ELISA MASCARETTI – LE STREGHE DI ROALD DAHL: ATTENTI ALLA PERFEZIONE
[Elisa Mascaretti si è laureata in Lettere presso l’Università di Pisa con una tesi sull’opera di Roald Dahl, rivista alla luce delle categorie del soprannaturale letterario elaborate da Francesco Orlando. Ne offriamo di seguito un interessante estratto.]
In molti casi oggi la cosiddetta narrativa per l’infanzia si adegua alle convenzioni nascondendo ai più piccoli le verità del dolore, della violenza, della morte, oppure edulcorandole. Inoltre, questa è spesso considerata un genere i cui testi pongono meno dubbi interpretativi rispetto alle opere della letteratura per adulti. Certo, non mancano le eccezioni come Alice in Wonderland e, almeno in parte, Peter Pan, le quali, tuttavia, sono entrate a far parte del panorama dei classici, come se fossero riuscite a superare il loro modesto intento primario, cioè quello di essere semplici storie per bambini, per entrare nella schiera delle grandi opere. Proprio questa ambivalenza della critica nei confronti della letteratura per l’infanzia mi ha incuriosito e mi ha spinto ad approfondire questo argomento, usando come spunto di riflessione i testi di un autore di letteratura per bambini moderno e spesso controverso, Roald Dahl. Ho scelto di analizzare un testo in particolare, The Witches, tramite le categorie del soprannaturale letterario di Francesco Orlando e la sua teoria freudiana della letteratura. Questo testo è stato al centro di molti dibattiti legati alla presunta misoginia dell’autore (non esistono stregoni ma solo streghe), nonché al presunto spirito reazionario (o sovversivo) di Dahl.
Per portare avanti la mia analisi, sarà necessario per prima cosa andare a vedere le circostanze in cui nasce la letteratura per bambini. Diremo allora semplificando un po’ che contemporaneamente alla nascita della famiglia borghese nucleare e grazie al rinnovato interesse verso il ruolo educativo dello stato e dell’istituzione familiare avviene un grande cambiamento nella situazione del bambino nella società. Questa nuova attenzione per la condizione infantile, secondo Ariès, avrebbe portato alla nascita di una letteratura tutta dedicata alla nuova categoria di bambino. Lo studioso asserisce che, prima della “scoperta dell’infanzia”, giovani e adulti, fatta eccezione per gli aristocratici, fruivano della stessa letteratura composta da fiabe popolari, racconti religiosi e adattamenti dei classici. Successivamente, in prima istanza, avviene il passaggio da una gerarchia basata sulle classi a una basata sull’età e quella letteratura che era destinata al popolino viene relegata alla stanza dei bambini. Forme di lettura popolari e incentrate su temi romanzeschi e avventurosi diventano storielle adatte solo a intrattenere e spaventare i più giovani, mentre nasce e prende piede il romanzo moderno più introspettivo. In secondo luogo, a partire da pochi esempi nel XVII secolo e in maniera molto più consistente a partire dal XIX secolo, si verifica invece la nascita di testi appositamente scritti per i più piccoli.
La nascita della letteratura per l’infanzia dunque, secondo Ariès e coloro che appoggiano le sue teorie, è conseguente alla comparsa dell’idea di bambino ed è iscritta in un cambiamento di paradigma. Quest’ultimo comporta la nascita di un represso costituito dall’idea di bambino come essere anomalo che deve essere normalizzato, ecco perché diventano contenuto represso per l’adulto tutte quelle caratteristiche attribuite all’infanzia, irrazionalità, spontaneità e le altre che abbiamo elencato precedentemente.
Dunque, nel momento in cui le fiabe e la letteratura popolare passano ad essere un passatempo dedicato ai più piccoli, non solo è già nata una nuova idea di bambino ma è anche cambiata la società e con essa il bambino stesso. Il nuovo bambino vive in un ambiente più sicuro, è uno scolaro, è protetto dalle insidie del mondo esterno dallo scudo della famiglia borghese e della scuola. Il bambino borghese infatti non è più un “piccolo selvaggio” lasciato per la maggior parte del tempo incustodito, anche se questa immagine permane nella cultura adulta che vede il bambino come una sorta di essere irrazionale tutto guidato dai suoi istinti; esso è ormai una creatura “addomesticata” e scolarizzata rispetto alla sua controparte più antica e rurale. Le narrazioni per l’infanzia nel tempo cambiano carattere e non servono più ad ammonire e a preparare l’ascoltatore all’incontro con il mondo reale, ma diventano uno spazio rilassato e giocoso che non deve essere preso troppo sul serio e può perciò ospitare eventi di tipo soprannaturale che da questo momento in poi diventeranno tipici della letteratura per bambini fino ai giorni nostri. Ho detto soprannaturale ma va detto che a prevalere sarà soprattutto un certo tipo di soprannaturale[1] quello che con Orlando chiameremo di indulgenza[2]. Grazie a quest’ultimo l’autore si rivolge ad un bambino che si suppone già essere in qualche modo parte del mondo dei grandi ma si rivolge anche ad un adulto complice che gioisce nel poter fare appello a quella parte considerata irrazionale che aveva represso ma mai del tutto rimosso.
È questo il caso di Roald Dahl che si rivolge ad un lettore implicito che è un bambino ormai troppo avveduto per poter credere ancora alle fiabe, e si diverte a scuoterlo, a terrificarlo e nello stesso tempo a divertirlo. Alla luce di quanto detto, andiamo ad analizzare The Witches che presenta in sé tutte le caratteristiche tipiche delle opere di Dahl e ci permette dunque di osservare da vicino il soprannaturale d’indulgenza e l’ironia che lo definisce, ma anche il sovvertimento operato dall’autore delle strutture delle fiabe, nonché il suo gusto per la violenza esplosiva. Si tratta inoltre di un’opera controversa nei suoi contenuti anche ideologici, che può polarizzare le opinioni e proprio per questo motivo atta a dimostrare come la scrittura “in bilico” di Dahl non possa essere definita semplicemente conservatrice o misogina, come molti pretendono.
