? It is surely the accumulation of all performances, the song’s total history. The text is not a fixed set of words or music but a fluid space, a performance area, which sets out a musical and thematic field within which any one version can only be provisional. Dylan minimizes the importance of a stable text as product and maximizes the importance of the process of singing or listening […] The original recording […] already reflects the range of possibilities […] this version is about Miss Lonely in ways that few of the later versions would be (Or indeed could be: inevitably, every subsequent performance is about ‘Like a Rolling Stone’, that is, about itself and the song’s history) (Scobie 1991-2004: 123).
È precisamente per queste ragioni che Like a Rolling Stone è anche una canzone “impossibile da non ascoltare”, nel senso che neanche i detrattori di Dylan o, al limite, i non appassionati di folk e rock possono restare del tutto “indifferenti” al suo passaggio:
“Like a Rolling Stone” at Longhi’s, Lahina, Maui, February 22. Longhi’s is the ultimate laid-back watering hole; as I sat there that morning, the house radio tuned to KQMQ-FM and playing pop tunes that functioned strictly as unregistered background, Bob Dylan’s greatest song came on. The languid crowd slowly turned from its pineapple and Bloody Mary breakfast; feet began moving, conversations died. Everyone listened, and everyone looked a bit more alive when the last notes faded. It was a stunning moment: irrefutable proof that “Like a Rolling Stone” cannot be used as Muzak” (Marcus 1980: 123-124).
L’aneddoto di Marcus risale al 1980, ma specialmente nel 1965-1966, il potere “irresistibile” della canzone contribuì in modo decisivo a connotare l’icona dylaniana come un vero e punto di riferimento ideologico:
Dylan had been famous, had been the center of attention, for a long time. But now the ante was being upped again. He’d become a pop star as well as a folk star.. and was, even more than the Beatles, a public symbol of the vast cultural, political, generational changes taking place in the United States and Europe. He was perceived as a leader (Williams 1990: 154-155).
D’altra parte, tra quelli che abbiamo definito i “comuni” ascoltatori di Like a Rolling Stone, bisogna includere anche i nomi di Frank Zappa, Paul McCartney e, soprattutto, di Bruce Springsteen, il quale dichiarò pubblicamente:[14]
The first time I heard Bob Dylan, I was in the car with my mother listening to WMCA, and on came that snare shot that sounded like somebody’d kicked open the door to your mind. Many other recordings have opened with the same formal device, a single drum beat – “From a Buick 6,” on Highway 61 Revisited, the album “Like a Rolling Stone” leads off, is one – but on no other record does the sound, or the act, so call attention to itself, as an absolute announcement that something new has begun (Springsteen 1989 in Marcus 2005: 94).
Fin dalla conferenza stampa del 3 dicembre 1965 (trasmessa su KQED, San Francisco), Dylan si dimostra perfettamente consapevole delle potenzialità nascoste nel suo (allora nuovo) brano:
Q: In a lot of your songs you are hard on people –in “Like A Rolling Stone” you’re hard on the girls and in “Positively 4th Street” you’re hard on a friend. Do you do this because you want to change their lives, or do you want to point out to them the error of their ways?
A: I want to needle them (in Jarosinski 2006: 236).
L’autore non ha dubbi: la canzone, letteralmente, deve “punzecchiare” tanto Miss Lonely quanto i singoli ascoltatori, se vogliamo vedere in quel them un’altra implicita provocazione. In un certo senso, come ricorda ironicamente David Yaffe, il vero problema di Miss Lonely è che incarna le contraddizioni e le ipocrisie del modello ideale di “fan dylaniana”:
Miss Lonely graduated from “the finest school all right,” but no one ever taught her how to “live out on the street.” Like many a white college student in 1965, she might have fetishized an old bluesman like Waters—she may have listened to him at Newport or on a record in her dorm—but if she tried to live like him, it would have been a temporary bit of slumming. For Dylan, authenticity was not a fetish. Yet what seems to put her truly beneath contempt, what makes her most worthy of his scorn, is not that she ignored all those warnings that this doll was bound to fall, but that she is a Bob Dylan fan (Yaffe 2011: 72).
Tutte queste testimonianze e suggestioni non sono solo il prodotto intellettuale (o talvolta pseudo-intellettuale) di un’arte massificata e facilmente falsificabile come quella della popular song, ma rappresentano soprattutto il segno tangibile della personalità di Dylan in quanto “autore empirico” del suo testo poetico-musicale. Tale espressione è stata usata da Paul Zumthor per distinguere l’autore effettivo di un’opera destinata all’esecuzione pubblica dal performer che si appropria di quell’opera stessa per poterla manipolare a suo piacimento:
Sono questi […] che io definisco […] col termine di interpreti: prendo in considerazione l’unico loro tratto a mio avviso pertinente, il fatto cioè di essere portatori della voce poetica. […] L’interprete (fosse anche un semplice lettore pubblico) è una presenza. È davanti a un pubblico concreto, il «locutore concreto» di cui parlano gli studiosi di pragmatica oggi; è l’«autore empirico» di un testo il cui autore, nell’istante presente, importa poco, perché la lettera di quel testo non è più solo lettera, è il gioco scenico di un individuo particolare, ineguagliabile (Zumthor 1990: 75; cors.d.cur.).
Nel caso specifico di Dylan (e di tutti i singer-songwriters, cantautori e chansonniers), la funzione “empirica” dell’autore si manifesta nella misura in cui l’autore “reale” di un dato testo smette di essere tale per “riscrivere” la stessa opera attraverso la propria voce. Il punto è che, quando i due tipi di autori coesistono all’interno di una stessa personalità artistica, non è detto che “vadano d’accordo”: l’autore-performer, in altre parole, può mettere in discussione gli originali equilibri formali di una canzone al punto tale da contraddire le intenzioni espressive che l’autore-compositore aveva manifestato durante il processo creativo. Tale divisione, tuttavia, nel mondo della popular music è percepita soprattutto dal pubblico che, per così dire, associa l’identità del testo a quella che nella parte filologica di questo lavoro è stata definita PIC, ossia “prima incisione conosciuta”.
