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LUCIANO PELLEGRINI – INTUIRE E COSTRUIRE. IL PARADIGMA BAUDELAIRE

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[Il seguente testo è la post-fazione a Francesco Orlando, L’artificio contro la natura nel mondo di Baudelaire, Edizioni Solfanelli, Roma, 2014, pp. 81-97.]

 

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Dell’Artificio contro la natura nel mondo di Baudelaire colpisce la coesistenza di una forte tensione intellettuale e di un’impostazione affabilmente divulgativa. Essa è riscontrabile anche nelle sue vicende editoriali. Inizialmente scritto nel 1967 per un pubblico molto più largo di quello dei soli specialisti,[1] il testo viene ripreso un quindicennio più tardi in una ricca raccolta di saggi che costituisce come una summa della prima fase del percorso di ricerca dello studioso.[2] Ancora quasi un quindicennio e Francesco Orlando accetta di ripubblicarlo quale Introduzione alla pregevole edizione dei Fiori del male curata da Cosimo Ortesta,[3] restituendo così al saggio una maggiore autonomia e una destinazione più ampia. Questa nuova pubblicazione in forma ancor più autonoma restituisce oggi a questo studio d’insieme sul «mondo di Baudelaire» una sorta di destinazione ideale, rendendolo di nuovo disponibile sia agli specialisti che agli appassionati del poeta. Un grazie particolare va a Giuseppe Grasso per l’idea di ospitare il saggio nella collana da lui diretta e per l’occasione preziosa che mi fornisce di scrivere, a quattro anni dalla morte, su colui che negli anni di studio pisani è stato, per me ventenne, «duca, signore e maestro». Mi trovo a presentare ai lettori di oggi un testo che l’autore scrisse proprio quando aveva la mia età. Non è un dettaglio inutile o meramente personale, perché trattandosi di un saggio scritto quasi mezzo secolo fa, è in questione un confronto fra generazioni, ma soprattutto perché uno degli aspetti di maggior fascino e vitalità dell’Artificio contro la natura risiede proprio nel suo essere un testo giovanile. Giovanile, si badi bene, non solo in senso anagrafico. Resta tuttora percepibile l’intenzione sobriamente scapigliata che lo anima: creare «un mondo nuovo», produrre «la sensazione del nuovo», si chiude così la citazione – «una sorta di epigrafe e una indiretta legittimazione di metodo» – con cui l’autore suggella il suo discorso. Avremo modo di riflettere sulla novità nel metodo e nel modo di concepire il fatto letterario e il margine d’azione del critico. Prima, però, vorrei soffermarmi sulla posizione che il saggio occupa nel suo percorso individuale. Perché, oltre a suscitare interesse di per sé, quale contributo alla conoscenza del poeta, l’Artificio contro la natura suscita interesse quale antecedente sperimentale della proposta teorica e metodologica che Orlando andrà via via elaborando in maniera più consapevole e rigorosa. Una proposta che è arrivata a giocare un ruolo di primo piano nella critica letteraria della seconda metà del Novecento, e che continua anche ora a costituire un punto di riferimento per più d’uno studioso.

Fra i vari quaderni che riempivano i suoi cassetti se ne trova uno intitolato «Appunti per un seminario su Baudelaire». Il «seminario» era quello di Storia della letteratura francese di cui, dal 1962, Orlando era titolare alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Sulla prima pagina del quaderno, fondo da cui hanno tratto alimento tutti i suoi studi baudelairiani, si trova una data, aggiunta sembra a posteriori: [1965-1966]. Per Orlando il 1965 è un vero annus mirabilis. Ha alle spalle gli anni d’apprendistato come veniva concepito nell’università all’epoca: accanto ai primissimi articoli è il tempo delle recensioni e schede bibliografiche a decine e di due monografie su figure minori, una uscita dal lavoro di tesi di laurea sul russoiano Ramond de Carbonnières, l’altra consacrata all’opera del drammaturgo barocco Jean Rotrou, considerato allora, per pregiudizi classicisti, di rango subalterno.[4] Tra la metà del 1964 e la fine del 1965 Orlando concepisce Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, libro con cui prende definitivamente il largo sia dall’impostazione monografica e in minore della gavetta nostrana che dall’esaustività erudita della thèse alla francese, per dedicarsi a uno studio tematico sotto il segno di Erich Auerbach.[5] è proprio a partire dallo studio degli spazi domestici dell’infanzia, soprattutto di Chateaubriand, che Orlando getta le prime basi del grande saggio d’«importanza epocale» (Mariolina Bertini)[6] sugli Oggetti desueti nelle immagini della letteratura.