The Witches viene pubblicato nel 1983 e rappresenta una delle ultime fasi della produzione di opere per bambini da parte di Dahl. Rispetto alle opere precedenti come James and the Giant Peach, Charlie and the Chocolate Factory e The BFG vediamo un restringimento del campo del soprannaturale e un cambiamento della sua funzione. Infatti, nella sua ultima opera, Matilda, il soprannaturale è un elemento potente ma quasi accessorio, “il principio di realtà si fa più pressante e il male da contrastare non proviene più dal mondo della fantasia, bensì da quello di tutti i giorni”[3], inoltre alla fine dell’opera i poteri magici di Matilda scompaiono. The Witches si colloca nel mezzo, presenta come unico elemento soprannaturale le streghe del titolo, tuttavia queste rimangono un ingrediente fondamentale della storia, il filo conduttore che genera il brivido nel lettore, accompagnato da un sorriso sotto i baffi.
La storia, narrata in prima persona dal protagonista, racconta di un bambino inglese di genitori norvegesi che si ritrova improvvisamente orfano e si trasferisce in Norvegia per vivere con la nonna. Quest’ultima è una vecchia signora stravagante, sempre avvolta dal fumo azzurrognolo del sigaro che tiene costantemente in bocca e che racconta storie inquietanti su esseri demoniaci travestiti da amorevoli signore. La nonna afferma di essere stata essa stessa una cacciatrice di streghe, le quali sono esseri molto diffusi in Norvegia, ed elenca al bambino i loro tratti caratteristici e le loro nefandezze. Le streghe sono creature che si travestono da signore perfettamente rispettabili, indossano parrucche sulle loro teste calve, guanti per coprire gli artigli e scarpe con il tacco che accolgono i loro piedi senza dita; questo travestimento le aiuta a raggiungere il loro scopo principale, attirare bambini innocenti per distruggerli e farli scomparire dalla faccia della terra. Questi esseri soprannaturali sono divisi in congreghe che fanno tutte capo ad un’unica misteriosa e inafferrabile Strega Suprema.
A causa delle ultime volontà dei genitori che desideravano un’educazione inglese per il figlio, nonna e nipote sono costretti a trasferirsi in Inghilterra e poco dopo a passare un periodo in una località balneare sulla costa inglese, per permettere alla vecchina di riprendersi da una malattia grazie all’aria di mare. Qui i due alloggiano in un hotel di lusso dove il protagonista si trova per errore chiuso in una stanza con l’intera congrega di streghe inglesi, apostrofate dalla Strega Suprema in persona. Il bambino ascolta di nascosto il loro piano malefico: trasformare tutti i bambini in topi, sfruttando la loro golosità, così che poi vengano uccisi da ignari genitori che pensano di compiere un’opera di disinfestazione. Lo stesso protagonista non riesce a sfuggire al loro fiuto e diventa un topolino che pensa e parla come il bambino che era. Egli riesce a scappare e architetta con la nonna un piano per fermare le streghe. Si intrufola in cucina e versa la pozione nella loro cena, rendendole tutte topolini, compresa la Strega Suprema, i quali vengono uccisi dai camerieri dell’albergo. La conclusione del racconto è in qualche modo imprevista, infatti il bambino rimarrà per sempre un topo con la durata di vita tipica di un roditore, ma questo non lo intristisce troppo, poiché non dovrà vivere più a lungo della nonna. Infine i due decidono di trascorrere gli ultimi anni di vita loro rimasti stanando e uccidendo tutte le streghe ancora presenti sulla faccia della terra.
Come dicevo, la storia è narrata in prima persona dal bambino protagonista, di cui non conosceremo mai il nome. Anche la nonna è semplicemente chiamata Grandmamma dal nipote, le streghe sono indistintamente witches, mentre la strega suprema viene conosciuta solo con il nome di Grand High Witch. L’indeterminatezza dei nomi e la narrazione in prima persona singolare, presentata come una sorta di confessione o di racconto di eventi accaduti sono parte delle strategie usate dall’autore per simulare un racconto orale che avviene al momento della lettura. Il lettore è facilitato nell’immedesimarsi con il protagonista senza nome, poiché il bambino potrebbe essere qualsiasi bambino, la nonna qualsiasi nonna e le streghe qualsiasi donna fin troppo amichevole. Inoltre, questa scelta va di pari passo con la componente autobiografica presente, infatti quel bambino che ci racconta delle streghe e ci esorta a stare in guardia è anche un po’ Roald Dahl stesso,
although set in England, The Witches begins and ends in Norway, the home of Dahl’s parents and grandparents: in the fiction, the boy and his grandmother have to move to England in order for the boy to continue his English education, while in Dahl’s own life his family moves from Wales to England for the same reason. The idealised intergenerational relationship also has its origins in Dahl’s own childhood holidays with his grandparents in Norway, related in the autobiographical Boy (1984)[4].
Il racconto vero e proprio però non comincia immediatamente ma viene ritardato per fare spazio ad un capitolo iniziale intitolato “A note about witches”. Queste pagine introduttive presentano uno statuto diverso dal resto dell’opera: “It stands apart from the main narrative and seems to be written by an adult (‘As far as children are concerned…’ and ‘I do not wish to speak badly about women’)”[5]. Secondo Rudd un espediente del genere fa parte delle tecniche dell’oralità spesso usate dall’autore: “his use of ‘we’ here, and his frequent hailing us as ‘you’, also enacts a more oral notion of audience”[6].
L’opera fin da subito si pone in relazione con le fiabe, una relazione che è esplicitamente di contrasto: “In fairy-tales, witches always wear silly black hats and black cloaks, and they ride on broomsticks. But this is not a fairy-tale. This is about REAL WITCHES”[7]. Oppure più avanti: “she made it very clear to me that her witch stories, unlike most of the others, were not imaginary tales. They were all true. They were the gospel truth. They were history”[8].