Dal punto di vista dei cantautori, invece, simili trasformazioni non solo possono essere considerate perfettamente “naturali”, ma presuppongono anche una dichiarazione di “libertà” rispetto alle logiche costrittive della produzione artistica di massa:
Il problema non è di come tornare alla natura, è cioè prima dell’industria ma […] in quali circostanze il rapporto dell’uomo al ciclo produttivo riducesse l’uomo al sistema, e come invece occoresse elaborare una nuova immagine di uomo in rapporto al sistema di condizionamenti; un uomo non liberato dalla macchina ma libero in rapporto alla macchina (Eco 1964: 11).
In riferimento alla storia ricezionale e performativa di Like a Rolling Stone, l’“autore empirico” ha avuto la possibilità di intervenire in modo radicale sulla PIC registrata il 16 giugno 1965 soprattutto in funzione del paradosso tra “accusa” e “liberazione”. Per usare una felice definizione di Neil Corcoran, la canzone “opens, in the most traditional imaginable way, ‘Once Upon a Time’, only to tell a tale of schadenfreude so venomous, but also so exultant, as almost to create an entirely new emotion (Corcoran 2003 in Corcoran 2003: 161). Facendo riferimento alla “semiotica delle passioni” di Greimas e Fontanille e al concetto di “diaforia” (coesistenza simultanea di istanze euforiche e disforiche), potremmo dire che, da un punto di vista emotivo, Like a Rolling Stone è un’opera caratterizzata da un evidente orientamento diaforico: i sentimenti di rabbia, disprezzo, risentimento e vendetta sono cioè in costante correlazione dialettica con quelli di liberazione, emancipazione, riscatto, furore. Se, in tal senso, la studio version è fondata su un raffinato (e dunque subdolo) equilibrio tra queste dimensioni sentimentali, molte esecuzioni storiche della canzone presuppongono l’intenzione del performer di attribuire maggiore rilevanza alle emozioni euforiche o a quelle disforiche:[15]
During live performances of “Like a Rolling Stone,” the chorus tends to elicit two types of response: some members of the audience sing the words and melody, while others cheer in response to the line “How does it feel?” Listening to different performances of “Like a Rolling Stone,” it is clear just how the sentiment of the song—the feel—changes according to the performance. Directed at “you,” the song can sound either like a withering put-down, a sympathetic statement of solidarity, or a melancholic lament of regret. In concert, the phrase “How does it feel?” is no longer addressed to a character embedded in a lyrical narrative. Instead, it is transformed, becoming “how does it feel?” in the here and now of the concert. The refrain becomes a multi-vocal celebration of how it feels to be part of the moment and the history of Dylan singing this song (Negus 2007: 79).
L’analisi di Negus, in parte come quella di Scobie citata all’inizio del paragrafo, mette in evidenza la capacità della canzone di significare innanzitutto “se stessa”, “liberandosi” così tanto dal modello vocale incluso nella PIC quanto dall’autore “reale” che ne aveva controllato gli equilibri stilistici. Il ruolo di Dylan come “autore empirico”, per tale ragione, coincide con quello di un “interprete” inteso sia nel senso performativo del termine, sia nel senso accademico-letterale: al pari degli innumerevoli critici che si sono occupati di lui, Dylan diventa quindi un “ermeneuta di se stesso”, consapevole in fondo che tutte le letture “tridimensionali” sono valide ma che soltanto la sua, condotta con il solo mezzo della voce, sarà davvero storicamente rilevante:
Q: […] when Rolling Stone did a list of the 100 best songs ever written, Like A Rolling Stone was way up there. You responded to a questionnaire of theirs where you talked about the song. Is it fair to say that you would consider that one of the best songs, if not the best song, you’ve ever written?
BD: Oh that’s, you know, that’s not… to me it’s not any better or any worse than, you know, any of the other songs I’ve written in that period. It just happened to be one of the one’s that was on the Hit Parade and it’s managed to survive because of that.
EM: But you don’t have any particular affection for that song beyond the others?
BD: Oh yeah, to me it’s alive, you know. Look, you know, Frank Sinatra might have a card of something in the 40s with a different kind of band that he’s singing the same song with today, you know, but it’s a song that holds up. So that’s an holds up for me. Okay, oh you know holding up means just discovering new things in it and every time is performed. So you can’t be a singer and sing some kind of song that’s not gonna be new you for you every time you perform it (Mintz e1991).
Dal 1965 fino al 2016, le 2011 esecuzioni di Like a Rolling Stone contate sul sito ufficiale dell’artista rappresentano i “capitoli” di un’interpretazione ininterrotta, “logica” da una prospettiva semiotico-sentimentale ma spesso contraddittoria dal punto di vista “filologico” della ragione. Il coronamento di questo percorso durato oltre mezzo secolo è rappresentato dal brano I believe in you (1979, incluso in Slow Train Coming), in cui Dylan “riscrive” idealmente Like a Rolling Stone:
5
10
|
They ask me how I feel And if my love is real And how I know I’ll make it through And they, they look at me and frown They’d like to drive me from this town They don’t want me around ’Cause I believe in you They show me to the door |
Qualunque sia l’orientamento diaforico della performance, Dylan ha fiducia nel fatto che ci sarà sempre qualcuno pronto ad ascoltarlo, per “dialogare” con lui usando la lingua delle emozioni. Dal disprezzo verso chi si rifiuta di “sentire” e dalla lotta eterna contro il nemico interiore, Like a Rolling Stone è ora trasformata dalla voce in un testo poetico-musicale del tutto nuovo, che intende celebrare tanto il rapporto dell’artista con il brano originale quanto la sua personale relazione con il pubblico: due “vere” storie d’amore cantate nella stessa canzone.