Il libro sul ricordo d’infanzia si chiude con uno studio su Baudelaire, il primo consacrato al poeta. I primi appunti del quaderno devono risalire quindi all’estate 1965, in vista dell’inizio del nuovo anno accademico. Per capire appieno l’Artificio contro la natura bisogna tener presente che esso si situa a metà del guado, e degli anni Sessanta. Per un Francesco Orlando poco più che trentenne non si trattava solo di fare i conti con le autorità in vigore negli studi letterari. In quegli anni, per lui, come per tutta una generazione di intellettuali, la ricerca di una nuova metodologia cominciava a essere inscindibile da un percorso ideologico di confronto col marxismo, fosse per avvicinarsene o rifiutarlo. Come ha testimoniato Sergio Landucci, ancora nel 1963 Orlando si diceva «non marxista» e poteva parlare del marxismo come «di uno schieramento culturale che non è il mio».[7] Solo un anno prima il critico si era avviato al cambiamento confrontandosi col proprio passato, nel fortunato volumetto memorialistico Ricordo di Lampedusa.[8] Landucci ricorda quale sorpreso interesse suscitò in Orlando l’idea che l’intensa esperienza vissuta accanto all’autore del Gattopardo lo avesse destinato a un’acuta sensibilità per la storia delle classi sociali. Grande era stato lo stupore di Landucci e degli amici cui Orlando aveva via via letto le parti pronte di Infanzia, memoria e storia nel vedere quale importanza lo studioso attribuisse alla storia. Nel libro, «quasi un contributo ad una storia dell’ascendenza di Proust nella prosa francese», non solo si trovano frasi che riecheggiano Lukàcs e fa la sua prima comparsa il nome di Karl Marx, ma l’espressione personale dell’io vi è sempre considerata sullo «sfondo» del «confronto […] fra mondo della borghesia in ascesa e vecchie classi che vanno subendo l’adeguamento delle nuove».[9] Quando Orlando si dedica a Baudelaire, il percorso di confronto col marxismo è dunque già avviato. Di lì a poco lo studioso non solo sarà marcato dalla lettura di Mauron e Lacan ma comincerà a proporre un’insolita e al contempo rigorosa applicazione del marxismo agli studi letterari. Il giovane professore simpatizzerà inoltre, al di fuori delle aule universitarie, col movimento studentesco: il quarto «seminario» 1965-1966 precede di soli quattro anni il momento in cui, nel 1970, sarà dolorosamente costretto, per motivi politici, all’esilio dalla Scuola Normale.