La critica al soprannaturale[9] – che secondo Orlando si alterna sempre al credito nei confronti di quello – viene portata avanti tramite un gioco metatestuale tipico del soprannaturale d’indulgenza, per cui si dice di sconfessare il soprannaturale tradizionale in nome di un presunto soprannaturale più “vero”. Come vedremo più avanti, le streghe di Dahl in un certo senso sono davvero più reali di quelle delle fiabe poiché in realtà rappresentano un altro tipo di “streghe”. La prima cosa da notare dunque è una tendenza a giocare con le nozioni di verità e menzogna, racconti e fatti, sfruttando l’equivalenza tra fiaba e frottola. La pretesa di verità, sottolineata dall’enfasi del maiuscolo “REAL WITCHES”, crea una forte aspettativa del lettore che vuole essere messo a parte della conoscenza delle vere streghe e genera un brivido piacevole di paura all’idea che qualcosa di pericoloso possa essere presente anche nella realtà più comune. Diventa d’altra parte subito chiaro che la relazione con le fiabe è più di familiarità che di contrasto e proprio questo scatena il sorriso. Per chi conosce le vicende già la prima frase può essere spassosa, dato che le streghe di Dahl certo non viaggeranno su manici di scopa ma fanno cose che, secondo lo stesso metro di giudizio dell’autore, potrebbero essere considerate altrettanto se non più ridicole. Inoltre, il narratore apostrofa il lettore proprio come se fosse presente e gli stesse raccontando una fiaba, per esempio: “Listen very carefully. Never forget what is coming next”[10], oppure “you will hear about those in a minute”[11] e “this will make you jump”[12]. Tramite espressioni del genere prosegue il gioco metatestuale, una sorta di processo di straniamento che contribuisce a rafforzare la critica giocosa al soprannaturale. Infatti, l’intrusione del narratore nel racconto rende il lettore consapevole dello svolgimento della narrazione e del fatto che questa non è altro che una finzione nel senso etimologico del termine, cioè qualcosa modellato da una mente creatrice.
Dahl per rendere più efficace questo gioco si serve anche delle onomatopee, per esempio: “Then at last, when everything is ready… phwisst! … and she swoops! Sparks fly. Flames leap. Oil boils. Rats howl. Skin shrivels. And the child disappears”[13]. Inoltre, come in altri suoi testi si fa aiutare dalle illustrazioni, immaginando che il bambino che si suppone ascolti sia anche il bambino che legge il testo: “Kindly examine the picture below. Which lady is the witch? That is a difficult question, but it is one that every child must try to answer”[14] (v. Fig. 1).
La sensazione di sincronia, ovvero l’impressione che la narrazione si dipani davanti al lettore proprio nel momento in cui si trova a leggere il testo, insieme all’uso dei deittici, è fondamentale anche come strumento del credito al soprannaturale; a questo proposito è emblematica l’affermazione: “For all you know, a witch might be living next door to you right now”[15] e poi, “she might even be your lovely school-teacher who is reading these words to you at this very moment. Look carefully at that teacher. Perhaps she is smiling at the absurdity of such a suggestion. Don’t let that put you off. It could be part of her cleverness”[16]. In questo caso l’autore invita il lettore ad usare i suoi sensi e a prendere in considerazione l’idea che anche ciò che sembra più sicuro e amichevole, per esempio la propria maestra, possa costituire una minaccia (soprannaturale) nascosta.
A questo punto tuttavia, quando il soprannaturale si fa troppo vicino e potenzialmente spaventoso, interviene a livello di elocutio la critica rappresentata dall’ironia. Dahl usa la tecnica della normalizzazione descritta da Orlando, cioè il fingere di trovare il soprannaturale “possibile anche se certo raro”[17]. Ecco allora che l’insinuazione precedente viene ritrattata, lasciando però un sottile spiraglio finale al credito: “I am not, of course, telling you for one second that your teacher actually is a witch. All I am saying is that she might be one. It is most unlikely. But— and here comes the big “but”— it is not impossible”[18].
Nel prodigioso avvertimento di non fidarsi nemmeno della maestra, possiamo inoltre notare un invito a demistificare il ruolo dell’educatore e in generale dell’adulto, invito portato per la prima volta avanti da Charles Dickens e successivamente, in modo ancora più estremo da Carrol in Alice’s adventures in Wonderland. Dahl si fa in qualche modo erede di questa tradizione che deriva dalla rappresentazione della classe media inglese, che era riuscita a elevare a dogma sociale i propri valori puritani e aveva assunto su di sé una missione pedagogizzante e moralizzatrice. A questo intento demistificante dell’adulto e dell’educatore si aggiunge una parallela messa in discussione dell’ideale del “bravo bambino”. Come scrive Stefano Brugnolo a proposito degli adulti-animali di Carroll: “Giocando allegramente con la pedagogia, mostrandone il fondo oscuro di sadismo e arbitrio, finalmente ci è possibile prendere le distanze da certi ruoli prefissati: quelli del maestro sputasentenze certo, ma contemporaneamente quelli del bambino saggio e buono”[19].
Per tornare alle tecniche dell’ironia nell’esposizione, agli espedienti elencati se ne aggiungono altri, per esempio il motto delle streghe riporta la notazione numerica ben precisa, del tutto inadeguata e inaspettata, che un bambino ucciso alla settimana fa cinquantadue bambini all’anno; oppure sono presenti espressioni di tipo minimizzante; come questa: “A REAL WITCH gets the same pleasure from squelching a child as you get from eating a plateful of strawberries and thick cream”[20].
