MIRKO TAVONI – DANTE E MATTE BLANCO, IN OMAGGIO A FRANCESCO ORLANDO

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[Ospitiamo con piacere un breve scritto di Mirko Tavoni che ci presenta alcuni suoi studi danteschi (già pubblicati online su Academia.edu, i cui link sono disponibili nel testo), dedicati allo statuto del sogno nella Commedia, nel solco della teoria di Matte Blanco.]

Dante Alighieri


Dante e Matte Blanco, in omaggio a Francesco Orlando

Accolgo volentieri l’invito dell’amico Stefano Brugnolo a sintetizzare per il sito Mimesis. Il testo, la figuralità, il mondo una mia linea di ricerca su Dante e il sogno che fa riferimento alla teoria dell’inconscio come insiemi infiniti di Ignacio Matte Blanco, teoria che avevo conosciuto, naturalmente, grazie a Francesco Orlando. Mi fa piacere rendere così omaggio a Francesco per questa sua influenza indiretta, che si aggiunge all’ampia e profonda influenza esercitata direttamente dalla sua teoria della letteratura. Il punto di partenza di questa linea di ricerca è rappresentato da un assunto fondamentale: che le ripetutissime affermazioni di Dante di avere visto l’aldilà, di riportare nel suo poema la visione che gli è stata concessa da Dio, non possono essere declassate a mere affermazioni convenzionali. La fictio della Commedia è ovviamente della massima complessità, ma dentro di essa la visio non può essere soppressa, e si deve cercare di renderne ragione. Non è la posizione maggioritaria nel panorama degli studi danteschi, ma è la posizione di una minoranza qualificata, non solo di studiosi di letteratura ma anche di storici della religione, della filosofia e storici tout court. La visione, poi, anche sulla scorta del sovrabbondante onirismo della Vita nova, e del riconoscimento filosofico di cosa sia la visione profetica raggiunto nel Convivio (La visione interiore dalla Vita nova al Convivio, 2019), si precisa come visio in somniis. Dante è un acutissimo osservatore e analista del fenomeno del sogno, evidentemente sulla base di una personale familiarità con esso, e in diversi passi focalizza immagini che hanno lo stigma del sogno perché sono immagini impossibili nello spazio a tre dimensioni: per esempio la visualizzazione del mistero della Trinità e dell’Incarnazione (La visione di Dio nell’ultimo canto del Paradiso, 2009). Di qui il ricorso a Matte Blanco, particolarmente alla Parte Nona, «Spazio e mente», del suo libro: queste di Dante sono isole di pensiero spaziale simmetrico, entro un tessuto, ovviamente, di strenuo controllo razionale e formale della parola. Un passo avanti nella comprensione di quanto sia reale, e proprio per questo manifestata cripticamente, la componente onirico-visionaria del poema, è rappresentato dalla scoperta che accanto agli espliciti sogni e visioni del Purgatorio, l’Inferno è (nascostamente) presentato come una unica visione in sogno (Dante ‘Imagining’ his Journey through the Afterlife, 2015). Con ciò si rivela che nel poema coesistono due schemi simmetrici: il sogno nel viaggio e il viaggio nel sogno. I quali possono sì essere resi compatibili ricorrendo all’idea, storicamente del tutto plausibile, di mise en abyme (il sogno nel viaggio nel sogno); ma che ci sia anche qui del vero e proprio pensiero simmetrico (se il sogno è nel viaggio, il viaggio è nel sogno) lo suggerisce un’altra circostanza, abbastanza inquietante rispetto alla storia delle pratiche narrative: e cioè che il Dante che sogna l’Inferno non è Dante autore, ma è Dante personaggio, il quale sogna l’azione che sta vivendo nel momento in cui la vive. Molto strano ma vero, alla luce di quattro passi dell’Inferno che non si possono interpretare letteralmente altro che così. Paradosso ulteriormente arricchito da un’altra circostanza: che questa condizione latente dell’Inferno sognato viene precariamente alla luce nei punti in cui Virgilio legge nel pensiero di Dante. Dante autore ha voluto dotare la sua guida Virgilio di questa facoltà telepatica, altrimenti inspiegata, proprio per dargli la possibilità di incanalare verso esiti di salvezza, nei passaggi più perigliosi della discesa al fondo dell’Inferno, impulsi onirici che lasciati a sé stessi potrebbero avere esiti narrativi esiziali, quali l’apparizione del mostro Gerione o dei diavoli volanti alle spalle dei due poeti all’uscita dalla bolgia dei barattieri: vedi L’Inferno sognato, la telepatia di Virgilio e gli antefatti danteschi della Commedia, in Dante e la dimensione visionaria tra medioevo e prima età moderna, a cura di Bernhard Huss e Mirko Tavoni, Ravenna, Longo 2019, e il video Virgilio “duca” di Dante, a cura dell’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, minuti 16:00-20:00. Molte cose restano ancora da capire sviluppando questi risultati. Uno stimolo attraente in questa prospettiva viene dal suggerimento, avanzato da diversi matematici e fisici, che Dante concepisse l’universo come una “tre-sfera” o “iper-sfera”, cioè una sfera a quattro dimensioni, in modo non tanto diverso da come lo si concepisce oggi dopo la teoria della relatività (il riferimento più a portata di mano per i lettori italiani è il libro Gli occhi di Beatrice di Horia-Roman Patapievici, Milano, Bruno Mondadori 2006). Non è un suggerimento peregrino: negli ultimi canti del Paradiso, arrivato al Primo Mobile, Dante vede sotto di sé i nove cieli che ruotano intorno alla terra, e vede sopra di sé le nove gerarchie angeliche che ruotano intorno a Dio. Queste due geometrie sono incompatibili l’una con l’altra. Diventano compatibili solo se sono le due metà di una “tre-sfera”, cioè una sfera che ha come superficie una sfera: una struttura che però Dante, sulla base della matematica del suo tempo, non poteva concepire. Eppure sembra proprio che Dante abbia intravisto una superiore compatibilità di queste due geometrie, cioè una struttura in cui è contemporaneamente vero che A ruota intorno a B e B ruota intorno ad A. Lo dice infatti esplicitamente: «Non altrimenti il trïunfo che lude / sempre dintorno al punto che mi vinse, / parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude…» (Pd XXX 10-12).  Bene, può darsi che Dante sia riuscito a intravedere, diciamo a vedere precariamente, questa struttura simmetrica, impossibile in tre dimensioni, grazie al canale di comunicazione che tante volte mostra di mantenere aperto con il sé stesso sognante: «Qual è colüi che sognando vede, / che dopo ‘l sogno la passione impressa / rimane, e l’altro a la mente non riede, / cotal son io, ché quasi tutta cessa / mia visïone, e ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa» (Pd XXXIII 58-63).

Mirko Tavoni

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