Nell’introduzione alle Costanti e le varianti, con lo sguardo rivolto all’indietro al suo primo periodo, Orlando insiste sulla «quieta inesorabilità d’una rivendicazione – quasi d’una inconsapevole vendetta per certe insofferenze intellettuali giovanili – contro la separatezza dell’elemento individuale, e in favore della sua perpetua rapportabilità ad altro, cioè conoscibilità».[10] La norma cui si oppone tale rivendicazione è la fede nel carattere ineffabile della poesia, di un crocianesimo che, pur essendo ormai giunto al crepuscolo, era ancora abbastanza forte da inibire nuove pratiche d’interpretazione. La convinzione che il confronto sia il modo migliore per accedere al significato del fenomeno estetico si accompagna infatti a quella, non meno tenace, della liceità e della necessità dell’interpretare. Nella prima pagina dell’Artificio contro la natura incontriamo subito il nome di Croce a proposito della molteplicità delle attitudini di Baudelaire. In uno scritto sulle Fleurs du mal Croce distingue le «diverse tendenze e attitudini» del poeta per meglio scartarle come ininteressanti, perché «non propriamente poetic[he]»; senza «l’opera di scelta del lettore», senza il suo «discernimento», per il filosofo è impossibile accedere alla «poesia schietta» della raccolta. [11] Orlando taccia tale distinzione, tra varie «facce o settori dell’uomo e dell’opera», come «non meno esteriore» di un’altra distinzione altrimenti tradizionale, quella tra varie fasi dell’opera e della vita dell’autore. Egli difende piuttosto una concezione unitaria della «personalità», in nome della quale si pone in rottura con due diverse tradizioni, quella positivista – la cronologia e quindi il biografismo – e quella crociana della partizione della vita spirituale in varie sfere o momenti.[12]

Questo modo di considerare l’insieme dei testi di un autore come un «mondo» individuale ricorda il procedere di maestri come George Poulet, ma espressioni come l’«unità magari segreta al fondo di una personalità» fanno pensare piuttosto a critici d’ispirazione psicanalitica. Evidente nel saggio è l’influsso del metodo psicocritico di Charles Mauron, cui Orlando riconoscerà a posteriori il ruolo di «primo mediatore letterario di una metodologia di derivazione freudiana»;[13] viene da pensare, naturalmente, anche a Starobinski, che Orlando non cita ma del quale, ventiseienne, aveva recensito il grande libro su Rousseau. [14] I presupposti psicanalitici non sorreggono esclusivamente la concezione della personalità d’autore ma anche il modo di interpretarla. L’operazione regina della démarche del critico è la cosiddetta scomposizione paradigmatica. Essa consiste in una scommessa: che alcuni elementi riccorrenti contengano il senso del tutto. Consiste, in particolare, nella valorizzazione di costanti astraibili dall’ordine lineare, sintagmatico, del testo, il quale viene così scomposto negli elementi che lo strutturano. Chiara la metafora del mosaico, da immaginare smontato: le tessere appartenenti a uno stesso colore costituiscono una prima banale costante, quelle contenenti un frammento del disegno ne costituiscono un’altra e così via. Questo studio su Baudelaire è la prima applicazione sistematica del metodo sulla scala dell’universo individuale di un solo scrittore. Il quaderno di appunti su Baudelaire si articola in quarantadue rubriche, ognuna dedicata a una costante. Categorie che ritroviamo in buona parte rappresentate nelle sezioni in cui è diviso il saggio. Quanto agli ascendenti del metodo, la «superposition» di Mauron, le pratiche senza nomi particolari ma non dissimili di Starobinski devono essere affiancate, o piuttosto precedute, da un altro modello illustre: il Zirkel im Verstehen di Leo Spitzer.[15] Non a caso tutti e tre i modelli sono indebitati con Freud. Secondo Orlando è la psicanalisi a fornire gli strumenti per comporre e interpretare il sistema di costanti in cui è stato scomposto il testo. Non basta infatti dire che «non si capisce né si conosce mai per intuizione diretta, ma sempre per confronto con qualcos’altro»; resta il problema di come interpretare le relazioni tra i fenomeni. Nell’Introduzione a Infanzia, memoria e storia Orlando scrive:  

 

Per i principi associativi, e non più comparativi, che presiedono a questa operazione [della scomposizione paradigmatica], nonché per un certo tipo di assimilazioni simboliche proposte fra cosa e cosa, il mio lavoro deve certo all’esistenza della psicanalisi molto di più che non per il raro uso diretto dei concetti di inconscio, di Edipo e pochi altri. [16]

 