Dopo questa prima introduzione carica di aspettative comincia la narrazione vera e propria e viene introdotto l’elemento autobiografico delle vacanze in Norvegia dalla nonna. Secondo i racconti della vecchietta, la Norvegia è il luogo d’origine delle streghe, lì vivono così numerose che gli abitanti ormai non si scandalizzano molto delle loro nefandezze, ci hanno fatto l’abitudine. La Norvegia infatti, se vista dalla prospettiva dell’Inghilterra, può essere ancora percepita come un luogo lontano, liminare, propizio dunque al soprannaturale. Proprio questa marginalità rende infatti il soprannaturale ancora possibile, al contrario della fin troppo prossima e moderna Inghilterra, dato che il libro è scritto in inglese per bambini inglesi. Come abbiamo visto infatti, una delle regole del soprannaturale è quella di essere associato a luoghi di confine, distanti dalla “civiltà” così come la intende il lettore, che in questo caso sarà un lettore abituato alle grandi città e agli spazi urbani ben diversi dalle foreste selvagge disabitate della Norvegia. Questo avviene perché è come se in questi luoghi fosse possibile immaginare un allentamento della stretta della razionalità moderna che permette una riemersione del represso e cioè del credito nei confronti dello straordinario in genere.
Il rapporto con la nonna è subito presentato come un qualcosa di unico: “I have to admit that I felt closer to her than to my mother”[21]. Questa dichiarazione può sembrare quasi un’eresia per la sensibilità del lettore comune ma è solo uno degli esempi della concezione particolare di Dahl della famiglia. La nonna è descritta come una donna eccezionale e maestosa, tanto vecchia quanto massiccia, che occupa interamente una poltrona tanto che “not even a mouse could have squeezed in to sit beside her”[22] (in cui il riferimento al topo costituisce un’anticipazione della fine del protagonista), inoltre, a sottolineare la sua straordinarietà, il protagonista ci dice: “my grandmother was the only grandmother I ever met who smoked cigars”[23]. Proprio così la rappresentano tutte le illustrazioni di Quentin Blake, avvolta da una nuvola di fumo sprigionata dal suo sigaro (v. Fig. 2).
Il contrasto tra la stazza della donna e quella del nipotino, aumenterà ancora di più dopo che questo verrà trasformato in topo, andando a rappresentare visivamente quell’incontro, confusione tra grande e piccolo, che caratterizza i testi di Dahl.
La nonna possiede la caratteristica fondamentale che tutte le figure adulte positive delle opere di Dahl possiedono: “she was a wonderful story-teller and I was enthralled by everything she told me”[24]. Le narrazioni per Dahl hanno quasi un effetto ipnotico e curativo e anche in questo caso i racconti della nonna permettono a nonna e nipote di superare la perdita dei genitori, un elemento della storia che ben presto passa in secondo piano.
Per buona parte dell’opera si assiste alla narrazione di una narrazione, ancora un espediente metanarrativo; ovvero sembra di assistere ad un dialogo tra la vecchietta e il bambino che viene interrotto solo brevemente per permettere alla trama di andare avanti. Questa sezione del racconto è organizzata come uno scambio di battute in cui il bambino, mentre ascolta rapito e incredulo i racconti della nonna sulle streghe, richiede in continuazione prove che dimostrino che i racconti sono veri e mette in discussione che cose tanto strane siano accadute; in sostanza, egli dunque impersona la parte della critica al soprannaturale: “’You swear you aren’t pulling my leg?’ I kept saying to her. ‘You swear you aren’t just pretending?’”[25]. E’ importante notare che la razionalità, lo scetticismo sono tutti in mano al piccolo protagonista, mentre la nonna, una vecchina che secondo le convenzioni dovrebbe essere la quintessenza del buonsenso, incalza il nipote, e il lettore, verso il credito assoluto. In questo processo, come abbiamo detto, possiamo individuare una similitudine con quello che accade in Alice’s adventures in Wonderland di Lewis Carrol, in cui gli adulti sono tutti “matti” mentre l’unica ragionevole e critica è Alice.
Riportiamo come esempio una parte di dialogo, che in buona parte si svolge con questo schema:
“But the little girl who became a chicken didn’t disappear?” I said.
“No, not Birgit. She lived on for many years laying her brown eggs.”
“You said all of them disappeared.”
“I made a mistake,” my grandmother said. “I am getting old. I can’t remember everything.”
“What happened to the fourth child?” I asked.
“The fourth was a boy called Harald,” my grandmother said. “One morning his skin went all greyish-yellow. Then it became hard and crackly, like the shell of a nut. By evening, the boy had turned to stone.”
“Stone?” I said. “You mean real stone?”
“Granite,” she said. “I’ll take you to see him if you like. They still keep him in the house. He stands in the hall, a little stone statue. Visitors lean their umbrellas up against him.”
Although I was very young, I was not prepared to believe everything my grandmother told me. And yet she spoke with such conviction, with such utter seriousness, and with never a smile on her face or a twinkle in her eye, that I found myself beginning to wonder.[26]
Quest’ultima affermazione non è altro che la definizione del soprannaturale d’indulgenza, ovvero il lettore, impersonato qui dal protagonista, non è propenso a credere al soprannaturale ma il racconto è talmente avvincente, talmente coinvolgente che alla fine ci si lascia andare, almeno per un po’, al credito. Come si può notare, “by reproducing the storytelling act, Dahl makes us aware of the process by which a story is made, and it is not by the author alone. There is give and take, and there are shared ideas. What is more, the boy, upon hearing the facts, repeatedly considers his grandmother’s role as a teller – is she lying or is she telling the truth? These are questions that the reader must decide”[27].
Abbiamo detto che il principale difensore del credito è proprio la nonna, anche se svolge il suo ruolo senza essere troppo scrupolosa, concedendosi sviste ed imprecisioni. Prima di tutto produce affermazioni che sono tanto più inconcludenti quanto più sono ridicoli i racconti di cui devono giustificare il credito. Per esempio: “I couldn’t believe my grandmother would be lying to me. She went to church every morning of the week and she said grace before every meal, and somebody who did that would never tell lies. I was beginning to believe every word she spoke”[28]. Ogni lettore, magari anche qualche bambino, sa che essere una persona religiosa non è affatto sinonimo di essere una persona veritiera. Inoltre, quando la nonna minaccia il direttore dell’albergo di avvertire le autorità della presenza di topi in cucina per permettere al protagonista di continuare a giocare con i propri topolini ammaestrati, anche il lettore sa che probabilmente sta mentendo spudoratamente, tuttavia si lascia trasportare, complice del gioco narrativo.