____________________
Note.
[1] Valgano, a tal proposito, le seguenti considerazioni di Greil Marcus: “The record stayed the same, which is to say that it remained unstable, that it was never the same. On stage in the years to come “Like a Rolling Stone” was all too often the same: a warhorse, trotted out one more time to circle the track. It could seem longer each time you heard it played, as if the struggle had changed from getting to the song to getting out of it” (Marcus 2005: 186).
[2] TCE è disponibile in tre formati diversi, ognuno dei quali propone una diversa distribuzione degli outtakes di Like a Rolling Stone. In The Best of The Cutting Edge (TCEB, 2 CD), sono presenti solo 2 incisioni, entrambe collocate nel primo disco e corrispondenti a una versione ridotta della take 5 “Rehearsal” del 15 giugno (traccia 14) e alla take 11 “Alternate Take” del 16 giugno (traccia 15). In The Cutting Edge Deluxe Edition (TCED, 6 CD), i venti outtakes sono tutti presenti e costituiscono l’intero contenuto del terzo CD: le 5 takes della prima sessione corrispondono qui alle tracce 1-3: traccia 1 (takes 1-3 “Rehearsal”), traccia 2 (take 4 “Rehearsal” ) e traccia 3 (take 5 “Rehearsal”); le 15 takes della seconda sessione compaiono invece come: traccia 4 (take senza numero chiamata “Reharsal Remake”), traccia 5 (take 1 “Remake, Rehearsal”), traccia 6 (take 2-3 “Remakes, Rehearsal”), traccia 7 (take 4 “Remake”), traccia 8 (take 5 “Remake, Rehearsal”), traccia 9 (take 6 “Remake, False Start”), traccia 10 (take 8 “Remake, Breakdown”), traccia 11 (takes 9-10 “Remake, False Starts”), traccia 12 (take 11 “Alternate Take”), traccia 13 (take 12 “Remake, False Start”), traccia 14 (take 13 “Remake, Breakdown”), traccia 15 (take 14 “Remake, False Start”), traccia 16 (take 15 “Remake, Breakdown”). In The Cutting Edge Collector’s Edition (TCEC, 18 CD) gli outtakes sono divisi secondo gli stessi criteri, ma le cinque takes della prima sessione sono inserite, per garantire una maggiore precisione storica, come tracce conclusive del terzo disco; le takes del 16 giugno, per lo stesso motivo, occupano invece l’intero disco successivo. Occorre precisare che la totalità delle incisioni pubblicate in The Cutting Edge non corrisponde, in realtà, all’intero corpus sonoro registrato nel corso delle due sedute: se, da una parte, la raccolta consente l’ascolto integrale delle parti musicali contenute in ogni take, dall’altra non offre un’edizione completa delle conversazioni di Dylan con i suoi musicisti. Di queste ultime esiste comunque una trascrizione di Greil Marcus (Marcus 2005: 203-225) il quale, durante la preparazione del suo libro su Like a Rolling Stone, ebbe la possibilità di accedere alle incisioni originali. Bisogna inoltre aggiungere che le 5 incisioni del 15 giugno, anche se nel tape identification data compaiono numerate come takes 1, 2, 3, 4, 5 costituiscono in effetti la parte finale della sessione (takes 18-22). Le altre 15 incisioni rappresentano quasi per intero la seduta del giorno successivo, ma la loro numerazione ufficiale (takes 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15) non include né un “Rehearsal Remake” precedente alla take 1, né una ipotetica take 7, la cui assenza tanto in TCE quanto nella trascrizione di Marcus rende verosimile credere che non sia mai stata registrata. È utile ricordare, infine, che la take 4 “Rehearsal” del 15 giugno era già stata pubblicata in The Bootleg Series, Vol. 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991 (3 CD, Columbia, 1991, traccia 9, disco 2).
[3] Sia D che E sono stati venduti all’asta (il 28 settembre e il 2 dicembre 2017) per 125.000 $. Le riproduzioni fotografiche di entrambi i manoscritti sono consultabili ai link: https://natedsanders.com/Bob_Dylan_ Signed__Handwritten_Lyrics_to___Like_a_R-LOT47103.aspx#BiddingTag (ultimo accesso: 10/04/ 2018); http://www.gottahaverock androll.com/bob_dylan_handwritten___signed__like_a_rolling sto-lot23417.aspx (ultimo accesso: 10/04/2018).
[4] C riporta, accanto alla firma dell’autore, la dicitura “Oct. 1, 1965”. Sappiamo che in quella data Dylan tenne un concerto alla Carnegie Hall di New York e inserì Like a Rolling Stone nella lista dei brani da suonare (come risulta dalla scaletta pubblicata sul sito ufficiale dell’artista). C fu redatto, prima o dopo lo spettacolo, su richiesta di Peter MacKenzie, figlio della coppia (Eve e Mac MacKenzie) che ospitò Dylan subito dopo il suo arrivo a New York nel gennaio 1961 (Scaduto 1971: 74; Shelton 1986: 92; Sounes 2001- e2011; Heylin 1991-2011: 60-61). Successivamente, l’autografo fu venduto alla Morgan Library di New York, dove è attualmente conservato e dove, insieme ad altri memorabilia e materiali d’autore, è stato esposto in occasione della mostra Bob Dylan’s American Journey, 1956-1966 (29 settembre 2006 – 6 gennaio 2007). L’anno precedente, Robert Santelli aveva reso pubblica gran parte di questa collezione, compreso un inserto autonomo contenente la riproduzione in scala di C, nel volume ufficiale The Bob Dylan Scrapbook: an American Journey, 1956-1966 (Santelli 2005).