In futuro lo studioso si lascerà alle spalle certi aspetti del suo modo di ricorrere alla psicanalisi, il concetto stesso di «personalità» sarà accantonato in favore dell’unità autonoma dell’opera. Quel che conta, però, è notare quanto sia precoce in lui la consapevolezza dell’originalità del suo modo di procedere. Già chiara è la differenza tra il metodo psicocritico di Mauron e la scomposizione paradigmatica. Come Charles Mauron Orlando individua un certo numero di costanti, le articola in un sistema, il cui senso è ricondotto a una sorta di costante delle costanti alla quale sono riconducibili tutte le altre costanti e che viene a sua volta ricondotta a un trauma originario d’ordine biografico. In concreto, nel saggio che ripubblichiamo, il sistema delle varie costanti relative a Satana, al tramonto, al vegetale irregolare, al maquillage, all’esotismo, alla donna idolo o vampiro e via discorrendo, viene interpretato alla luce di un’opposizione semantica di fondo, l’artificio contro la natura, e tale opposizione viene ricondotta a un dato d’ordine biografico: quello che Orlando può chiamare ora «trauma infantile», ora «catastrofe affettiva originaria» ora invece «disastro edipico», espressioni che qualificano la fine precoce dell’idillio vissuto dal piccolo Charles con la madre, “disastro” provocato dalle seconde nozze di questa col generale Aupick. Rispetto però a Mauron è evidente che se a Orlando interessa individuare la costante delle costanti, non è tanto perché miri al reperimento di una verità primaria sulla personalità dello scrittore; è soprattutto perché la ritiene un nucleo possibile di significato, dunque una chiave di lettura utile per capire il senso e il valore di tutta l’opera del poeta.[17] Ancora qualche anno e nella Lettura freudiana della «Phèdre», del 1971, Orlando proporrà un’interpretazione della tragedia scomponendola in un sistema non meno coerente di costanti ma senza mai chiamare in causa il vissuto di Racine.