Infine, la vecchietta è chiaramente il contrario di un tutore responsabile, per la gioia del nipotino, infatti per esempio approva che lui non si lavi. In un passo addirittura fa al nipote una proposta quasi scandalosa: “’Would you like a puff of my cigar?’ she said. ‘I’m only seven, Grandmamma.’ ‘I don’t care what age you are,’ she said. ‘You’ll never catch a cold if you smoke cigars’”[29]. In questo caso l’atto di offrire un sigaro al nipotino rappresenta quasi una sorta di sfida a liberarsi delle inibizioni razionali per lasciarsi andare, oltre che lasciarsi convincere dal credito al soprannaturale. La nonna in questo modo cerca di demolire le certezze e le convinzioni troppo serie del nipote sia per quanto riguarda l’educazione sia riguardo ciò che è reale e razionale e ciò che non lo è.
Altro fondamentale elemento della critica al soprannaturale che prende forma dal dialogo nonna nipote è quello delle caratteristiche che contraddistinguono le streghe, ovvero quelle che Orlando chiama le regole del soprannaturale[30]. Le regole che ci spiegano chi sono le streghe e le distinguono da innocue signore sono gustose e sovrabbondanti. La testa calva, i piedi senza dita e la saliva blu sono solo alcune di queste e il tentativo delle streghe di nasconderle per passare inosservate produce delle situazioni spassose che accostano la straordinarietà di questi esseri potenti, “demons in human shape”[31], con i piccoli disagi che sono costrette a subire come “nasty sores on the head. Wig-rash, the witches call it. And it doesn’t half itch”[32], o con i vantaggi che portano nella vita quotidiana, come scrivere con la saliva. Lungo tutta l’opera prosegue questo continuo fare riferimento alle caratteristiche straordinarie e demoniache delle streghe, disatteso poi dai loro effettivi comportamenti. Per esempio prima la nonna afferma: “I have heard it said that over there the witches are able to make the grown-ups eat their own children”[33], un riferimento esplicito al cannibalismo che ricorda il tema del mangiare o essere mangiati delle fiabe tradizionali. Poi però parlando delle congreghe ecco che le streghe diventano simili ad un gruppo di signore qualsiasi che si chiamano ogni tanto per scambiarsi chiacchiere e ricette: “They ring each other up. They swap deadly recipes. Goodness knows what else they talk about. I hate to think”[34]. Oppure più avanti, quando il protagonista si trova rinchiuso nella sala dell’albergo con un centinaio di streghe, queste da una parte si comportano come normali signore, con tutti i convenevoli del caso: “In they came, talking their heads off. They began milling round and choosing their seats, and there was a whole lot of stuff like, “Come and sit next to me, Millie dear,” and “Oh, hel-lo Beatrice! I haven’t seen you since the last meeting! What an adorable dress you have on!””[35]. Dall’altra sono ridicolizzate dall’ossessivo grattarsi la testa, infatti come afferma lo stesso protagonista: “It is always funny when you catch someone doing something coarse and she thinks no one is looking. Nose-picking, for example, or scratching her bottom. Hair-scratching is very nearly as unattractive, especially if it goes on and on”[36]. Oppure, la loro paura davanti alla Grand High Witch, mista a devozione, viene presentata proprio come se fossero delle impiegate davanti al loro capo che devono sottostare ai suoi ordini e tenere le lamentele per sé, altrimenti finirebbero per essere non certo licenziate ma “frizzled like a fritter”[37]. Il soprannaturale dunque si confonde con il quotidiano, le streghe non sono più nascoste nel fondo della foresta o in luoghi impenetrabili lontani dalla realtà quotidiana ma piuttosto ne fanno parte, sono delle signore qualsiasi, quasi a ribadire che le “streghe” possono essere dappertutto.
Proprio analizzando come viene presentato il soprannaturale nelle figure delle streghe e della Grand High Witch, cerchiamo dunque di affrontare le critiche sulla misoginia di questo testo. Molti critici hanno visto nelle streghe solo una trasposizione diretta dei sentimenti anti-femministi di Dahl, in quanto sono streghe quelle donne che vogliono sbarazzarsi per sempre dei bambini. Per esempio, Pulliam scrive: “Dahl’s The Witches is arguably the most openly sexist of his oeuvre: his witches are parodies of second-wave feminists, who have been caricatured by conservatives as women dabbling in the occult and who violently hate children”[38].
Questa sembra piuttosto una estrema semplificazione che non tiene conto di numerosi fattori. In primo luogo “defence of Dahl is complicated because two of his narrative preferences, for the comic mode and for the fairy tale genre, have misogynistic conventions”[39]. Ovvero, come afferma lo stesso narratore nel primo capitolo: “But the fact remains that all witches are women. There is no such thing as a male witch. On the other hand, a ghoul is always a male. So indeed is a barghest”[40], cioè nella tradizione troviamo solo “la strega” al femminile mentre non esiste un suo preciso corrispettivo al maschile. E più avanti Dahl scrive: “You don’t seem to understand that witches are not actually women at all. They look like women. They talk like women. And they are able to act like women. But in actual fact, they are totally different animals”[41]. Quindi secondo Bird: “The issue of female subjectivity is not raised in Dahl’s text; evil is not gender specific but is located within the “all-powerful” threatening adult figure”[42].