[5] La natura dattiloscritta di Alternatives to College è dimostrata da una scena del documentario Dont Look Back (D.A. Pennebaker, 1967) che mostra Dylan nell’atto di comporre questa prosa seduto alla macchina da scrivere (36:07). La data del 3 maggio è riportata da Clinton Heylin (Heylin 1995: 37), mentre Tim Dunn, pur citando lo stesso Heylin, fa riferimento al giorno successivo (Dunn 2008: 26). La validità di entrambe le proposte come potenziali termini post quem di T e R è, in ogni caso, confermata da un altro dato deducibile dal confronto tra le due ricostruzioni e il documentario. Poco prima della sequenza che cattura in cinema vérité la stesura della prosa, infatti, Dylan è ripreso mentre suona e canta insieme a Joan Baez e Bob Neuwirth una serie di canzoni tra cui Lost Highway, brano scritto da Leon Payne nel 1948 e inciso da Hank Williams nel 1949, nonché uno dei modelli più importanti di Like a Rolling Stone (33:05-34:37). Nel corso di questa performance privata, l’artista non presta attenzione ai lyrics, di cui intona soltanto la terza e la quarta strofa: l’esecuzione sta allora per concludersi, se non fosse che Neuwirth fa esplicitamente notare a Dylan l’esistenza di un’altra strofa (in realtà la prima) che inizia proprio con il verso “I’m a rolling stone, all alone and lost”. Data l’evidenza del rimando e l’entità della svista, è molto improbabile che a questa altezza temporale Dylan avesse già redatto T e R.
[6] The Bob Dylan Archive, acquistato nel marzo 2016 dalla George Kaiser Family Foundation e dalla University of Tulsa (Oklahoma), è ospitato presso lo Helmerich Center for American Research (appartenente all’università ma parte integrante dell’adiacente Gilcrease Museum). Come risulta dal finding aid scaricabile dal sito dell’archivio, il dattiloscritto di Like a Rolling Stone (Subseries I, [2]: 1965, Box 34, Folder 05) è conservato in una cartella che raccoglie anche gli autografi di tutte le altre canzoni di Highway 61 Revisited. Nonostante la consultazione dei materiali sia concessa soltanto a studiosi autorizzati, un facsimile incompleto di T è leggibile in Greene 2017, uno dei tre articoli di Rolling Stone dedicati all’archivio (Greene 2017: https://www.rollingstone.com/music/features/ bob-dylans-tulsa-archive-an-exclusive-inside-look-w489787; ultimo accesso: 10/04/2018).
[7] R fu inizialmente acquistato da un fan californiano di Dylan e poi venduto da quest’ultimo sul sito di aste Sotheby’s per 2.045.000 $ (19 giugno 2014), aggiudicandosi il titolo di manoscritto più costoso della storia. Una scansione ad alta definizione del testimone è presente al link: http://www.sothebys.com /en/auctions/ecatalogue/2014/rock-roll-history-presley-to-punkn09160/lot.146.h tml (ultimo accesso: 10/04/ 2018). L’indicazione di luogo contenuta in R, purtroppo, non è di grande aiuto, poiché nessun dato a nostra disposizione consente di ricostruire un viaggio di Dylan a Washington D.C. nelle poche settimane comprese tra la fine del tour inglese (10 maggio) e la prima seduta di registrazione (15 giugno). Clinton Heylin (Heylin 2009: 240; 2011:193), inoltre, ci informa che intorno al 10 maggio l’artista si stava riprendendo da un’intossicazione (alimentare o da droghe) contratta, all’indomani dell’ultimo concerto londinese, in occasione di una festa parigina oppure durante un viaggio in Portogallo con la compagna Sara Lowndes: costretto a restare a letto per oltre una settimana e provato anche psicologicamente dalla permanenza in Inghilterra, è dunque improbabile che Dylan avesse dormito al Roger Smith Hotel prima di rientrare a Woodstock. Pertanto, o il cantante entrò in possesso di questi fogli grazie a qualcuno che aveva già pernottato all’albergo in questione, o egli stesso li conservava da tempo a casa sua. A sostegno della prima ipotesi, si può citare un’altra scena di Dont Look Back (36:11 – 36:38) in cui Dylan mostra a un amico le bozze di alcune canzoni e chiede della carta su cui trascriverle (il manoscritto non è leggibile ma si distingue una mappa stilizzata della Gran Bretagna assente in R). A vantaggio della seconda teoria, potremmo aggiungere che il Roger Smith (prima di essere demolito nel 1975) sorgeva a breve distanza dal Lincoln Memorial, dove Dylan e Baez suonarono due anni prima in occasione della Marcia su Washington (28 agosto 1963). Questa ipotesi, tuttavia, è in parte confutata da un indizio scritto sulla quarta pagina di R (in alto a destra), che inviterebbe a retrodatare ulteriormente il reperimento dei fogli: la dicitura “Lomax 161 West 4th / Ric-Buattle St<…>”, infatti, rimanda sia all’appartamento newyorkese dove Dylan e la compagna Suze Rotolo vissero dall’inverno del 1962 fino alla fine della loro relazione nell’estate del 1963 (anche se l’artista non traslocò fino all’autunno del 1964; Shelton 1986: 127-158; Dylan 2004: 267-268), sia, indirettamente, a Carla Rotolo (sorella di Suze), che a quel tempo lavorava come assistente del noto etnomusicologo e produttore discografico Alan Lomax (1915-2002). Dato che la finalità più verosimile dell’appunto è tenere a mente l’indirizzo in questione, è impossibile che la sua redazione sia coeva alla stesura dei lyrics contenuti in R.