Non simboli fissi né complessi, ma modo d’intendere «principi associativi» e «assimilazioni simboliche», cioè valorizzazione di una specifica logica letteraria strettamente imparentata con quella dei sogni; non interpretazione in funzione di una biografia ma, al contrario, testualità intesa quale ricostruzione di un sistema autonomo di senso. C’è dell’altro. Nella prima pagina dell’Artificio contro la natura egli sostiene subito che scendere nel profondo della personalità del poeta gli permetterà di «comprendere storicamente» l’estrema unità nell’estrema molteplicità del suo «mondo».  Già nel 1963, nel primo articolo consacrato a Mallarmé, una lettura di Sainte, in una nota Orlando si scagliava contro un’interpretazione psicanalitica della poesia in questi termini: «le indicazioni [fornite da…] non superano la genericità del reperimento di simboli fissi, al di qua di ogni concretezza storico-testuale».[18] Il senso di questi due riferimenti alla dimensione storica non è esattamente lo stesso. Storico anzitutto vale per empirico. La scomposizione paradigmatica si fonda su un radicale empirismo testuale, sia perché inseparabile dall’esperienza diretta della lettura, sia perché Orlando intende l’interpretazione come un’operazione esclusivamente induttiva sempre sorretta da prove. Le decine e decine di passi che riempiono le varie rubriche del quaderno ogni tanto sono sbarrate da una striscia colorata, a significare che il passaggio in questione è stato utilizzato (il che significa inoltre che per ogni citazione lo studioso aveva sempre a disposizione molti altri passi simili). Questa forma di empirismo è imparentata con una forma di storicismo che il critico non cessava di esaltare in Freud, rispetto ad altre correnti psicanalitiche, per esempio quella di Jung. Quella per cui l’elaborazione di modelli fissi non deve mai portare a fare astrazione dalla storia particolare del singolo. È quello che fa anche Mauron che, a partire dai testi, cerca di risalire alla struttura profonda della personalità dello scrittore. In parte è anche il senso del «comprendere storicamente» citato sopra. C’è tuttavia in quella formula qualcosa di diverso che travalica la dimensione individuale. La questione più ampia che Orlando intende comprendere è questa: perché l’individuo Charles Baudelaire, proprio lui, è l’autore di un’opera d’importanza epocale? Perché, per riprendere l’espressione utilizzata qualche anno più tardi a proposito di Proust, Baudelaire ha vinto l’«ideale concorso» della storia? è così che Orlando getta un ponte fra storia dell’individuo e storia delle forme. Da un lato indica la determinazione tutta individuale dell’opposizione tra artificio e natura, dall’altro fa della stessa opposizione la chiave di lettura della svolta nel modo di fare poesia che le Fleurs du mal determinano. Il trauma infantile è proposto infatti quale fondamento lontano dell’importanza che Baudelaire attribuisce ideologicamente al peccato originale; ed è all’idea di una natura umana irrimediabilmente corrotta che il poeta riconduce quel sospetto per ogni forma di spontaneità esplicita all’origine della sua svolta poetica. Il contributo alla conoscenza dell’uomo si rivela quindi simmetricamente interpretazione storica. E il cerchio si allarga ulteriormente, perché lo studioso getta un ponte anche tra storia delle forme e storia politica e sociale.  Se il lirismo espansivo romantico è la forma che corrisponde a una fase di ascesa eroica della borghesia nella società uscita dalla Rivoluzione, la nuova forma di poesia improntata all’impersonalità e al culto dell’autonomia del Bello corrisponde a una fase successiva di disillusione, quella di una generazione che nel 1848 ha visto la nuova classe egemone tradire nel sangue i suoi ideali rivoluzionari. Quanto rimangono sorprendenti e illuminanti i collegamenti che Orlando istituisce tra costanti appartenenti a piani estremamente diversi. Per esempio, le tirate ideologiche di Baudelaire contro il Progresso e il dio dell’Utile, da un lato, e dall’altro i versi numerosi sulla femminilità corrotta e sugli amori perversi si rivelano attingere alla stessa fonte profonda. Oppure la serie di legami segreti che legano il tema del maquillage a quello della metropoli ed entrambi inaspettamente messi in relazione con il tema del tempo anteriore per sempre perduto; e ancora, ritrovare l’armonia ideale della vita anteriore, non solo nel culto della poesia come unica forma di perfezione ma anche, all’opposto, nell’idillio struggente e precario di un intimo momento serale, interrotto dal tragico calare della notte. Considerate singolarmente, sembrano tutte realtà molto lontane e irrelate. Quale arricchimento per chi torni a leggere la raccolta dopo averne appreso la profonda coerenza.

La «novità profonda» del «metodo di fare ricerca» (Carlo Ginzburg)[19] che il giovane Orlando elabora in quegli anni è riconducibile a un originale modo di concepire, a vari livelli, l’articolazione fra struttura e storia.[20] La scomposizione del testo o dell’insieme di testi in una serie di costanti è privilegio accordato a un elemento strutturale, ai danni del tempo e della successione lineare del discorso. Ma, grazie all’empirismo testuale su cui si fonda, essa è volta non a ridurre bensì a illuminare il significato di ogni singolo passo, senza mai sacrificare la specificità di ogni variante. L’opposizione di fondo sembrerebbe volta a riscontrare la presenza di una costante di natura antropologica; eppure il sistema delle costanti desunto dal testo è un omaggio reso alla storia, non solo perché è un sistema tutto individuale ma anche perché storicamente determinato. Leggiamo in proposito una frase dell’Introduzione del libro sul ricordo d’infanzia:

 

[…] vorrei osservare che la conseguente capacità di verificare un’intima coerenza di significati e valori espressivi anche quando sia meno conforme alla logica aristotelica che a quella dei sogni, ha potuto aiutarmi non di rado proprio a storicizzare meglio i testi letterari: risultato che non mancherà di sembrare paradossale a chi serbi fede ad uno storicismo di marca idealistica.[21]