Inoltre un’affermazione come quella di Pulliam non tiene alcun conto delle dinamiche del testo che circondano la semplice equivalenza streghe uguale donne. Infatti le streghe sono sì donne ma in particolare sono donne estremamente femminili, cioè come si ritiene che una donna debba essere. Le streghe dunque si travestono da signore perfettamente rispettabili che amano i bambini e offrono loro dolcetti, portano scarpe a punta con il tacco anche se sono scomode per i loro piedi senza dita, e cappellini. Per fare un esempio fra tanti, il nome falso dell’associazione delle streghe nell’albergo è RSPCC: “THE ROYAL SOCIETY FOR THE PREVENTION OF CRUELTY TO CHILDREN”[43]. Dunque, Dahl non cerca di mettere in guardia il lettore dalle “donne”, perché pensa che siano tutte “streghe”, ma piuttosto vuole ricordargli che non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze perbenistiche. Anche se, secondo certi cliché, ci si aspetta che tutte le donne adorino i bambini, siano gentili e ben curate, cioè aderiscano ad un certo stereotipo, non è detto che coloro che rispettano tutte queste caratteristiche siano brave persone, anzi forse esiste una regola inversa: più le persone ci appaiono curate e perbene, più bisogna diffidare di esse.
Dunque non è delle donne che ci si prende gioco ma delle apparenze e delle falsificazioni a cui ci costringe il mondo nel momento in cui si diventa adulti. Infatti la figura positiva per eccellenza del testo è un’altra donna, la nonna, che è tutto tranne che una nonna convenzionale e non ha remore a dimostrarsi scocciata davanti a Bruno, l’altro bambino trasformato in topo: “What a very disagreeable little boy you are”[44].
Questo assunto è particolarmente ben espresso dalla Grand High Witch, la quale mostra immediatamente, anche grazie alle illustrazioni, il passaggio da signora delicata e bella a terribile mostro (v. Fig. 3-4).
La Strega Suprema è minuta, giovane, bella, elegante ma quando si toglie la maschera Dahl abbandona ogni residuo di ironia e risulta terribilmente serio nel descriverla:
It was a fearsome and ghastly sight. There was something terribly wrong with it, something foul and putrid and decayed. It seemed quite literally to be rotting away at the edges, and in the middle of the face, around the mouth and cheeks, I could see the skin all cankered and worm-eaten, as though maggots were working away in there.[45]
La rappresentazione delle donne come streghe dunque non è così semplicistica come alcuni critici affermano ed è d’altra parte inscritta nell’uso del soprannaturale. Non bisogna dimenticare che le streghe sono la maggiore manifestazione del soprannaturale nel testo e in quanto tali il loro compito è suscitare qualche brivido di paura nel lettore, spingerlo a credere che il pericolo possa essere vicino.
Alla questione della rappresentazione delle donne si lega poi anche quella della violenza. In questo testo la violenza è spesso rappresentata esplicitamente e tramite l’uso di un linguaggio feroce e aggressivo soprattutto da parte della Grand High Witch. Secondo Worthington, per esempio, questo testo presenta addirittura “criminal aspects”[46], messi in ombra dall’estrema attenzione che ha generato nella critica femminista. Certamente, anche la presenza della violenza viene smorzata dalle strategie dell’ironia tipiche del soprannaturale d’indulgenza. Quindi i piani delle streghe saranno tanto più arzigogolati quanto sono efferati, la pozione Mouse-Maker ha una lista lunghissima di ingredienti assurdi che vengono elencati uno ad uno nel testo insieme ai loro metodi di preparazione, mentre le streghe prendono appunti e si lamentano del difficile reperimento di un certo ingrediente o si chiedono le proporzioni giuste di un altro. Ancora una volta indugiare su aspetti estremamente precisi e elementi tipici del quotidiano accanto al soprannaturale non fa che evidenziare “la contraddizione tra verosimile e inverosimile”[47].
Per esempio le streghe anziane, chiamate pomposamente “the ancient ones”, si lamentano di essere troppo vecchie per riuscire ad arrampicarsi per procacciarsi un uovo di gruntle. Oppure ecco che per la Grand High Witch è proprio un’idea sciocca pensare che debba servire una sveglia nella pozione per ogni bambino che si vuole avvelenare:
“What did you come up with, O Brainy One?” they called out. “Tell us the great secret!”
“The secret”, announced The Grand High Witch triumphantly, “is an alarm-clock!”
“An alarm-clock!” they cried. “It’s a stroke of genius!”
“Of course it is,” said The Grand High Witch. “You can set a tventy-four-hour alarm-clock today and at exactly nine o’clock tomorrow it vill go off.”
“But we will need five million alarm-clocks!” cried the audience. “We will need one for each child!”
“Idiots!” shouted The Grand High Witch. “If you are vonting a steak, you do not cook the whole cow! It is the same vith alarm-clocks. Vun clock vill make enough for a thousand children. Here is vhat you do. You set your alarm-clock to go off at nine o’clock tomorrow morning. Then you rrroast it in the oven until it is crrrisp and tender. Are you wrrriting this down? ”[48].
La critica al soprannaturale e un’attenuazione del contenuto violento si può osservare anche nel linguaggio della Strega Suprema che ha un fortissimo accento straniero: il che mina non poco la credibilità dei suoi proclami ultra-violenti. Questo fa sì che, soprattutto se letto ad alta voce, il suo discorso così inneggiante alla violenza risulti estremamente comico. Per esempio: “”Yes!” thundered The Grand High Witch. “Vee shall svish them and svollop them and vee shall make to disappear every single smelly little brrrat in Inkland in vun strrroke!””[49].
Non mancano tuttavia nel testo frasi che colpiscono per la loro schiettezza e in particolare in relazione al finale tanto particolare di quest’opera. Stupisce fin da subito infatti che il protagonista trasformato in topo sia in fondo soddisfatto di questa situazione, tanto da affermare:
What’s so wonderful about being a little boy anyway? Why is that necessarily any better than being a mouse? I know that mice get hunted and they sometimes get poisoned or caught in traps. But little boys sometimes get killed, too. Little boys can be run over by motor-cars or they can die of some awful illness. Little boys have to go to school. Mice don’t.[50]
I topi possono essere uccisi certo, ma anche i bambini possono essere uccisi e morire! Queste affermazioni sono estremamente esplicite anche se certo vengono subito smorzate dal riferimento alla scuola e ai suoi obblighi, ma si può capire cosa può suscitare le irritazioni dei genitori che leggono un simile testo ai propri figli. La domanda allora è se è necessario proteggere i bambini dalla nozione della violenza oppure, al contrario, è necessario farli avvicinare ad essa, magari proprio grazie a testi del genere.