[8] Subito dopo aver parlato del chorus, d’altra parte, Dylan aggiunge una considerazione sulle strofe che, anche in questo caso, non si riferisce a questioni relative al testo ma alla linea melodica adottata in corrispondenza dei primi quattro versi di ogni gruppo: la scelta di fare seguire, a due battute caratterizzate da alternanze di Do e La, una battuta unicamente composta da tre Mi. Sul piano sillabico-accentuale, questo fenomeno comporta l’adozione, già discussa in precedenza, di sintagmi rimanti alla fine del secondo e quarto verso.
[9] “Why does everybody say of something like “Like a Rolling Stone,” That Dylan… is that all he can do, put down people?’ I’ve never put down anybody in a song, man. It’s their idea. […] When I wrote ‘all you got to do is find a school and learn to get juiced in it,’ I wasn’t making this song about school. That’s their idea. Their definition of school is much different than mine. My language is different than theirs. I mean REALLY TOTALLY DIFFERENT! The finest school, I mean, might just be out in the swamps. ‘School’ here can be anything. This song is definitely not about school” (Shelton 1986: 279). Il caso 4 avrebbe favorito questo fraintendimento e perciò Dylan lo scarta.
[10] Il parallelismo tra compromise e deal motiva anche la cassatura della variante “sympathise” (10c), proposta in R sull’estremità destra della stessa riga in cui compare “compromise”. A differenza dalla maggior parte delle espunzioni finora analizzate, la cancellazione di 10c non deriva dall’esigenza del narratore di evitare un’eccessiva identificazione con la donna, ma dal rischio opposto: fedele alla logica dell’apparenza e indifferente all’effettiva immoralità dei suoi stessi comportamenti, Miss Lonely non avrebbe mai ammesso apertamente la propria incapacità di empatia (o alessitimia). In un contesto finalizzato a riprodurre in forma indiretta le parole della protagonista, quindi, l’intonazione di “sympathise” avrebbe comportato una falsificazione stilistica a cui l’autore, accortamente, sceglie di rinunciare.
[11] La variante alternativa < 4, in tal senso, contiene il verso “Never believed him when he told you he had love for sale”, in cui l’ambivalenza di to sell è originalmente espressa attraverso l’accostamento ironico tra l’esplicitazione di un sentimento e i tradizionali meccanismi di marketing. La proposta, tuttavia, viene scartata sia a causa della trascrizione indiretta della voce del barbone (il cui silenzio, come sappiamo, ha un’importanza centrale) sia perché allude all’inverosimile eventualità che la relazione tra il tramp e la donna vada intesa nell’ottica di un amore non corrisposto.
[12] “I wouldn’t advise anybody to use drugs – certainly not the hard drugs. Drugs are medicine. But opium and hash and pot – now, those things aren’t drugs. They just bend your mind a little. I think everybody’s mind should be bent once in a while. Not by LSD, though. LSD is a medicine – a different kind of medicine. It makes you aware of the universe so to speak. You realize how foolish objects are. But LSD is not for groovy people. It’s for mad, hateful people who want revenge. It’s for people who usually have heart attacks. They ought to use it at the Geneva convention” (Hentoff 1966 in Jarosinski 2006: 319).
[13] Le lezioni di “to see what others see” (13c) sono proposte in correlazione alla variante “to shake the money tree” (11c), dal momento che entrambe le lezioni rimano e possono metricamente essere collocate nel tratto conclusivo dello spazio verbale di a (pur non essendo cretici ma semplici giambi). Mentre la sostituzione di “get your kicks for you” con “to shake the money tree” non pone problemi (dato che la forma to shake può essere intesa come una proposizione finale retta da “come down”), l’intonazione di “to see what others see” al posto “get your kicks for you” renderebbe del tutto insensato il verso 33. Dylan infatti concorda sintatticamente 13c con il segmento “it ain’t no good”, che verrebbe così posticipato di un verso rispetto alla sua collocazione definitiva, implicando la cassatura delle lezioni intermedie “You shouldn’t let other people”. Tale ipotesi è dimostrata soprattutto da 12c, che costituisce per l’appunto una nuova riscrittura di “it ain’t no good” aggiunta accanto all’occorrenza del testo principale. L’autore cassa quindi entrambe le proposte prima di elaborare un nuovo contesto adatto al senso e alla sintassi di 13c.
[14] Frank Zappa: “When I heard ‘Like a Rolling Stone,’ I wanted to quit the music business, because I felt: ‘If this wins and it does what it’s supposed to do, I don’t need to do anything else’ … But it didn’t do anything. It sold, but nobody responded to it the way that they should have” (Marcus 2005: 146). Paul McCartney: “It seemed to go on forever. It was just beautiful… He showed all of us that it was possible to go a little further” (Heylin 1991-2011: 205).
[15] Il primo studio critico inteso a confrontarsi con questo tipo di problema è stato il fondamentale contributo di Betsy Bowden intitolato “Performed Literature: Words and Music by Bob Dylan” (pubblicato nel 1982 ma concluso già nel 1978) che si riproponeva, tra le altre cose, di valorizzare il concetto di “flexibility in performance” in rapporto all’analisi critica dei popular lyrics, nella convinzione che “These lyrics […] are not poems. They are song: words and music combined for oral performance” (Bowden 2001:1).
____________________
Bibliografia.
- Testi di Bob Dylan
Dylan B., 1965, Like a Rolling Stone, Warner Bros (sheet music).
Dylan B., 1965, liner notes to “Highway 61 Revisited”(CBS Records).
Dylan B., 1971, Tarantula, New York: Macmillan.
Dylan B., 1972a, Blues, Ballate e canzoni, a cura di Stefano Rizzo e Fernanda Pivano, Roma: Newton Compton.
Dylan B., 1972b, Canzoni d’amore e di protesta, a cura di Stefano Rizzo e Fernanda Pivano, Roma: Newton Compton.