 

L’Artificio contro la natura rientra in questo tentativo di «storicizzare meglio», formula ancora vaga in cui già si esprime un modo nuovo e non privo di aspetti paradossali d’intendere la posizione della letteratura nella storia. Non è sulla base della presenza di una tematica, di una frase o di una dichiarazione, ma dell’«intima coerenza di significati e valori espressivi» obbediente a una logica diversa da quella ordinaria, che Orlando concepisce la letteratura quale testimonianza del passato. Comincia qui a elaborarsi, in forma non ancora apertamente contrastiva, uno dei fulcri della sua proposta teorica: la concezione della letteratura quale documento storico diverso e impareggiabile, quale «negativo fotografico della positività della cultura da cui emana», sede di un «immaginario ritorno del represso» capace di dar voce a tutto ciò che «incontra distanza, diffidenza, ripugnanza, rifiuto o condanna fuori dalla sede delle sue finzioni».[22]

A proposito di Infanzia, memoria e storia Sergio Landucci ha sottolineato quanto avesse «dell’idiosincratico la scoperta di Marx per la via d’uno Chateaubriand»;[23] lo stesso potremmo dire del tentativo di fondare storicamente il giudizio di valore per la via di poeti e prosatori campioni dell’autonomia dell’arte (a Baudelaire seguirà Mallarmé, poi Proust). Idiosincratico ma giustificato. Per Orlando,  Baudelaire è il primo a intuire la «psicogenesi infantile dell’arte». Ed è quindi come se la letterarietà eminente del linguaggio lirico e la rivendicazione di una radicale separatezza della poesia si rivelassero funzionali quali garde-fou di fronte al potenziale riduzionismo della psicanalisi e del marxismo. Da un lato la psicanalisi e via via il marxismo comandano l’assalto materialistico all’ineffabilità del giudizio di valore, dall’altro, l’importanza mantenuta al giudizio di valore (paradossale eredità crociana?) permette al determinismo di Orlando di mantenere margini di apertura notevoli, quelli che lo portano a non obliterare mai una delle qualità fondamentali della letteratura: la capacità di trascendere i confini di individui, epoche, società e culture. è proprio l’importanza attribuita al giudizio di valore, e quindi alla questione dell’universalità specifica della letteratura al di là di troppo meccanici condizionamenti, uno dei tratti che più distinguerà il metodo e la teoria di Orlando da un «pasticcio freud-marxiano, o marx-freudiano, come ce ne saranno, a partire […] dal ‘68, un po’ dappertutto» (Landucci).[24]

Lanciarsi in un’interpretazione di Baudelaire significava certo per il critico affrontare Croce direttamente. Croce stesso aveva infatti riconosciuto in Poe e Baudelaire gli antesignani in poetica della sua filosofia dell’arte. E tuttavia, a metà anni Sessanta, Orlando non poteva ancora sospettare che si sarebbe trovato a combattere in altre e nuove e presto dominanti tendenze critiche proprio quello che aveva combattuto nel crocianesimo. Nell’introduzione alle Costanti e le varianti l’espressione «tempi di regressione verso nuovi nomi dell’ineffabile»[25] riferita al presente del 1983 è una velata allusione a una delle tesi più sorprendenti dello studioso, quella della comune origine, nel culto ottocentesco dell’arte per l’arte, di Benedetto Croce e dei nuovi fautori dagli anni Sessanta in poi dell’autoreferenzialità della letteratura. Anche la novità dei saggi orlandiani proprio degli anni Sessanta si sarebbero infatti rivelate presto portatrici di quello che lo studioso ha chiamato il suo «rapporto sfasato con l’attualità». E ciò sarà paradossalmente confermato anche quando, di lì a poco, egli sciacquerà i panni nelle acque depurate dello strutturalismo. Nel 2007, presentando a distanza di decenni la ristampa di Infanzia memoria e storia, Orlando scrive:

 