Come abbiamo detto, alla fine del racconto il protagonista rimane un topo per sempre, e secondo Butler: “This gleeful gesture of defiance against the perceived obligation of children’s fiction to provide a reset button for the restoration of all losses and the righting of all wrongs is daring, but almost 20 years later in The Witches (1983) a similar move provides a moment unique in the risks it takes with customary assumptions about the plots of children’s books”[51]. Dunque, quello di Dahl è un atto innovativo che afferma una realtà psichica infantile, ma direi in generale umana, che è la paura di separarsi da chi si ama. Per questo il protagonista è felice di avere l’aspettativa di vita di un topo: “”Because I would never want to live longer than you,” I said. “I couldn’t stand being looked after by anybody else””[52]. Inoltre, ancora una volta e in maniera definitiva, il bambino rimanendo topo sfugge per sempre alla crescita e di conseguenza all’educazione, come sottolinea il riferimento alla scuola nel testo. A differenza di Pinocchio, il protagonista non ritorna a essere un bambino vero ma dimostra che la vita da topo non solo è possibile ma anzi migliore di quella da “bambino vero”.
La fine del protagonista assume ancora più rilevanza in contrasto con quella del suo compagno di sventure, Bruno. Nella descrizione di Bruno e della sua famiglia ritroviamo la classica idea di Dahl sugli adulti mediocri e egocentrici e sui danni che apportano ai loro figli. Mr Jenkins “was a large coarse man and he wasn’t used to being pushed around by anybody”[53] e alla scoperta della trasformazione del figlio non si preoccupa affatto per il bambino ma per sé stesso e la moglie: “I can’t have a mouse for a son!” e poco dopo “Mrs Jenkins will go crazy!”[54]. Perdere l’apparenza di una famiglia perfetta è per il padre molto più preoccupante che perdere il figlio stesso (e sembra quasi di udire un’eco delle reazioni di Gregor Samsa allorché si accorgono della “indecorosa” trasformazione dell’uomo in insetto). La famiglia ideale invece risulta quella formata da nonna e topo, basata su aiuto e affetto reciproco, in cui i rapporti sono alla pari e alla fine, secondo il testo, questa è l’unica cosa che conta.
E comunque la narrazione non termina con questa nota triste ma con un ultimo capitolo che prospetta le future avventure della nonna e del nipote, le quali li porteranno a far scomparire tutte le streghe dalla faccia della terra. Dunque, parlare della morte non richiede per forza tristezza ma lascia spazio anche all’esultanza, all’allegria e alla vitalità. Il narratore descrive la gioia della nonna nel distruggere un preziosissimo vaso: “In her excitement she was waving her stick all over the place, and suddenly she knocked over a tall and very beautiful vase that went crashing on to the floor and smashed into a million pieces. “Forget it,” she said. “It’s only Ming “”[55]. E’ evidente che si tratta di un invito al movimento, al divertimento, all’azione anche violenta, senza doversi troppo preoccupare delle conseguenze.
Questo testo quindi, come abbiamo visto, racchiude molte delle tematiche care a Dahl e ci ha permesso di esaminarle più approfonditamente. Inoltre da esso possiamo forse ricavare una interpretazione delle narrazioni di Dahl che non si limita a chiedersi se sia reazionario, misogino oppure troppo esplicito e sovversivo, ma che prende in considerazione, oltre a quello che il testo dice esplicitamente anche quello che non dice, almeno a un primo colpo d’occhio.
L’uso del soprannaturale di indulgenza comporta una dialettica credito-critica, tuttavia questa “va largamente al di là della tematica soprannaturale”[56] per comprendere in generale un’attitudine sovversiva e antiautoritaria. E’ l’educazione stessa, imposta dagli adulti, che viene messa in discussione e il testo cerca di rendere consapevole il lettore della costrizione e dei sacrifici che derivano da essa. Nel fare ciò Dahl, consapevolmente, mina le sue stesse idee che potrebbero sembrare estremamente forti ma che vengono anch’esse messe in discussione. La relazione tra credito e critica orlandianamente intese che definisce la formazione del compromesso[57] nel soprannaturale letterario, può essere estesa, per tutte le opere di Dahl, a una relazione tra Natura e Cultura. Il represso che riemerge è allora la natura, intesa in senso lato come libertà di esprimersi al di fuori delle costrizioni sociali e comprende eccessi carnevaleschi, indugio sugli aspetti corporali più disgustosi, violenza, vendetta, la rivincita del bambino che viene riscattato da una morsa educativa grazie all’esempio di figure anti-pedagogiche. Questa libertà è dunque una libertà anarchica, che non si rifà ad alcun valore politico, conservatore o non.
La repressione invece è la Cultura, cioè le norme sociali, la “buona educazione” quelle cose che per Dahl sono spesso solo maschere, come quella della Grand High Witch, che coprono impulsi perversi. Le streghe perciò possono essere viste in parte anche come soprannaturale di trasposizione[58], rappresentano infatti tutte quelle persone apparentemente perfette, allineate con gli standard dell’opinione pubblica, ma che invece nascondono una minaccia, non sono quello che sembrano. E anzi si direbbe che per Dahl più una persona si comporta in modo perbene e più sotto sotto è da ritenere pericolosa.
Dahl in definitiva ha come scopo quello di scuotere il lettore, di svegliarlo e di ricordargli di non adagiarsi perché le streghe potrebbero essere vicine.