Dylan B., 1973, Writings and Drawings, New York: Knopf.
Dylan B., 1978, Folk, canzoni e poesie, a cura di Alessandro Roffeni, Roma: Newton Compton, 1978.
Dylan B., 1985, Lyrics 1962-1985, New York: Knopf; tr. it. a cura di Tito Schipa Jr, 1986-2005, Mr Tambourine. Testi e poesie (1962-1985), Milano: Arcana.
Dylan B., 1988, Rolling Stone Feature (8 settembre 1988), in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, p. 1066.
Dylan B., 1995, Like a Rolling Stone, Special Rider Music (sheet music).
Dylan B., 2002, Lyrics 1962-2001, New York: Simon & Schuster; tr. it. a cura di Alessandro Carrera, 2006, Lyrics 1962-2001, Milano: Feltrinelli.
Dylan B., 2004, Chronicles. Volume One, New York: Simon & Schuster; tr. it. a cura di Alessandro Carrera, Chronicles. Volume 1, Milano: Feltrinelli, 2005.
Dylan B., 2016, Lyrics 1961-2012, New York: Simon & Schuster; tr. it. a cura di Alessandro Carrera, 2016, Lyrics 1961-1968; Lyrics 1969-1982; Lyrics 1983-2012, Milano: Feltrinelli.
- Interviste
Aa.vv., 1965, 3 December 1965 San Francisco Press Conference, San Francisco, California, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 234-246.
Bronstein M., 1966, Martin Bronstein Interview, 20 Febbraio 1966, Montreal, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 299-201.
Cohen S., 1985, Interview with Scott Cohen, Settembre 1985, California, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 870-873.
Cott J., 1978, Jonathan Cott Interview, 17 settembre 1978, Portland, New Haven, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp- 668-678.
Cott J. (ed.), 2007, Bob Dylan: The Essential Interviews, New York: Wenner Books.
De Yong J. – Roche P., 1965, Jenny De Yong and Peter Roche Interview, Sheffield, England, Santa Monica, California, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 679-687.
Hentoff N., 1966, Nat Hentoff Interview, “The Playboy Interview”, marzo 1966, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 310-322.
Hilburn R., 2004, Robert Hilburn Interview, 4 dicembre 2004 in Cott J. (ed.), 2007, Bob Dylan: The Essential Interviews, New York: Wenner Books, pp. 214-250. pp. 457-468.
Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, al link: http://dvdylanjim50reviews.yolasite.com/ resources/Reference%20(1).pdf (ultimo accesso: 20/06/2018).
Mintz E., e1991, Interview with Elliot Mintz, 1991 (private recording), al link: https://www.youtube. com/watch?v=_VpfaohWXKM
Robbins P.J., 1965, Paul J Robbins Interview, 26 marzo 1965, Santa Monica, California, in Jarosinski A., 2006, Every Mind Polluting Word. Assorted Bob Dylan utterances, pubblicazione indipendente, pp. 113-118.
Rosenbaum R., 1978, Ron Rosembaum Interview, “The Playboy Interview”, marzo 1978, in Cott J. (ed.), 2007, Bob Dylan: The Essential Interviews, New York: Wenner Books, pp. 214-250.
Siegel J., 1966, Jules Siegel Interview, marzo 1966, Hollywood Hills, Los Angeles, California, “Well, What We Have Here?”, in McGregor C. (ed.), 1972, Bob Dylan – The Early Years. A Retrospective, New York: Da Capo Press, pp. 146-160.
- Contributi critici
Bell A., e2014, Once Upon a Time. The Lives of Bob Dylan, New York : Pegasus Books, 2014.
Boucher D., Browning G. (eds.), 2004, The Political Art of Bob Dylan, New York: Palgrave MacMillan.
Boucher D., 2004, “Images and Distorted Facts: Politics, Poetry and Protest in the Songs of Bob Dylan”, in Boucher D., Browning G. (eds.), 2004, The Political Art of Bob Dylan, New York: Palgrave MacMillan.
Bowden B., 1982-2001, Performed Literature. Word and Music by Bob Dylan (1978), Boston: University Press of America.
Brake E., e2006, ““To Live Outside the Law, You Must Be Honest”: Freedom in Dylan’s Lyrics”, in Vernezze P., Porter C. (eds.), e2006, Bob Dylan and Philosophy. It’s Alright, Ma (I’m Only Thinking), Chicago: Open Court.
Bromell N., 1995, “Both Sides of Bob Dylan: Public Memory, the Sixties, and the Politics of Meaning”, Tikkun (10: 4, July-August 1995), pp. 13-19.
Brown D., e2014, Bob Dylan – American Troubadour, 2014.
Carey J., 1995, “The Ideology of Autonomy in Popular Lyrics – A Content Analysis”, Psychiatry (32: 2, 1969), pp. 150-164.
Carpenter D., 2014, Long Ways From Home: The Rhetoric and Performance of the American Folk Outlaw, Dissertation.
Carpenter D., 2017, Lead Belly, Woody Guthrie, Bob Dylan, and American Folk Outlaw Performance, New York: Routledge.
Carrera A., 2001-2011, La voce di Bob Dylan, Milano: Feltrinelli.
Carrera A., 2006-2016, note a Dylan B., 2016, Lyrics 1961-2012, Milano: Feltrinelli.
Carrera A., 2008, Parole nel vento. I migliori saggi critici su Bob Dylan, Novara: Interlinea.
Cohen L., 2010, The Lee Strasberg Notes, New York: Routledge.
Corcoran N., 2003, Do You, Mr Jones? Bob Dylan with the Poets and Professors, London: Pimlico.
Corcoran N., 2003, “Death’s Honesty” in Corcoran N., 2003, Do You, Mr Jones? Bob Dylan with the Poets and Professors, London: Pimlico, pp. 143-174.