A metà degli anni ‘60, la mia imitazione di Mimesis non fece eccezione all’in­tem­pe­sti­vità, al rapporto sfasato con l’attualità, le scuole, le mode che ha reso per lo più appartata, dopo la formazione provinciale, la mia carriera. A Ginevra, è vero, ebbi l’onore di esser presto in­vitato da Starobinski a presentare in francese il primo capitolo, come con­ferenza annuale, al­la Société J.-J. Rousseau. Ma a Parigi il 1966 fu proprio l’an­no dello scontro fra Sorbona e nouvelle critique. Da una parte, uno studioso serio e tradizionale come Claude Pichois mi lasciò intendere con garbo la sua delusione per la mancata esplorazione erudita nel libro […]. D’al­tra parte, lo strutturalismo parigino era, anche in Italia, alle porte; il che fece deplorare esplicitamente, in qualche rifiuto gentile di grandi editori, che non fosse un buon momento per pubblicare il libro. […] Sarei arrivato a prendere sul serio le ambizioni di quel primo strutturalismo, nel ‘68, fino a concepire gradi inauditi di “scientifizzazione” degli studi letterari. Ma a Parigi? C’era chi si accingeva a dimostrare quanto verbalistiche fossero quelle ambizioni, invertendole nel carnevale del decostruzionismo; c’e­ra chi, penso a Ge­nette, avrebbe conseguito risultati durevolmente rigorosi […] solo sotto il segno di un formalismo che respingeva, come pseudopro­blema, ogni aspirazione di obiettività nel campo dell’inter­pre­ta­zione.[26]

 

Quella che Orlando chiama con qualche amarezza «intempestività» è certo il prezzo dell’atteggiamento di chi tiene a pensare in proprio, abitudine presa precocemente, nella vita anteriore di una «formazione provinciale» e insolita. Nel giovanile Artificio contro la natura è già chiaro che egli non è mai agito dai modelli che si elegge, nemmeno dai più radicali e normativi: basta pensare alla maniera già tutta personale, e ancor oggi tutt’altro che scontata, di fare uso della psicanalisi. L’«intempestività» può essere anche intesa come insita nel metodo stesso, fondato su un modo di articolare la dimensione strutturale a quella storica che si espone al rischio di una doppia diffidenza, quella di chi privilegia solo l’una o solo l’altra. Direi però che è proprio questa sorta d’intempestività essenziale a garantire ai saggi di Orlando di decennio in decennio, di moda in moda, una imperturbata vitalità. Quale sorpresa tutt’oggi può suscitare l’Artificio contro la natura, uno studio d’insieme su Baudelaire che non ponga in primo piano il pensiero del poeta, o la sua poetica, la sua religiosità, o la visione della modernità e che miri, in primo luogo, a desumere dall’esperienza dei testi una chiave di lettura utile innanzitutto alla comprensione di essi. Dal 1967 la bibliografia critica su Baudelaire è cresciuta in maniera esponenziale, le nuove letture dell’opera del poeta si sono moltiplicate; ma l’Artificio contro la natura mantiene ancora intatto tutto il suo interesse. è come se il determinismo non riduttivo di Orlando lo mettesse al riparo dal rapido invecchiamento cui è esposta la critica letteraria. Anche di fronte alle riletture più recenti delle Fleurs du mal e dell’opera tutta del poeta, di fronte alla molteplicità di approcci, resta solido il censimento di costanti cui ogni cultore del poeta difficilmente potrà negare l’evidenza di un dato di fatto, così come solida e illuminante resta l’intuizione di ciò che lega le costanti fra loro, quella costante della costanti cui si accede attraverso l’operazione del critico e che tuttavia alla fine sembra quasi situarsi al di sopra e prima di ogni impalcatura di metodo. Tale intuizione sembra tanto più resistente al tempo quanto più è radicata in un modo di vivere la letteratura, come fosse «l’aria che respiriamo», «il corpo in cui consistiamo», cui Orlando non ha mai smesso di essere fedele attraverso gli avvicendamenti, storicizzabili, del suo habitus metodico.[27]