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Note
[1] Orlando propone di definire il soprannaturale come “una supposizione di entità, di rapporti o di eventi in contrasto con quelle leggi della realtà che sono sentite come normali o naturali in una situazione storica data”. Esso, per Orlando è letteratura al quadrato, in quanto richiede al lettore non solo di abbandonarsi al piacere della lettura senza porsi domande sul confine tra reale e irreale, ma chiede anche di farlo una seconda volta, in quanto si presenta come una rottura nel tessuto della realtà descritta dalla narrazione.
[2] Il soprannaturale d’indulgenza è un tipo di soprannaturale letterario in cui il discredito è molto forte ma non sfocia nella derisione, piuttosto si presenta come un costante piglio ironico. Esso presuppone una sospensione del giudizio sulla veridicità o meno del soprannaturale ad opera di “una tendenza edonistica a conservare al soprannaturale uno statuto abbastanza fittizio da poterne consapevolmente godere”.
[3] L. Pacinotti, Roald Dahl e la radicalizzazione dell’innocenza, Edizioni Ets, Pisa, 2004, p. 49.
[4] H. Worthington, “An Unsuitable Read for a Child? Reconsidering Crime and Violence in Roald Dahl’s Fiction for Children”, in Roald Dahl, a cura di A. Alston e C. Butler, Palgrave Macmillan, Basingstoke, 2012, p. 128.
[5] D. Rudd, “Dahl and Language”, in Roald Dahl, cit., p. 63.
[6] Ibidem.
[7] R. Dahl, The Witches, (1983), Puffin, UK, 1989, p. 1.
[8] Ivi, p. 8.
[9] Orlando propone di classificare il soprannaturale in base al rapporto tra credito e critica assegnatigli. Il credito non sarà altro che la misura di quanto il soprannaturale viene creduto vero e accettato mentre la critica sarà costituita dalle forze razionali che lo screditano. Il credito o la critica non sono mai assoluti ma si va da un massimo di credito e una critica rappresentata solo dalle regole a una critica massima e un credito garantito esclusivamente dalla presenza del soprannaturale come elemento da parodiare.
[10] Ivi, p. 1.
[11] Ivi, p. 3.
[12] Ivi, p. 4.
[13] Ivi, p. 2.
[14] Ivi, p. 4
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] F. Orlando, Il soprannaturale letterario, Einaudi, Torino, 2017, p. 131.
[18] R. Dahl, The Witches, cit., p. 5.
[19] S. Brugnolo, La tradizione dell’umorismo nero, Bulzoni, Roma, 1994, p.110.
[20] R. Dahl, The Witches, cit., p. 2.
[21] Ivi, p. 6.
[22] Ivi, p. 9.
[23] Ibidem.
[24] Ivi, p. 8.
[25] Ivi, p. 9.
[26] Ivi, pp. 14-15.
[27] D. Cogan Thacker, “Fairy Tale and Anti-fairy Tale: Roald Dahl and the Telling Power of Stories”, in Roald Dahl, cit., p. 26.
[28] R. Dahl, The Witches, cit., p. 26.
[29] Ivi, p. 15.
[30] L’elemento soprannaturale non può essere esteso illimitatamente altrimenti perde la sua carica e la sua ragione di essere divenendo la normalità nella narrazione, ma viene limitato e circoscritto, “non può che essere configurato, tratteggiato, ritagliato da regole, al punto da tendere a consistere in esse”. Le regole del soprannaturale costituiscono la prima e più importante manifestazione della critica.
[31] Ivi, p. 24.
[32] Ivi, p. 20.
[33] Ivi, p. 31.
[34] Ivi, p. 32.
[35] Ivi, p. 55.
[36] Ivi, p. 57.
[37] Ivi, p. 70.
[38] J. Pulliam, “All Grown Up: Filmic Interpretations of Roald Dahl’s Novels”, in Roald Dahl, cit., p. 143.
[39] B. Pennell, “‘When one is with her it is impossible to be bored’: An Examination of Roald Dahl’s Contribution to a Feminist Project in Children’s Literature”, in Roald Dahl, cit., pp. 103-104.
[40] R. Dahl, The Witches, cit., p. 3
[41] Ivi, p. 24.
[42] A.M. Bird, “Women Behaving Badly: Dahl’s Witches Meet the Women of the Eighties”, in Children’s Literature in Education, Vol. 29, N. 3, 1998, p. 121.
[43] Ivi, p. 49.
[44] R. Dahl, The Witches, cit., p. 147.
[45] Ivi, p. 60.
[46] H. Worthington, “An Unsuitable Read for a Child? Reconsidering Crime and Violence in Roald Dahl’s Fiction for Children”, cit., p. 127.
[47] F.Orlando, Il soprannaturale letterario, cit., p. 134.
[48] R. Dahl, The Witches, cit., p. 88.
[49] Ivi, p. 72.
[50] Ivi, p. 112-113.
[51] C. Butler, “Introduction”, in Roald Dahl, cit. p. 9.
[52] R. Dahl, The Witches, cit., p. 188.
[53] Ivi, p. 143.
[54] Ivi, p. 174.
[55] Ivi, p. 196.
[56] Ivi, p. 35.
[57] Francesco Orlando parla in generale della letteratura come del luogo in cui trionfa l’inconscio, come lo chiamava Freud, o più esattamente una razionalità altra che parla per “formazione di compromesso” cioè con una “manifestazione linguistica in senso lato che faccia posto da sola, simultaneamente, a due forze psichiche in contrasto diventate significanti in contrasto”.
[58] Il soprannaturale di trasposizione fa uso delle figure e delle situazioni tradizionali del soprannaturale letterario, riprendendole e rimotivandole tramite un meccanismo allegorico. Ovvero, il soprannaturale non si esaurisce in sé stesso ma fa riferimento ad una realtà esterna e permette all’autore di “esprimere qualcosa che altrimenti non avrebbe potuto esprimere, qualcosa sentito come misterioso”.