Day A., 1988, Jokerman. Reading the Lyrics of Bob Dylan, New York: Basil Blackwell.
Day A., 2010, “Satan Whispers: Bob Dylan and Paradise Lost”, The Cambridge Quarterly (39: 3, 2010), pp. 260-280.
Denisoff S.R., Peterson R.A. (eds.), 1972, The Sounds of Social Change, Chicago: Rand McNally.
Dunn T., 2008, The Bob Dylan Copyright Files, 1962-2007, Bloomington: AuthorHouse.
Eco U., 1964, Apocalittici e integrati: comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano: Bompiani.
Epstein M., e2011, The Ballad of Bob Dylan. A Portrait, New York: Harper Collins.
Fabbri F., 1996, “Don’t Bore Us – Get To The Chorus: serve la “noia” alle canzoni?”, Relazione presentata al Quinto Convegno Internazionale sulla Significazione Musicale, Università di Bologna, 14-16 Novembre 1996; pubblicata in Stefani G., Tarasti E., Marconi L. (a cura di), La significazione musicale tra Retorica e Pragmatica, Bologna: Clueb, 1998; poi in Fabbri F., 2008, Il suono in cui viviamo. Saggi sulla popular music, Milano: Il Saggiatore, pp. 197-208.
Fabbri F., 2001, “La canzone”, in Enciclopedia della Musica, 5 Vols, Torino: Einaudi, Vol. I (Il Novecento, 2001), pp. 521-576.
Fabbri F., 2008, Il suono in cui viviamo. Saggi sulla popular music, Milano: Il Saggiatore.
Farris B. G. – McBain D.J., 1972, Lyric Voices. Approaches to the poetry of contemporary song, New York: John Wiley and Sons.
Ford M., 2003, Trust Yourself: Emerson and Dylan, in Corcoran N., 2003, Do You, Mr Jones? Bob Dylan with the Poets and Professors, London: Pimlico, pp. 127-142.
Frith S., 1988-1990, “Why do songs have words?”, in Music for pleasure, Cambridge: Polity Press; tr. it., “Perché le canzoni hanno un testo?, in Il rock è finito. Miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop, pp. 117-142.
Gamble A., 2004, “The Drifter’s Escape”, in Boucher D., Browning G. (eds.), The Political Art of Bob Dylan, New York: Palgrave MacMillan, 2004, pp. 12-34.
Gleason R., 1966, “The Children’s Crusade”, Ramparts (4: 11, March 1966), pp. 27-34.
Gleason R., 1967, “Like a Rolling Stone”, The American Scholar (36: 4, Autumn 1967), pp. 555-563.
Gleason R., 1969, “The Greater Sound”, The Drama Review (13: 4, Politics and Performance, pp. 160-166.
Goldberg S., 1970, “Bob Dylan and the Poetry of Salvation”, Saturday Review; then in McGregor C., 1972, Bob Dylan – The Early Years. A Retrospective, New York: Da Capo Press, pp. 364-377.
Goldstein R., 1969, The Poetry of Rock, New York, Bantam Books.
Gray M., 1972-2000, Song and Dance Man: The Art of Bob Dylan, London: Hart-Davis, MacGibbon, New York, Bantam Books; Song and Dance Man III: The Art of Bob Dylan, New York: Bayou Press.
Gray M., 2006, “Like a Rolling Stone (1965)”, in The Bob Dylan Encyclopedia, London: Continuum.
Greene A., 2017, Exclusive: A Look Inside Bob Dylan’s Secret Archives, al link: https://www.rollingstone.com/music/features/bob-dylans-tulsa-archive-an-exclusiv e-inside-look-w489787.
Griffiths D., 2003, “From lyric to anti-lyric: analyzing the words in pop song”, in Moore A.F. (ed.), 2003, Song Means: Analysing and Interpreting Recorded Popular Song, Cambridge: Cambridge University Press, 39-59.
Hagstrom Miller K., 2011, “How to write About Bob Dylan: A Step-by-Step Guide”, Journal of Popular Music Studies (23: 3, 2011), pp. 362-370.
Harker D., 1980, One for the Money: Politics and Popular Song, London: Hutchinson.
Herdman J., 1981, “How Does It Feel?”, in Voice Without Restraint: A Study of Bob Dylan’s Lyrics and Their Background, New York: Delilah Books, 1981, pp. 14, 20-22, 127, 144.
Heylin C., 1995, Bob Dylan. The Recording Sessions [1960-1994], New York: Martin’s Press.
Heylin C., 1991-2011, Bob Dylan Behind the Shades: A Biography, New York: Summit Books, 1991; Behind the Shades: A Biography – Revisited, New York: Morrow, 2011.
Heylin C., 2009, “Like a Rolling Stone”, in Revolution in the Air. The Songs of Bob Dylan 1957-1973, Chicago: Chicago Review Press, 2009, pp. 237-244.
Heylin C., e2014: Catalogue Note, al link: http://www.sothebys.com/en/ auctions/ecata logue/2014/ rock-roll-history-presley-to-punkn09160/lot.146.html
Hoggart R., 1957, The Uses of Literacy – Aspects of Working-Class Life, with Special Reference to Publications and Entertainment, London: Chatto and Windus.
Jackson A. G., 2015, 1965: The Most Revolutionary Year in Music, New York: St. Martin’s Press.
Klier R., 1999, “Walt Whitman, Woody Guthrie, Bob Dylan and the Anxiety of Influence”, The Midwest Quarterly (40: 3, 1999).
La Via S., 2011, ““La canzone d’autore”: dal concetto alla serie di studi”, in Ivaldi F., Cosi C., Fabrizio De André. Cantastorie fra parole e musica, Roma: Carocci, pp. 11-22.
Landau J., 1968, “John Wesley Harding”, in McGregor C., 1972, Bob Dylan – The Early Years. A Retrospective, New York: Da Capo Press, pp. 364-377.