 

 

 

Note

[1] I Protagonisti della Storia Universale, n. 114, Baudelaire, Compagnia Edizioni Internazionali, Milano 1967.
[2] Le costanti e le varianti. Saggi di letteratura francese e di teatro musicale, Il Mulino, Bologna 1983. D’ora in poi CV.
[3] Charles Baudelaire, I fiori del male, a cura di Cosimo Ortesta, Giunti, Firenze 1996.
[4] L’opera di Louis Ramond, Feltrinelli, Milano 1960; Rotrou dalla tragicommedia alla tragedia, La Bottega d’Erasmo, Torino  1963). Per una bibliografia esaustiva vedi L. Pellegrini, Bibliografia delle opere di Francesco Orlando, in P. Amalfitano, A. Gargano (a cura di), La letteratura parla d’altro. Sei lezioni per Francesco Orlando, Pacini, Pisa 2014.    
[5] Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Pacini, Pisa 2007 (1966). D’ora in poi IMS.
[6] Torino 1984. Alle origini degli Oggetti desueti, in D. Ragone (a cura di), Per Francesco Orlando. Testimonianze e ricordi, ETS, Pisa 2012, p. 59.
[7] Uno sguardo dal basso, in Per Francesco Orlando…, cit., p. 133.
[8] Ricordo di Lampedusa (1962) seguito da Da distanze diverse (1996), Bollati Boringhieri, Torino 1996.
[9] IMS, Introduzione, pp. 20-21.
[10] CV, p. 9.
[11] B. Croce, Poesia antica e moderna. Interpretazioni, Bibliopolis, Napoli 2009 (1950), p. 383.
[12] «La ricerca dell’unità magari segreta al fondo di una personalità comincia oggi a fornire un criterio inverso e com­plementare, e forse più illuminante, rispetto alla tradizionale at­tenzione a distinguere fasi cronologiche o facce e settori dell’uo­mo e dell’opera» (L’artificio contro la natura nel mondo di Baudelaire)
[13] CV, p. 12.
[14] Recensione di J. Starobinski, Jean-Jacques Rousseau. La Transparence et l’Obstacle (Plon, Paris 1957), in «Rivista di Letterature Moderne e Comparate», vol. XIII, n. 1-2, giugno 1961, pp. 116-120.
[15] Nomi cui Orlando aggiunge quello di Wagner, «maestro più antico di una adolescenza culturalmente isolata», nel cui comporre per singole unità che tornano costantemente lungo il fiume ininterrotto della partitura, lo studioso individua il «modello primo di un gioco inesauribile tra varianti e costanti», una prima e soprendente «lezione metodologica» (CV, p. 9).
[16] IMS, p. 25.
[17] Cfr. CV: «Ma la mia tendenza era già a ricostruire simili sistemi di costanti grazie ai soli testi, senza attribuire alla documentazione del vissuto quell’importanza di scopo o di prova che ha in Mauron: al massimo, di mezzo o di controprova», p. 12.
[18] Mallarmé e la fede perduta (lettura di Sainte), CV, p. 316 (309-26).
[19] Un ricordo, in Per Francesco Orlando…, cit., p. 105.
[20] Cfr. in proposito il saggio di Paolo Tortonese, Raccontare l’eterno presente: la storia e il paradigma nel pensiero di Francesco Orlando, in La letteratura parla d’altro…, cit., pp. 176-86.
[21] IMS, p. 25.
[22] Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 19942, p. 8.
[23]  Per Francesco Orlando…, cit., p. 132.
[24] Per Francesco Orlando…, cit., p. 134.
[25] CV, p. 10.
[26] IMS, p. 13.
[27] F. Orlando, A cosa serve la letteratura? <http://www.filologiafrancese.it/index.php?menu_sez=a_cosa_serve_la_letteratura2#FrancescoOrlando>