Lee E., 1970, “The Lyrics of Popular Song”, in Music of the People, London: Barrie and Jenkins, 1970, pp. 240-251.
Lloyd B., 2014, “The Form is the Message: Bob Dylan and the 1960s”, Rock Music Studies (1: 1, 2014), pp. 58-76.
Marcus G., 2005, Like a Rolling Stone. Bob Dylan at the Crossroads, New York: PublicAffairs; tr. it., Like a Rolling Stone. Bob Dylan, una canzone, l’America, Roma: Donzelli.
Marcus G., 2010, Bob Dylan. Writings 1968-2010, New York: PublicAffairs,; tr. it., 2011, Bob Dylan. Scritti 1968-2010, Bologna: Odoya.
Marqusee M., 2005-2010, Wicked Messenger, New York: Seven Stories Press; tr. it. Wicked Messenger. Bob Dylan e gli anni sessanta, Milano: Il Saggiatore.
McGregor C., 1972, Bob Dylan – The Early Years. A Retrospective, New York: Da Capo Press.
Meade M., 1972, “The Degradation of Women”, in Denisoff S.R., Peterson R.A. (eds.), The Sounds of Social Change, Chicago: Rand McNally, pp. 173-178.
Middleton R., 1990-1994, Studying Popular Music, Buckingham: Open University Press; tr. it., Studiare la popular music, Milano: Feltrinelli.
Mikics D., 2005, “Gnomic Dylan” (2005), tr. it., “Dylan poeta gnomico”, in Carrera A., 2008, Parole nel vento. I migliori saggi critici su Bob Dylan, Novara: Interlinea, pp. 167-169; poi come “Gnomic Dylan”, Literary Imagination (19: 1, March 2017), pp. 70-79.
Miller J., 1999, Flowers in the Dustbin: The Rise of Rock and Roll (1947-1977), New York: Fireside Books.
Mellers W., 1985, A Darker Shade of Pale: A Backdrop to Bob Dylan, New York: Oxford University Press.
Moore A.F. (ed.), 2003, Song Means: Analysing and Interpreting Recorded Popular Song, Cambridge: Cambridge University Press.
Negus K., 2012, “Narrative Time and the Popular Song”, Popular Music and Society (36: 4, 2012).
Nelson P., 1966, “Bob Dylan: Another View”, Sing Out! (February-March 1966), then in McGregor C., 1972, Bob Dylan – The Early Years. A Retrospective, New York: Da Capo Press, pp. 104-107:
Oppler F.B., 1900, Mother’s Goose Nursery Rhymes, London: G.M. Dent & Co.
Panofsky E., 1962, Il significato delle arti visive, Torino: Einaudi.
Pichaske D., 1972, Beowulf to the Beatles and Beyond, New York: Macmillan.
Pichaske D., 1981, The Poetry of Rock – The Golden Years, Peoria: Ellis Press, 1981.
Polizzotti M., e2006, “The Language that He Used”, in Highway 61 Revisited, London: Bloomsbury.
Ricks C., 2003, Dylan’s Visions of Sin, New York: HarperCollins.
Russi R., 2005, Letteratura e musica, Roma: Carocci.
Santelli R. (ed.), 2005, The Bob Dylan Scrapbook: an American Journey, 1956-1966 London: Simon & Schuster.
Scaduto A., 1971, Bob Dylan: An Intimate Biography, New York: Grossett & Dunlap.
Scobie S., 1991-2004, Alias Bob Dylan Revisited, Calgary: Red Deer Press.
Shank B., 2002, ““That Wild Mercury Sound”: Bob Dylan and the Illusion of American Culture”, boundary 2 (29: 1, Spring 2002), pp. 97-123.
Shelton R., 1986, No Direction Home: The Life and Music of Bob Dylan, New York: Morrow; No Direction Home: The Life and Music of Bob Dylan, London: Omnibus Press, 2011 (revised and updated edition edited by Elizabeth Thomson and Patrick Humphries).
Sounes H., 2001-e2011, Down the Highway. The Life of Bob Dylan, New York: Grove Press.
Thurschwell P., 2003, “‘A Different Baby Blue’”, in Corcoran N., 2003, Do You, Mr Jones? Bob Dylan with the Poets and Professors, London: Pimlico, pp. 253-274.
Tucker N., 1990, The Child and the Book. A Psychological and Literary Exploration, Cambridge: Cambridge University Press.
Unterberger R., 2002, Turn! Turn! Turn!: The 60s Folk-Rock Revolution, Milwaukee: Backbeat.
Vernezze P., Porter C. (eds.), e2006, Bob Dylan and Philosophy. It’s Alright, Ma (I’m Only Thinking), Chicago: Open Court.
Wilentz S., 2010, Bob Dylan in America, New York: Doubleday.
Williams P., 1979, Bob Dylan: What Happened?, Glen Ellen: Entwhistle Books.
Williams P., 1990, Bob Dylan Performing Artist. 1960-1973 – The Early Years, London: Omnibus Press.
Willis E., 1967, “The Sound of Bob Dylan”, Commentary (44: 5), pp. 71-78.
Wenner J., 2004, Letter to Greil Marcus, in Marcus G., 2005, Like a Rolling Stone. Bob Dylan at the Crossroads, New York: PublicAffairs, 2005; tr. it., Like a Rolling Stone. Bob Dylan, una canzone, l’America, Roma: Donzelli, pp. 88-89.
Yaffe D., 2011, Bob Dylan: Like a Complete Unknown, New Haven: Yale University Press.
Zumthor P., 1990, La lettera e la voce: sulla letteratura medievale, Bologna: Il Mulino.
ottobre 21, 2018 Musica, cinema, arte, Teoria e letteratura 0 Leggi tutto >